Diritti

Nel 2023 utilizziamo prodotti mestruali inventati negli anni ‘30

Sono passati 90 anni dall’invenzione del primo tampax, ma lo stigma è ancora forte così come la period poverty: negli Usa quasi 17 milioni di persone a volte sono costrette a scegliere tra cibo e assorbenti
Credit: Polina Zimmerman
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
5 maggio 2023 Aggiornato alle 12:00

Quanti anni hanno gli assorbenti? I primi sono stati sviluppati nel 1880, i tamponi e le coppette mestruali, invece, sono arrivati negli anni ‘30, mentre il primo tampone “moderno” progettato da Tampax è stato brevettato nel 1931. Per millenni le donne hanno improvvisato con stracci o canne, e in alcune zone del mondo quest’abitudine è ancora in uso: in India, per esempio, il 49,6% delle donne di età compresa tra 15 e 24 anni usa i panni, mentre il 15% tovaglioli realizzati a mano, secondo la recente indagine nazionale dedicata alla salute della famiglia. Tra i prodotti mestruali, però, a distanza di tutto questo tempo, le opzioni sono ancora poche. Perché?

Prima di tutto, quelli che abbiamo elencato sono i cosiddetti “prodotti mestruali”, che l’organizzazione no profit italiana indipendente WeWorld definisce così nel suo ultimo atlante We Care riguardo la salute riproduttiva: “prodotti fisici interni o esterni utilizzati per assorbire o raccogliere sangue mestruale ed effluenti. I prodotti mestruali possono essere riutilizzabili o monouso e usa e getta”. È preferibile non chiamarli “prodotti igienici” o “sanitari”, perché questo può rafforzare “l’idea negativa che le mestruazioni siano intrinsecamente sporche o che la vagina debba essere igienizzata” e questo linguaggio non considera “la salute mestruale come una questione sociale più ampia.

Emma Cihanowyz, 21 anni, è una studentessa attivista che va in giro per il suo campus, la Penn State University, in Pennsylvania, con una borsa piena di coppette mestruali, assorbenti interni e non, nel caso in cui qualcuno ne avesse bisogno: l’istituto, all’inizio dell’anno, l’ha premiata per aver affrontato la period poverty (povertà mestruale) che si può verificare in presenza di un accesso limitato o inadeguato ai prodotti mestruali o all’educazione alla salute mestruale a causa di vincoli finanziari o stigmi socio-culturali negativi associati alle mestruazioni. Negli Stati Uniti si stima che 16,9 milioni di persone con il ciclo mestruale vivano in povertà e a volte siano costrette a scegliere tra cibo e assorbenti.

Inoltre, secondo la teoria del menstrual concealment imperative (che potremmo tradurre con “occultamento mestruale”), le ragazze crescono con l’idea che il ciclo sia qualcosa di cui vergognarsi, e quando diventano adulte continuano a credere che si tratti di un’esperienza privata e da vivere in sordina. Per questo, scrive il Guardian nella sua lunga analisi dei prodotti mestruali, “la gente prende quello che può ottenere e se ne sta zitta”. È a questo fenomeno che Cihanowyz attribuisce la mancanza di innovazione nel campo dei prodotti mestruali.

Dal 2010 ci sono stati alcuni sviluppi: sono nati marchi di biancheria intima mestruale, capitanati da Thinx, scelto da un milione di persone. A gennaio, l’azienda ha patteggiato una causa collettiva con i clienti in merito al suo prodotto presumibilmente “organico, sostenibile e non tossico”. Anche se ha negato qualsiasi illecito in tribunale, l’azienda ha dovuto affrontare accuse secondo cui il prodotto conteneva “sostanze per-e polifluoroalchiliche a catena corta (Pfas)”, note anche come “forever chemicals”.

Dopo l’accordo raggiunto, molte persone si sono chieste che cosa avrebbero usato in alternativa. In genere, si attengono a un unico marchio o prodotto per il ciclo, che viene scelto quando arrivano le prime mestruazioni. Secondo Candice Matthews, che investe nel marchio Femi Secrets per la cura delle mestruazioni, la donna media cambierà i prodotti mestruali solo 4 volte al massimo nella sua vita. «Se è così, un marchio l’ha conquistata per 10 anni», ha detto al Guardian.

Ma Thinx non è l’unico prodotto mestruale che potenzialmente contiene sostanze chimiche tossiche: la Fda classifica i prodotti mestruali come “a rischio basso o medio-alto”, il che significa che non sono soggetti a test approfonditi e i produttori non devono rivelare ogni materiale che utilizzano. Una serie di test di laboratorio condotti da gruppi di controllo ha rilevato la presenza di Pfas nel 48% degli assorbenti e dei salvaslip, nel 22% degli assorbenti interni e nel 65% della biancheria intima mestruale.

Lo stigma attorno alle mestruazioni ha anche portato le persone a non chiedersi cosa ci fosse dentro i loro prodotti mestruali. «Se convinci i clienti che questo è un argomento “sbagliato” di cui parlare, li disincentivi dal fornire un feedback reale e stabilisci un’aspettativa molto bassa per la qualità dei prodotti - ha spiegato al Guardian Nadya Okamoto, 25 anni, fondatrice del marchio August per la cura delle mestruazioni - Ecco perché puoi trovare più informazioni su quali ingredienti ci sono in un cotton fioc piuttosto che in un tampone».

Su TikTok Okamoto parla di prodotti mestruali e ciclo senza censure (eccetto quella dell’app), pubblicando video in cui si cambia l’assorbente e mostrando sangue e coaguli ai suoi 4 milioni di follower. L’app li contrassegna come “contenuti sensibili” e avverte che “alcune persone potrebbero trovare questo video inquietante”. «Molti dei miei video vengono vietati o rimossi, ma le persone pubblicano video di interventi chirurgici su TikTok e va benissimo - spiega Okamoto - Non mi sorprende, ma è frustrante».

Ha sempre voluto affrontare il problema dell’uso della plastica e dei rifiuti in eccesso che derivano dall’uso di prodotti usa e getta: quelli mestruali in plastica generano più di 200.000 tonnellate di rifiuti all’anno. Oltre il 90% dei tamponi contiene plastica derivata dal petrolio, secondo un rapporto della Life Cycle Initiative. Secondo la Commissione europea, i tamponi sono alcuni dei rifiuti più comuni che si trovano sulle spiagge. Le persone, però, non vogliono usare “nulla che preveda di toccare il sangue”, hanno detto alcuni a Okamoto. Ma per lavare mutande mestruali e coppetta, che sono più sostenibili, è inevitabile.

Anche agli investitori (soprattutto uomini) deve far senso il sangue: in pochi finanziano prodotti per la salute mestruale. Le femtech, termine nato nel 2016 per descrivere il boom delle startup tecnologiche incentrate sulla salute delle donne, hanno registrato una decrescita significativa già nel 2020. Un nuovo gruppo di startup, però, sta cercando di riguadagnare finanziamenti: Vyld, un marchio con sede a Berlino fondato da Ines Schiller, utilizza alghe kelp, completamente biodegradabili, per realizzare i suoi tamponi, o “kelpons”.

Gli assorbenti Egal Pads on a Roll, invece, sono confezionati esattamente come un rotolo di carta igienica, il che li rende perfetti per i bagni pubblici. La startup con sede in Massachusetts vende a distributori che hanno contratti con scuole e altri edifici pubblici.

Poi c’è Emm, un “dispositivo mestruale intelligente” che consiste in una coppetta in silicone riutilizzabile che si può indossare con un applicatore separato simile a un tampone. Una cordicina consente di estrarla senza dover mettere le dita all’interno del corpo. Quando non è in uso, si può riporre all’interno di un detergente UV che può sterilizzarla in pochi minuti.

Una delle co-fondatrici di Marlow, una startup con sede in Canada, voleva creare prodotti mestruali più confortevoli, perché alcune persone provano dolore a inserirli. L’idea è venuta a Nadia Ladak dopo che il suo medico le disse di sputare sui tamponi per renderli più facili da inserire: e così ha creato prodotti che possono essere immersi in lubrificante a base d’acqua.

Quel che serve per avere sempre più studi e ricerche sulla salute mestruale e startup simili, è colmare il divario di genere nella ricerca clinica e spingere per l’innovazione nella salute ginecologica. Solo allora vedremo risultati concreti.

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