Diritti

Donne: leader in 10 anni, oppure mai più

La carriera femminile è una corsa contro il tempo. Secondo una ricerca di LinkedIn, tutto si gioca nei primi anni: dopo, le possibilità di crescere crollano. Perché?
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Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
3 novembre 2022 Aggiornato alle 14:00

Che le donne riescano ad arrivare con molta più difficoltà dei loro colleghi maschi in posizioni di comando non è – purtroppo – una novità. Il soffitto di cristallo è ancora bello saldo sopra le teste di quasi tutte e, nonostante qualche crepa, infrangerlo richiederà ancora molto tempo (e onde d’urto radicalmente impattanti). Quello che è nuovo, invece, è la scoperta che a influenzare la leadership femminile non sono solo i bias e le im-pari opportunità, ma anche il tempismo. Secondo una ricerca di LinkedIn, infatti, le donne che puntano a ruoli apicali hanno maggiori probabilità di ottenerli nei primi 10 anni della loro carriera. Dopo, le possibilità tendono a precipitare.

Le donne costituiscono il 40% della forza lavoro. Nonostante questo, a livello globale solo il 29% delle posizioni dirigenziali a livello globale sono occupate da donne. Secondo l’analisi di LinkedIn, non c’è alcun Paese in cui la leadership sia condivisa (non si supera il 37% della Svezia, il 36% degli Stati Uniti e il 31% della Francia).

La maggior parte di chi riesce a farcela lo fa in pochissimo tempo, spesso più rapidamente dei colleghi uomini. Per chi aspetta troppo a lungo, il rischio è vedere crollare le proprie chances di raggiungere l’obiettivo, più basse anno dopo anno. «Durante il primo decennio della loro carriera, per ogni donna che arriva alla leadership, quasi il doppio (1,8) di uomini ce la fa. Questo divario tra donne e uomini aumenta ulteriormente con l’esperienza lavorativa e per ogni donna che raggiunge la vetta dopo 20 o più anni, 2,2 uomini raggiungono la vetta. I nostri risultati mostrano che questo non si sta verificando solo in un paese, ma è un fenomeno globale abbastanza coerente».

Il motivo è facilmente intuibile: molte donne si sentono costrette a correre all’inizio della loro carriera perché sanno che raggiunta una certa età – che coincide più o meno con i 30 anni in tutta Europa – la pressione sociale (e il desiderio personale) di avere figli e il conseguente carico del lavoro di cura non retribuito renderanno loro difficilissimo (quando non impossibile) ogni avanzamento significativo di carriera. Il congedo parentale, mostra la ricerca di LinkedIn, è stato il motivo principale per cui negli Usa le donne hanno affermato di aver interrotto la carriera. E di queste donne, quasi la metà (48%) ha affermato di dover scegliere tra dare la priorità alla carriera rispetto ai propri figli.

«Questo calo delle opportunità di leadership dopo oltre 10 anni coincide con il momento in cui molte donne lavoratrici iniziano una famiglia e si assumono ulteriori responsabilità nell’assistenza all’infanzia», spiega Karin Kimbrough, Chief Economist di LinkedIn che ha condotto la ricerca.

Un problema che la pandemia ha solo esasperato, riducendo il numero di servizi per l’infanzia. Ed è proprio la mancanza di assistenza all’infanzia a rappresentare un grave ostacolo che «ha un impatto sproporzionato sulle traiettorie professionali delle donne ed è probabile che alimenterà ulteriormente il divario di genere nella leadership negli anni a venire se il problema persiste».

Gli uomini possono concedersi il lusso del tempo, le donne no. E non è tanto (solo) contro il tempo che devono correre, ma contro quella che viene definita la “motherhood penalty”, il fenomeno per cui a livello di promozioni e retribuzioni la carriera delle donne subisce una fase di stallo una volta nati i figli e per cui le madri guadagnano (sensibilmente) di meno.

Al contrario, le carriere degli uomini accelerano dopo essere diventati padri. La metà delle donne rispetto agli uomini – il 13% contro il 26% – infatti, viene promossa o trasferita a un lavoro migliore nei primi 5 anni di genitorialità.

La maternità influisce sulla percezione delle lavoratrici anche in termini di prestazioni: le madri, infatti, ricevono valutazioni delle competenze che sono, in media, del 10% inferiori rispetto alle non madri e hanno 6 volte meno probabilità di essere consigliate per l’assunzione. «C’è un’enorme pressione affinché le donne raggiungano un certo livello di carriera e successo finanziario prima di diventare genitori», conclude Kimbrough. L’alternativa potrebbe essere quella di non farcela affatto.

Anche per chi ce la fa, però, la conquista della vetta non è garanzia di benessere. Le statistiche che mostrano che le donne che lavorano tendono a essere più esaurite rispetto alle loro controparti maschili: secondo un’altra indagine di LinkedIn, il 74% delle donne dichiara di essere molto o alquanto stressato per motivi di lavoro, rispetto a solo il 61% degli intervistati uomini. Non solo: le donne erano anche molto più disposte (31% contro 21%) a considerare di rifiutare ulteriori responsabilità, un passo che potrebbe significare sacrificare la propria carriera per ridurre lo stress.

Un fattore in cui gioca un ruolo fondamentale proprio questo “sprint” nei primi anni di carriera. «Raggiungere il più possibile nei primi 10 anni di carriera può causare esaurimento e stress nelle donne, […] può portare a una tempesta tossica di stress fisico e sociale, nonché a problemi di salute mentale che possono durare per anni», ha spiegato alla Bbc Christine Spadafor, docente di leadership strategica presso la Tuck School of Business del Dartmouth College.

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