Economia

Disastri ambientali: sempre più comunità chiedono risarcimenti

Dagli Usa all’Australia, dall’Africa al Perù: le multinazionali finiscono sotto accusa per aver inquinato e distrutto il Pianeta. Si chiedono maxi-pagamenti: che sia una questione più commerciale che ambientale?
Credit: AP Photo/LM Otero
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8 giugno 2023 Aggiornato alle 21:00

I disastri ambientali si verificano da sempre. Con l’espressione “disastro ambientale” si vuole indicare un evento di vasta portata con effetti negativi sull’ambiente, sia per quanto riguarda gli equilibri naturali che per il funzionamento dei sistemi socioeconomici e politico-costituzionali delle comunità colpite. La maggior parte dei disastri ambientali ha origine antropica.

Negli ultimi anni, però, si sta verificando un curioso fenomeno: sempre più persone colpite da queste tragedie si rivolgono ai tribunali per ottenere un risarcimento. Una tendenza sempre più diffusa, soprattutto in America, dove i risarcimenti possono raggiungere cifre elevatissime. Negli Usa già da diversi anni sono in atto alcune battaglie legali.

È il caso di Exxon Mobil Corporation, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi, che sta affrontando diverse questioni legali in gran parte degli Stati Uniti per l’accusa di campagne ingannevoli relative al cambiamento climatico e all’utilizzo dei loro prodotti, considerati nocivi.

Per la compagnia petrolifera non è la prima volta: nel 2015, per esempio, era stata accusata di aver taciuto riguardo i rischi che i combustibili fossili avrebbero provocato al Pianeta, anteponendo gli interessi economici alla sua salvaguardia.

Inoltre, lo studio pubblicato su Science continua ad accusare il colosso petrolifero con ulteriori dettagli: dal 1977 al 2003, Exxon ha studiato con attenzione i combustibili fossili e il rischio per il Pianeta, stabilendo con assoluta certezza la quantità massima di CO2 che si sarebbe potuta immettere per evitare danni.

Ancora Stati Uniti, per la precisione California, ad Huntington Beach: qui, a causa di un riversamento di circa 94.600 litri di petrolio, il proprietario di una conduttura sottomarina dovrà ripagare 1 milione di dollari per riparare ai danni provocati, ovvero spiagge e attività di pesca bloccate per diverso tempo o moria di uccelli a causa della contaminazione.

Al largo della costa australiana, invece, nel mar di Timor, nel 2009 si riversarono da un pozzo petrolifero quantità elevate di petrolio. Questo provocò ingenti danni ambientali a livello faunistico, provocando anche disagi agli agricoltori indonesiani che videro i loro raccolti completamente distrutti. Soltanto negli ultimi mesi del 2022 si è riusciti ad arrivare a un punto conclusivo dopo che oltre 15.000 agricoltori indonesiani avevano intentato una battaglia legale contro la compagnia: è stato accettato un risarcimento da parte di Pttep Australasia pari a 192,5 milioni di dollari australiani, che equivalgono a 102 milioni di sterline. Per questo caso sono stati spesi più di 17 milioni di sterline.

Risarcimenti anche in Africa, dove la filiale nigeriana di Shell ha accettato di versare circa 15 milioni di euro come forma di risarcimento dopo il riversamento di petrolio nel delta del Niger, principale zona petrolifera della Nigeria, ma anche zona di pesca e coltivazione. In questo caso, il risarcimento è dovuto all’impatto sui raccolti delle comunità agricole, nonostante la multinazionale addossi le responsabilità ad atti di sabotaggio e furto.

Un’altra multinazionale sotto accusa: si parla della spagnola Repsol, contro la quale il Perù ha chiesto un risarcimento pari a 4,5 miliardi di dollari per il danno ambientale provocato a gennaio 2022 dopo la fuoriuscita di petrolio, circa 12.000 barili. I danni sono stati enormi: oltre 18.000 metri quadrati di spiagge contaminate, uccelli e specie marine vittime della contaminazione, tanto da dichiarare lo stato di emergenza ambientale.

Ci sarebbero tanti altri casi da segnalare, ma ciò che emerge è la chiara tendenza degli ultimi anni a rivolgersi ai tribunali per chiedere maxi-risarcimenti. Che sia diventata una questione commerciale piuttosto che ambientale? È proprio questa, infatti, una delle preoccupazioni principali.

Avanza sempre di più il timore che i finanziatori delle battaglie legali preferiscano avvicinarsi ai casi in base alla probabilità di vittoria, puntando sul profitto economico anziché sulla questione puramente ambientale. Al tempo stesso, però, si vuole puntare a un vero e proprio cambiamento di atteggiamento delle multinazionali.

E in Europa come funziona? È presente una direttiva che fornisce tutte le linee guida per la questione dei danni ambientali: si tratta della Direttiva 2004/35/CE. Il principio che vi è alla base è quello del “Chi inquina, paga”, ma prima di tutto vi è l’obbligo, per coloro che svolgono attività potenzialmente pericolose per l’ambiente, di prendere misure preventive.

In Europa, comunque, il risarcimento deve puntare soltanto al ripristino, molto spesso anche estremamente articolato. In caso di danno al terreno, per esempio, il risarcimento deve servire per interventi che eliminino il rischio sanitario dovuto alla contaminazione; in caso di danni a specie oppure ad habitat protetti o a corpi idrici, il risarcimento deve puntare alla riparazione primaria, riparazione complementare e riparazione compensativa.

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