Culture

Africa: culla di creatività e fashion designer

Non ci sono solo guerre, fame, povertà: il continente è ricco di stimoli, cultura, dedizione e arte. Di personalità capaci di arrivare con il loro talento sulle passerelle internazionali
Credit: lukhanyomdingi.co.za
Tempo di lettura 4 min lettura
5 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Sconsolato dalla guerra che sta divampando in Sudan e dai possibili rischi che incombono su altri Paesi africani, mi sono chiesto se, per davvero, l’Africa debba relegarsi allo stereotipo della vita selvaggia e dei conflitti fratricidi. Mi sono interrogato, quindi, su quanto di più effimero esista al mondo ma che, però, rappresenta anche lo spirito di un popolo: la moda.

Un continente con 54 Stati in cui spesso convivono numerose diverse etnie, ciascuna con la propria cultura (si pensi all’Etiopia, che da sola ne conta 70, e il Camerun, che ne conta ben 230), separato da un deserto che lo distingue quasi in 2 sub-continenti: l’Africa rappresenta una capacità espressiva e creativa che difficilmente si può immaginare.

Non solo, però, ricchezza etnica e culturale: il continente, infatti, cresce in fretta grazie a un’ampia digitalizzazione che riesce a cogliere sempre il meglio di quanto l’innovazione possa offrire al momento. La possibilità di connettersi con amici, ma anche con altri al di là dei confini nazionali e continentali, conduce i giovani africani a confrontarsi sempre con persone diverse e a ricevere nuovi stimoli. E a essere loro stessi ragione di stimolo per gli altri. La moda ne è la conferma.

E così, non solo aumentano le fashion week africane, sia nel continente stesso che in Europa, ma sono sempre di più gli stilisti africani e afro-discendenti che compaiono sulle passarelle internazionali nelle varie settimane dedicate alla moda in tutto il mondo. E sì, perché questo è il vero salto di qualità: lo stilista che esce dall’etichetta affibbiatagli dalla provenienza e diventa co-protagonista del palcoscenico mondiale.

Basti pensare ai nostri stilisti, promotori del talento italiano, che non si sono certo limitati a esibirsi sulle sole passarelle di Roma e Milano. E allora vediamo come la fama di alcuni stilisti africani vada oltre i confini nazionali. In questo, mi sono lasciato aiutare da 3 professionisti del settore, con diverse esperienze e collocazioni geografiche: Henri Joli, direttore artistico internazionale della moda, ora di nuovo in Francia dopo un periodo tra Cina e Hong Kong; l’ex modella e imprenditrice Camilla Barungi, di origini ugandesi, ora a New York, creatrice di una piattaforma che aiuta i fashion designer africani a crescere; Sandra Hawi, giovane stilista kenyana.

In Francia, sono ormai stilisti affermati Lukhanyo Mdingi, sudafricano (vincitore del premio LVMH Karl Lagerfield 2021), Mossi Traoré, francese di origini maliane (ormai presenza fissa nell’Haute Couture Calendar) e Imane Ayinssi, figlio di un campione di boxe e di una miss Camerun, giovane ballerino nel suo Paese e divenuto modello una volta arrivato in Francia. Ayinssi ha creato il proprio brand nel 2004 ed è stato il primo fashion designer africano a mostrare i propri capi sulle passarelle dell’alta moda di Parigi.

Poi c’è Mustafa Hassanali, stilista e medico tanzaniano, ben conosciuto in Africa ma anche in Italia: nel 2008 ha lanciato la Swahili Fashion Week; Aisha Ayensu, ganese, fondatrice della casa di moda Christie Brown e divenuta famosa anche per avere creato abiti di scena di star internazionali, come Beyoncé e Alicia Keys.

Hortense Mbea, di origine camerunense, nata a Washington e creatrice del brand Afropian con un motto che esplica chiaramente la sua visione “Wear Africa Proudly”(infatti gli abiti sono interamente prodotti in Africa). La profonda influenza delle culture delle quali è e si fa portatrice appare anche dai nomi delle sue collezioni: la seconda è stata nominata Intore (il nome di una danza guerriera ruandese); inoltre, è apparsa di recente su Vogue Italia.

A questa passarella si uniscono Eli Gold e Thebe Magugu. Il primo è conosciuto con il nome arte Nyanmbo Masa Mara, la cui storia lo ha visto ancora bambino rifugiato ruandese, fuggito dai massacri che hanno insanguinato il suo Paese nel 1994, ora creatore del marchio Masa Mara: il logo ha 2 ciocche di capelli che circondano le guance di un viso e simbolizzano i giganteschi corni della mucca reale ruandese - injambo), per ricordarci ancora una volta che le proprie origini (anche quando si fugge da un Paese ancor prima di avere 2 anni) rimangono sempre impresse nel dna. Thebe, invece, sudafricano, è stato vincitore nel 2019 del premio LVMH e ha fatto sfilare le sue modelle alla Paris Fashion Week del 2020.

La carrellata è obiettivamente limitata, ma mi sembra che un messaggio arrivi chiaro: Africa non vuole solo dire natura selvaggia, fame e povertà, ma anche bellezza e creatività. Un patrimonio per il continente stesso e per tutta l’umanità: basta cambiare lo sguardo, l’approccio e la ricchezza che ne deriva potrebbe cambiare i destini di molti, compresi noi stessi.

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