Economia

Save the Children: 336.000 bambini hanno già lavorato

Secondo l’indagine Non è un gioco, il 50% degli under 15 intervistati svolge attività lavorative ogni giorno o qualche volta la settimana. Più lavoro minorile significa meno tempo dedicato alla scuola
Credit: Ahmed Hasan
Tempo di lettura 4 min lettura
11 aprile 2023 Aggiornato alle 13:00

Sono ben 336.000 i minori tra i 7 e i 15 anni che hanno già avuto esperienze di lavoro, secondo l’indagine Non è un gioco di Save the Children dedicata al lavoro minorile in Italia. Ben 58.000 giovani lavoratori tra i 14 e i 15 anni si sono dedicati ad attività pericolose per la propria salute fisica e mentale.

Il lavoro “precoce”, infatti, compromette la salute, lo sviluppo psicofisico e l’apprendimento dei bambini, e aumenta le chances di vivere in una condizione di povertà ed esclusione sociale.

Nonostante il 70,1% del lavoro dei 14-15enni intervistati dalla ong sia svolto principalmente in periodi di vacanza o nei giorni festivi, per il 50% è un’attività quotidiana o svolta qualche volta a settimana, per più di 4 ore al giorno.

I settori (tristemente) più “gettonati” dai giovanissimi lavoratori sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio (16,2%), seguita dalle attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%) o di cura dei parenti (7,3%).

Si fanno strada anche nuove forme di lavoro online (5,7%) con la realizzazione di contenuti per social o piattaforme digitali, o ancora la rivendita di abbigliamento di lusso o tecnologia.

Lavorare prima dell’età legale consentita (16 anni), riducendo di conseguenza il tempo dedicato allo studio e la frequenza alle lezioni, può aumentare o addirittura quasi duplicare il rischio di bocciature e abbandono degli studi rispetto ai coetanei non lavoratori, favorendo così la dispersione scolastica.

Ma a spaventare ancor di più, se possibile, è la maggiore propensione dei minori lavoratori a entrare nei pericolosi circuiti della criminalità: quasi il 40% degli adolescenti che hanno avuto problemi con la giustizia ha dichiarato di aver lavorato prima di raggiungere i 16 anni; 1 su 10 ha inoltre affermato di aver ottenuto il primo lavoro quando era ancora un under 11 e più del 60% ha svolto attività lavorative dannose per la propria crescita e la propria salute fisica e mentale.

Perciò è fondamentale sensibilizzare realmente l’opinione pubblica riguardo i danni causati dall’occupazione precoce e irregolare. La scuola può giocare un ruolo centrale nel formare ed educare individui consapevoli, pronti per intraprendere un futuro lavorativo dignitoso e soddisfacente e, soprattutto, nei tempi più adatti.

Una scuola che possa dare uguali opportunità a tutti gli studenti di sviluppare i propri talenti, seguendo le proprie naturali inclinazioni, a prescindere dalla condizione socio-economica di partenza, fornendo allo stesso tempo informazioni riguardo i servizi che lo Stato offre a diversi livelli, per garantire il diritto allo studio a tutti e, in particolare, agli studenti in difficoltà economica (tra i vari esempi, borse di studio, abbonamenti agevolati per i trasporti, sgravi fiscali).

I risultati di Non è un gioco preoccupano, ponendo l’accento su un fenomeno diffuso in Italia che non accenna a diminuire, ma di cui si parla ancora troppo poco. È indispensabile la cooperazione tra le istituzioni, le agenzie educative, le organizzazioni sindacali e il mondo produttivo, per trovare soluzioni idonee a tutelare i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Ciò può avvenire solo attraverso l’adozione immediata di misure di contrasto del lavoro minorile, specialmente nelle sue forme più dannose per lo sviluppo e la crescita, come l’introduzione di piani di sostegno economico rivolti alle famiglie con minori in condizione di povertà.

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