Diritti

Le ragazze americane non stanno bene

I Centers for Disease Control and Prevention lanciano l’allarme: le liceali rischiano di cadere in un vortice d’ansia e depressione. 1 su 3 ha pensato al suicidio e circa 6 su 10 si sentono “tristi o senza speranza”
Credit: Thiago Matos
Tempo di lettura 3 min lettura
20 febbraio 2023 Aggiornato alle 20:00

La Youth Risk Behavior Survey, condotta dai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) - che analizzano, tra le tante cose, i problemi sociali tra i giovani negli Stati Uniti - ha evidenziato che le ragazze dei licei americani sono “inghiottite da una crescente ondata di tristezza, violenza e traumi”.

Tra le intervistate, quasi 1 su 3 ha dichiarato di aver pensato al suicidio, quasi il 15% ha raccontato di aver subito violenze sessuali, circa 6 ragazze su 10 hanno rivelato di aver smesso di svolgere determinate attività perché si sentivano persistentemente tristi o senza speranza”.

Dopo aver visionato il report, il Segretario dell’Istruzione degli Stati Uniti d’America, Miguel Cardona, ha definito questa situazione “allarmante”. Ma a lanciare un campanello non sono soltanto le ricerche: le ragazze statunitensi stanno diffondendo messaggi online, raccontando che cosa succede nel momento in cui si cresce nella cultura dei social media, con standard di bellezza impossibili e insopportabili, odio online, pressioni accademiche e difficoltà economiche. Inoltre, la pandemia, con la didattica a distanza e lisolamento sociale, ha peggiorato ulteriormente la situazione.

La 17enne della Bronx High School of Science di New York, Najiha Uddin, ha dichiarato al Washington Post che esiste uno standard di bellezza bianco diffuso dai media mainstream che fa sentire lei e le sue amiche a disagio. La 14enne Garvey Mortley, del Maryland, ha detto di essere stata presa in giro a causa dei suoi capelli e che subisce ancora micro aggressioni. «Il razzismo può essere un fattore di stress per la depressione o la sua causa», ha poi aggiunto.

Una ragazza di 16 anni del Massachusetts, Sophie Nystuen, ha raccontato al quotidiano statunitense di aver creato un blog per permettere alle sue coetanee di condividere storie in anonimo. La maggior parte di loro ha scritto di aver subito violenze sessuali. «Ogni volta che ci ho provato, la mia gola sembra chiudersi, i miei polmoni dimenticano come respirare - si legge in un post anonimo del blog - Sono stata stuprata».

Non è un caso che le ragazze abbiano scelto di raccontare la propria storia in anonimo. Il victim blaming - atteggiamento di chi ritiene la vittima di un crimine responsabile di ciò che le è accaduto - è molto diffuso e, in una cultura dominata dagli uomini, le ragazze possono pensare che ci sia «qualcosa di sbagliato in loro» e «essere inclini a auto incolparsi»: queste sono le parole dello psicologo di Harvard, Richard Weissbourd.

Moltissime ragazze in tutto il Paese hanno raccontato di vivere in un contesto in cui sono continuamente vittime di slut-shaming e che assistono, spesso, a scene in cui i ragazzi salutano le ragazze a scuola con insulti sessisti, in base a ciò che indossano. In particolare, una 14enne del Maryland, Tulip Kaya, ha raccontato al quotidiano che a scuola le ragazze ricevono «fischi» e «commenti inaccettabili» sul loro seno e foto di peni non richieste dai ragazzi.

Una 13enne della Georgia - che ha chiesto di rimanere anonima - ha raccontato di aver subito molestie da un ragazzo e che nessuno le ha creduto. Alla fine ha dovuto chiedere di seguire le lezioni a distanza.

Ansia, depressione, paure, violenze, traumi: le ragazze ce lo raccontano, ma quando inizieremo a credere a ciò che dicono?

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