Futuro

Afefobia, quando un abbraccio fa paura

Oggi è la Giornata Mondiale di uno dei gesti di affetto per eccellenza. Non tutti, però, lo apprezzano: c’è anche, infatti, chi lo teme
Credit: Anna Shvets/pexels
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21 gennaio 2023 Aggiornato alle 08:00

Negli anni caratterizzati dalla pandemia di Covid-19 ci siamo abituati a una nuova realtà distante da strette di mano e contatti sociali e abbiamo interiorizzato la paura di quel contatto fisico che invece prima era centrale in ogni nostro incontro con gli altri.

Elementi cardine dei quali abbiamo dovuto fare a meno sono stati gli abbracci. Per celebrarli e ricordarne l’importanza, ogni 21 gennaio si festeggia la Giornata mondiale degli abbracci, una ricorrenza istituita in Michigan nel 1986 dal prete Kevin Zaborney e poi diffusasi in tutto il mondo. Un giorno dedicato interamente al beneficio che un abbraccio sincero può portare all’intero organismo, la cui data è stata volutamente scelta all’interno del primo mese dell’anno e poco dopo la fine delle vacanze natalizie, 2 momenti che per antonomasia sono più tristi e meno spensierati di altri.

Secondo diversi studi gli effetti positivi concentrati in un abbraccio sono infinti. Lo psicologo statunitense David Schnarch ha constatato a esempio che con un abbraccio tra umani si riesce a sviluppare un legame affettivo molto profondo, più forte persino di un bacio. Ma non solo: questi gesti ci proteggerebbero anche dai malanni di stagione come dimostra una ricerca americana del 2019 secondo la quale dormire abbracciati diminuirebbe la probabilità di contrarre un raffreddore.

L’abbraccio insomma ci rende meno rigidi e più rilassati ma ci aiuta anche a calibrare meglio le emozioni più intime. Una ricerca condotta dalla facoltà di Medicina della University of California ha studiato gli effetti di questo tipo di contatto sul corpo umano, scoprendo che agisce sull’amigdala e stimola la produzione di ossitocina, un ormone che agisce sulla sfera della sessualità e del benessere psico-fisico.

Da questa scoperta si è sviluppata e diffusa in tutto il mondo la Hug Teraphy, un tipo di terapia che si propone di abbassare i livelli di ansia e stress proprio attraverso la potenza degli abbracci.

Abbracciarsi è un gesto perlopiù spontaneo e rigenerativo che però non tutti avvertono allo stesso modo. Esistono infatti persone che sviluppano una vera e propria paura degli abbracci, nota in psicologia come afefobia o aptofobia, dal greco apto, toccare e phobia, paura. Il timore di essere toccati o di toccare porta a una sensazione di estremo fastidio che si manifesta anche con persone vicine alla sfera intima e, nei casi, più gravi, può persino compromettere rapporti e relazioni.

In letteratura non si trovano molti riferimenti sul tema perché spesso l’afefobia viene inglobata all’interno dei disturbi di personalità, dello spettro autistico, evitanti o postraumatici ma, come spiega Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Direttrice Clinica di Unobravo, «questo comportamento ha delle caratteristiche proprie che, in alcuni casi, può portare a problemi sociali più complessi e invalidanti».

L’afefobia si manifesta attraverso un disturbo d’ansia e può portare a sudorazione eccessiva, tachicardia, nausea, tremore, dermatiti, pruriti, attacchi di panico o ansia, rimuginio ed evitamento. A questi a volte si aggiungono agorafobia, ansia sociale e problemi con la sessualità.

La paura inconscia degli abbracci può interessare anche i bambini ma in quel caso non si parla direttamente di afefobia ma di un rifiuto del contatto fisico in generale, a volte spia di un trauma avvenuto con altri coetanei in contesti scolastici o sportivi.

Vigilare su questi atteggiamenti è fondamentale perché potrebbero nascondere richieste di aiuto, la necessità di un’indipendenza maggiore da parte dei genitori o essere un’avvisaglia del sentimento di gelosia per l’arrivo di un fratellino o sorellina in famiglia.

Se si ha a che fare con l’afefobia, come riuscire quindi a vivere più serenamente questa condizione? Secondo la Direttrice Clinica di Unobravo, è sicuramente utile prendere atto della necessità di una terapia psicologica che porterà a «lavorare sulla fobia del contatto fisico individuando le cause profonde che l’hanno generata e le strategie più adatte alla persona per affrontarla». Una delle tecniche più utilizzate nell’aiuto al paziente, è quella dell’esposizione allo stimolo fobico. «Un ottimo strumento può essere, a esempio, la pet therapy», conclude l’esperta.

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