Diritti

Portogallo: 5.000 vittime di abusi sessuali da parte della Chiesa

L’indagine Dare voce al silenzio, realizzata da una commissione indipendente, stima che 4.815 persone hanno subito molestie da esponenti del clero tra il 1950 e il 2022. Ma il dato potrebbe essere parziale
Credit: Max Ravier
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20 febbraio 2023 Aggiornato alle 18:00

Dopo aver accolto la sua confessione le metteva «le mani nelle mutandine». Erano gli anni ’70 quando la parrocchia di un paese del Portogallo diventò teatro di un incubo per una bambina di 11 anni: «Mi ha chiesto di dire i miei peccati e, quando ho detto che avevo fatto qualcosa di stupido e detto parolacce, mi ha toccato ovunque».

È una delle 512 testimonianze raccolte nel rapporto sugli abusi sessuali nella chiesa portoghese, a cui si aggiungono altri 4.303 casi denunciati da persone diverse dalle vittime. Si stima che dal 1950 al 2022 sarebbero state quasi 5.000 le storie di abusi commessi soprattutto da esponenti del clero di uno dei Paesi più cattolici al mondo.

Ma il rapporto Dare voce al silenzio, realizzato da una commissione indipendente, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di una piaga con cui la Chiesa cattolica cerca di fare i conti senza trovare pace. È possibile, infatti, che i casi registrati siano solo una parte di quelli effettivamente avvenuti dal 1950. A dirlo, durante la presentazione dell’indagine, è stato il neuropsichiatra infantile Pedro Strecht, a capo della commissione.

La stima di 4.815 vittime, ha spiegato, è stata calcolata sulla base delle testimonianze di alcune persone che hanno scelto di raccontarsi e di fare anche i nomi di chi, come loro, avrebbe subito la stessa violenza.

Le vittime

Oggi le vittime avrebbero in media poco più di 50 anni. Il 43% di loro ha raccontato la sua storia per la prima volta alla commissione di indagine, a distanza di decenni dai fatti denunciati, con il risultato che solo in 25 casi si potrà agire penalmente perché in tutti gli altri è già intervenuta la prescrizione. È per questo motivo che, tra le raccomandazioni allegate al rapporto, si suggerisce di ampliare i termini per denunciare gli abusi estendendoli fino al 30° anno di età e non più fino al compimento dei 23, come prevede attualmente la legislazione portoghese.

Superati i 18 anni, infatti, si è considerati “adulti vulnerabili”. Si tratta una fase della vita in cui, molto spesso, non si è ancora pronti a raccontare violenze simili e, ancor meno, a denunciarle. Complice il clima socio-culturale di un Paese come il Portogallo, con l’80% della popolazione di confessione cattolica. A ciò si aggiunga lo stigma di una ferita silente che, come spiegato dallo psicologo Daniel Sampaio, provoca sintomi psicopatologici per tutta la vita nel 60% dei casi. Si tratta di disturbi d’ansia, di depressione, ma anche di disturbi del sonno e dell’alimentazione, fino ad arrivare a casi di dipendenza da alcool e droghe.

Le storie raccontate nel rapporto si sono sviluppate prevalentemente tra gli anni ’60 e ’90. Nel 77% dei casi, l’abusatore è stato un sacerdote, mentre l’età media delle vittime varia tra i 10 e i 14 anni senza una grande differenza percentuale tra maschi (52%) e femmine (48%). 1 minorenne su 3 ha rivelato che gli abusi sono durati più di un anno. Tutti hanno parlato di luoghi considerati socialmente sicuri come la chiesa, il seminario o la canonica della parrocchia.

Il confronto con gli abusi nella chiesa italiana

Il lavoro prodotto dalla commissione ha aperto l’ennesima voragine nel mondo della chiesa cattolica, da quando papa Francesco ha sollecitato indagini nei vari Paesi. Prima del Portogallo, infatti, altri report sono stati prodotti in Australia, in Germania, nei Paesi Bassi e in Francia. Nel Paese d’oltralpe, il presidente della Conferenza episcopale francese Éric de Moulins-Beaufort parlò di una «dimensione sistemica» delle violenze emerse dall’indagine che - nel 2021 - certificò circa 330.000 abusi negli ultimi 70 anni.

Una presa di coscienza che non cancella il trauma, ma che conduce a riflessioni profonde. Quelle che in Italia non ci sono ancora state, semplicemente perché il primo rapporto sulla pedofilia nella chiesa italiana ha preso in esame solo gli abusi consumati tra il 2020 e il 2021, per un totale di 89 presunte vittime. Il report ha consentito di tracciare l’identità di 68 presunti autori di reato di cui 30 chierici, 23 laici - come insegnanti di religione, sagrestani, animatori di oratorio, catechisti, responsabili di associazione - e 15 figure religiose. In ogni caso, si tratta di un dato parziale se confrontato alle indagini svolte in altri Paesi e, in più, limitato da un momento storico particolare: quello dei continui lockdown causati dall’emergenza sanitaria.

L’Italia, tuttavia, rappresenta l’unico Paese in cui il rapporto non è stato commissionato a una commissione indipendente, ma è stato realizzato dalla stessa Cei - Conferenza episcopale italiana - che ha pensato di attivare azioni di accompagnamento alle presunte vittime e «percorsi di riparazione, responsabilizzazione e conversione, compresi l’inserimento in “comunità di accoglienza specializzata”» per i presunti autori di reato.

Come anticipato, invece, in Portogallo la commissione d’indagine ha richiesto l’istituzione di una nuova commissione con membri interni ed esterni alla Chiesa per continuare lo studio avviato e ha formulato una serie di indicazioni - in tema di denuncia degli abusi, di prevenzione, e di terapia per le vittime - per superare il problema.

Entro fine mese la commissione consegnerà alla Chiesa portoghese un elenco con i nomi dei presunti pedofili emersi dall’indagine, mentre il 3 marzo è attesa una riunione straordinaria con la Conferenza permanente dei vescovi portoghesi. Ad agosto, invece, Papa Francesco raggiungerà Lisbona dove non è escluso che possa incontrare alcune delle vittime per dar seguito alla sua «tolleranza zero» contro gli abusi.

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