Diritti

Non siamo i nostri successi

I fallimenti non esistono e non dovrebbero definire chi siamo. Anche se difficile - specialmente quando leggiamo dell’ennesima eccellenza che si è laureata in tempi record - ricordiamoci che non siamo tutti uguali
Credit: Cottonbro
Tempo di lettura 3 min lettura
14 febbraio 2023 Aggiornato alle 06:30

Mi sono preso del tempo per riflettere prima di scrivere qualcosa sulla sconvolgente notizia del suicidio della studentessa diciannovenne che frequentava la Iulm a Milano, perché è difficile rimanere lucidi quando una persona così giovane lascia una lettera dove spiega le ragioni del suo gesto chiedendo scusa e parlando dei fallimenti personali e nello studio. Nessunə, tantomeno a quell’età, dovrebbe sentirsi così.

Non voglio commentare gli articoli che hanno addirittura trovato il modo di colpevolizzare la ragazza, perché non meritano alcuna risposta o visibilità. A questa età non dovremmo sentirci schiacciatə dal peso delle aspettative.

Il problema non riguarda solamente l’ambiente universitario italiano che, al netto di singoli esempi positivi, è caratterizzato da una corsa al risultato e da una pressione enorme dovuta a tempistiche disumane; dalla paura di non passare gli esami o dal senso di colpa per averli falliti; dal far passare troppo tempo, diventando così studente fuoricorso.

Sentirsi un fallimento per la propria carriera scolastica o universitaria non dovrebbe portarci al pensare di aver fallito nella vita, perché la vita è anche altro ed è normale non aver trovato ancora la propria strada a 18, 19, 20 o anche 25 anni. L’università non viene vissuta allo stesso modo da tutti e tutte ed è vero che non è fatta per chiunque. Ma non sono i fallimenti a caratterizzare chi siamo. A volte le prime persone a non comprendere questo concetto sono i membri della propria famiglia.

Ogni situazione è diversa e ognunə reagisce alle pressioni a modo suo, ma per andare oltre i disagi che sottopongono ə giovani a condizioni durissime forse servirebbe rivedere l’intero sistema formativo.

Questo coesiste ovviamente insieme al fatto che un approccio così competitivo e individualista non aiuta ad ampliare davvero la propria conoscenza. Riguardo questo tema, non ho risposte certe, solo tante domande.

Forse il fallimento risulta inaccettabile perché siamo sommersi da esempi di successo fuori dalla norma che non lasciano spazio a storie senza un lieto fine, perché parliamo e ri-parliamo della singola persona che ottiene 2 o più lauree in un battito di ciglia, o dellə giovane under 30 che ha già fondato una start-up multimilionaria, senza mai - ovviamente - menzionare la ricchezza della propria famiglia. All’opposto, ci sono gli altri, i “giovani che non hanno voglia di lavorare”.

L’esaltazione delle eccellenze non ha niente di male, ma non lasciamo indietro tutto il resto e non dimentichiamo che il successo dipende anche da una serie di privilegi, come quelli economici.

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