Diritti

Egitto: chi è l’attivista che non mangia e non beve più?

Il 2 aprile il prigioniero politico Alaa Abd El-Fattah ha iniziato lo sciopero della fame contro il regime di Al-Sisi. Ora, con l’inizio di Cop27, ha deciso di non assumere più liquidi
Alaa Abd El Fattah
Alaa Abd El Fattah Credit: Nariman El-Mofty
Tempo di lettura 4 min lettura
7 novembre 2022 Aggiornato alle 13:30

Dopo 220 giorni in sciopero della fame l’attivista e intellettuale egiziano Alaa Abd El-Fattah ha deciso di smettere anche di assumere acqua. La scelta di arrivare a un gesto così radicale arriva in una data non casuale, quella dell’avvio di Cop27 nella città costiera di Sharm El-Sheikh. Con l’intensificarsi della sua protesta, e del rischio di perdere la vita, Abd El-Fattah spera di accentrare l’attenzione internazionale sul trattamento dei dissidenti in Egitto e di ottenere il proprio rilascio.

Il percorso giudiziario di Abd El-Fattah è lungo e travagliato. Dopo aver contribuito attivamente alla rivoluzione del 2011 che portò alla destituzione del presidente Hosni Mubarak è stato incarcerato per diversi periodi. Nel 2013 è stato condannato a 5 anni per aver organizzato manifestazioni non autorizzate, scontati nel carcere di massima sicurezza di Tora al Cairo. Nel 2019 ottiene la libertà vigilata, partecipa alle proteste e viene nuovamente arrestato. Nel 2021 riceve un’altra condanna a 5 anni per diffusione di notizie false.

Abd El-Fattah ha denunciato le torture e i maltrattamenti subiti in prigione, oltre alla natura politica della sua detenzione, avvenuta senza un giusto processo. A partire dallo scorso 2 aprile, l’attivista ha cominciato uno sciopero della fame che l’ha portato ad assumere soltanto 100 calorie al giorno. Dal 1° novembre ha eliminato ogni alimento e da ieri ha rinunciato anche all’assunzione di liquidi. Il prolungato digiuno sta minando profondamente le sue condizioni di salute: i familiari e le organizzazioni internazionali che lo supportano temono che con questa ulteriore riduzione la sua vita possa essere in serio pericolo.

Già in agosto, durante una visita della madre e della sorella al carcere di Wadi al Natru, lo stesso Abd El-Fattah aveva affermato di non credere nella possibilità di una «salvezza individuale». Ciononostante l’ex-informatico e blogger ha continuato la protesta, reclamando la propria libertà e quella degli altri prigionieri politici.

Lo scorso aprile Abd El-Fattah ha ottenuto la cittadinanza britannica, ma la via della pressione diplomatica non ha ancora portato a risultati sostanziali. Al contrario, alle autorità consolari è stato impedito di incontrare il detenuto e di accertarsi delle sue condizioni di salute. Le sorelle di Alaa, Mona e Sana Seif, hanno portato avanti dal 18 ottobre un sit-in permanente di fronte all’Ufficio degli Esteri a Londra per sollecitare azioni concrete sul caso dell’attivista. Il ministro degli Esteri britannico James Claverly ha assicurato che stanno proseguendo gli sforzi per ottenere il suo rilascio.

Nel frattempo anche la società civile si sta mobilitando a livello internazionale per la sorte di Abd El-Fattah. In Italia il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury e la giornalista Paola Caridi hanno lanciato l’iniziativa di un digiuno di solidarietà a staffetta a cui stanno aderendo centinaia di persone. L’ong ha annunciato una manifestazione davanti all’Ambasciata Britannica a Roma per domani, martedì 8 novembre, alle 17:00. Nei giorni scorsi 15 premi Nobel hanno firmato una lettera congiunta per chiedere la liberazione di Abd El-Fattah e di migliaia di prigionieri politici egiziani.

Il loro appello si rivolge in particolare ai leader mondiali presenti alla Cop27 in Egitto a cui chiedono di “non usare il pragmatismo per evitare questioni scomode”. Un chiaro riferimento alle numerose polemiche legate alla conferenza sul clima.

Attivisti egiziani e di tutto il mondo stanno denunciando da mesi l’incoerenza della scelta di organizzare un incontro tanto importante per le sorti del Pianeta in un Paese dove il rispetto dei diritti e della vita umana è l’ultima delle priorità. Al contrario, Cop27 sta funzionando come un ulteriore pretesto per il governo di Abdel Fattah al-Sisi per reprimere ancora più duramente il dissenso. Le manifestazioni pubbliche sono state vietate e la partecipazione della società civile al summit è stata fortemente limitata. Da quando al-Sisi ha preso il potere nel 2014 gli attivisti per il clima sono perseguitati dal regime: il report Egypt: Government Undermining Environmental Groups di Human Rights Watch denuncia arresti, minacce e intimidazioni che rendono impossibile la loro azione e che li hanno spesso costretti a lasciare il Paese.

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