Ambiente

Venice Climate Camp: time’s up, join the fight now

Al grido di queste parole, la scorsa settimana attivistə da tutto il mondo si sono incontratə alla terza edizione del campeggio climatico al Lido di Venezia, per parlare di climate change e decolonialità
Credit: Dal profilo instagram del Venice Climate Camp
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13 settembre 2022 Aggiornato alle 17:00

I movimenti ambientalisti del nordest si sono ritrovati al Lido di Venezia per un lungo fine settimana (7-11 settembre 2022) di workshop, dibattiti, e una marcia per il clima in concomitanza con la Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica. Nel tentativo di raggiungere il red carpet, sono stati accolti dagli idranti e dai manganelli della polizia. Forse non il tipo di visibilità e attenzione che pure chiedono, per recuperare anni di colpevoli ritardi del mondo dell’informazione circa la crisi climatica. Anni spesi a dar adito a tesi negazioniste, spesso in nome di un presunto principio di imparzialità nel mostrare “l’altra versione dei fatti,” ma frutto piuttosto di una certa disonestà intellettuale e miopia visto che da decenni la comunità scientifica concorda sul tema.

Time’s up. Join the Fight Now è lo slogan del Venice Climate Camp, i cui movimenti organizzatori (il Comitato No Grandi Navi, Fridays for Future Venezia e Rise up 4 Climate) reclamano giustizia climatica, ma anche economica e sociale, indissolubilmente legate, in quanto giustizia climatica significa “voler ripristinare uno stato di salute dell’ambiente che elimini alla radice le cause del surriscaldamento globale. Per farlo, occorre cambiare modello di sviluppo e puntare a vivere un mondo senza ingiustizie, discriminazioni e oppressioni di alcun tipo”.

È stata dunque la terza edizione del Venice Climate Camp che non si è fermato nemmeno in pandemia (sebbene lo scorso anno fosse “in trasferta” a Milano per il Pre-COP26). Stavolta 700 persone sono arrivate da tutta Italia ma anche da molti Paesi d’Europa e da Colombia, Messico, Perú e oltre, per partecipare agli incontri su decolonialità e condividere con attivistə del Sud Globale pratiche di lotta per uscire dalla crisi climatica. Sono infatti le cosiddette “zone di sacrificio” con cui i movimenti ambientalisti del Nordest vogliono stringere alleanze transnazionali più forti.

Per questo, hanno invitato la biologa e attivista indiana Vandana Shiva; Havin Güneser, traduttrice ed esperta dei testi del leader curdo Abdullah Öcalan e della rivoluzione nel Rojava; Mario Alberto Castilo Quintero, attivista del movimento contro l’eolico nell’istmo di Tehuantepec nello stato di Oaxaca, Messico; Ilham Rawoot, giornalista freelance e attivista di Friends of the Earth che si batte contro l’estrazione del gas in Mozambico. Certamente il dibattito “più illuminante,” secondo due giovani studentesse di Milano.

«La privatizzazione dell’acqua, dell’elettricità, della sanità e dell’istruzione determina la crescita attraverso i profitti, ma genera povertà», spiega Shiva, che ha affrontato il tema della decolonialità e della decrescita assieme a rappresentantə delle comunità indigene messicane. E di decrescita si è parlato sempre a Venezia, sempre questo fine settimana, in un convegno organizzato, presso l’Università di Iuav, da Aeres, Rete Italiana Economia Solidale, Associazione per la Decrescita, Movimento per la Decrescita Felice e dal Support Group of the International Conferences on Degrowth for Ecological Sustainability and Social Equity.

I workshop del Camp hanno spaziato dal giornalismo alle tematiche di genere alle pratiche di resistenza dei popoli indigeni della Colombia, Paese tra i più biodiversi al mondo ma dove coloro che difendono la terra vengono spesso eliminatə (l’ultimo caso eclatante, l’assassinio di un attivista, Breiner David Cucuname, di soli 14 anni, nel gennaio 2022 durante uno scontro tra le Revolutionary Armed Forces of Colombia - FARC e ə guardianə indigene della comunità Nasa).

Certo, Venezia è un luogo simbolo per il cambiamento climatico. La città presenta da anni il problema dell’acqua alta, sebbene oggi sia più facile prevederne l’arrivo. Nel novembre 2019, “l’acqua grande” ha raggiunto il metro e 90 di altezza, causando danni alla maggior parte delle abitazioni.

«Venezia rappresenta questo equilibrio fragile su cui si regge il nostro mondo - ha detto Ruggero Sorci di Adl Cobas Veneto, tra gli organizzatori del Venice Climate Camp - Il nostro è ormai un sistema economico che si basa sulla cultura intensiva del turismo», continua. «Se Venezia resta una città-museo o una città-vetrina, è costretta a morire».

Il turismo intensivo è solo uno dei problemi della città (poi ci sono l’acqua alta, il completamento del Mose, la tutela attiva dell’ecosistema lagunare oltre alla riconversione del polo industriale di Porto Marghera). Solo il decreto (emanato dal governo Draghi) che vieta l’ingresso delle navi nella laguna pare abbia salvato Venezia dall’entrare nella black list dell’Unesco.

Sorci fa anche notare che «al di là del colore delle amministrazioni locali che si sono succedute, hanno ottenuto molto più i movimenti». Primo tra tutti, il Comitato NO Grandi Navi che ha riportato un’importante vittoria lo scorso anno. Dal primo di agosto 2021, le navi da crociera hanno infatti smesso di attraversare il bacino di San Marco e il canale della Giudecca, che per decreto ministeriale (“Salva Venezia”), sono diventati monumenti nazionali.

«Il Comitato ha saputo parlare di casa, territorio, lavoro - ha aggiunto Ruggero Tallon di No Grandi Navi - Si è trattato anche di una sconfitta per il crocerismo che va combattuto non solo a Venezia ma ovunque in quanto forma di turismo altamente inquinante». Se n’è parlato al workshop mattutino Present and Future Megacruises in the Mediterrenean, organizzato assieme ai collettivi di Nizza, Marsiglia e Palma di Maiorca, un importante momento scambio tra movimenti impegnati nella stessa lotta.

Si respira un po’ l’aria dei Social Forum al Venice Climate Camp. È diffusa anche una coscienza diversa e più inclusiva. Al Camp, tuttə sono gentilə e disponibilə, la cucina è vegana e gluten free. C’è il bagno (con doccia) per chi ha le mestruazioni e la Flinta Shower (dove “Flinta” sta per “Female Lesbian Intersex Non-binary Transgender Asexual”) perché la lotta climatica è anche transfemminista. Deve, di fatto, al transfemminismo importanti intuizioni e direzioni di lotta.

Tantissimə studenti delle superiori popolano il campeggio. Sono allegrə e adorano ballare fino a notte fonda ma lo vogliono fare in maniera inclusiva (il pogo è ripetutamente scoraggiato dalla consolle). Il Venice Climate Camp si è tenuto al Lido a pochi chilometri dalla Mostra del Cinema, dal mondo del jet set. Siamo noi i registi della storia” recita uno degli striscioni alla manifestazione, rivendicando un protagonismo nel mondo del reale. Certo è che la Realtà sta superando davvero l’Immaginazione (Paolo Virzì ha presentato proprio alla Mostra del Cinema Siccità, con le sue immagini del Tevere essiccato). Di fatto, l’estate che sta finendo ha visto la più grave siccità degli ultimi 20 anni, in particolare, la più grande crisi idrica da 70 anni nella pianura Padana.

Avevamo già visto tuttə le immagini shock, reali, del Po secco. Contro le devastazioni causate dal cambiamento climatico c’erano sempre loro. Il 9 luglio, i movimenti ambientalisti del Nordest hanno occupato la fabbrica della Coca Cola a Nogara in provincia di Verona per protestare contro il consumo di acqua, mentre i giornali titolavano che non si trovava l’anidride carbonica.

In agosto, poi, racconta Giulia Cacopardo di Rise up 4 Climate Justice, sono statə in Germania e assieme a Ende Gelände hanno occupato il Kattwyk Railway Bridge che conduce al porto di Amburgo per protestare contro pratiche colonialiste ed estrattiviste. In particolare, quest’anno Ende Gelände, movimento di disobbedienza civile attivo dal 2015, si è concentrato nella mobilitazione contro l’utilizzo delle coste tedesche come terminali per il gas naturale liquido (anche la polizia tedesca ha represso con la violenza l’eco-mob di Ende Gelände).

Alla marcia per il clima di Venezia del 9 settembre hanno partecipato circa un migliaio di persone. Grande assente la Politica ma anche i sindacati confederali. A coloro che stavano al campeggio si sono unite altre delegazioni di comitati e movimenti locali e nazionali, tra cui Extinction Rebellion, Società della Cura e una consistente presenza di lavoratori ex Gkn, la fabbrica di semiassi e componentistica dell’automotive di Campi Bisenzio, Firenze, in assemblea permanente dal 9 luglio 2021, quando il fondo finanziario Melrose (proprietario dal 2018 di Gkn) ha chiuso lo stabilimento lasciando a casa 422 metalmeccanici oltre all’indotto.

I movimenti ambientalisti del Nordest, che hanno visitato di recente il presidio di Campi Bisenzio, guardano ai lavoratori ex Gkn come a un faro di resistenza, fin dal momento in cui hanno allargato lo scopo della loro lotta, a partire dalle proteste contro il G20 a Roma dell’autunno scorso e soprattutto dopo la partecipata mobilitazione a Firenze del 25-26 marzo organizzata con i Fridays for Future.

I lavoratori ex Gkn hanno infatti da subito rifiutato di essere additati come parte del problema della transizione ecologica in quanto operai nel settore dell’automotive e si sono attivati per essere parte della soluzione stilando un progetto di riconversione del sito produttivo di Campi Bisenzio con la collaborazione di università e il coinvolgimento della comunità e finanziato da enti pubblici (nessun soggetto ha per adesso preso in considerazione la loro proposta di sviluppo di un polo per la mobilità sostenibile).

Ancora in attesa che la Politica risponda alle pressanti richieste dei movimenti ambientalisti, chi ha partecipato al Venice Climate Camp da appuntamento al 23 settembre per il Global Climate Strike e alla mobilitazione nazionale del 22 ottobre a Bologna contro il passante.

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