Diritti

Italia: il part-time involontario colpisce il 52% degli occupati

I dati presentati dal Forum Disuguaglianze e Diversità rivelano come quasi il 36% dei contratti attivati nel primo semestre del 2022 sia a tempo parziale: le persone più colpite sono le donne
Credit: Anastasia Shuraeva 
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7 maggio 2024 Aggiornato alle 17:00

È una realtà sempre più diffusa quella del part-time involontario, soprattutto tra le donne: è quanto emerge dal report Da conciliazione a costrizione: il part-time in Italia non è una scelta. Proposte per l’equità di genere e la qualità del lavoro, presentato ieri in Senato dal Forum Disuguaglianze e Diversità.

I dati del report

Nel corso degli ultimi decenni, il part-time in Italia ha assunto un ruolo ambivalente: da strumento per bilanciare vita lavorativa e privata si è trasformato in una forma di marginalizzazione, con ripercussioni principalmente sulle donne.

Se infatti nel corso degli anni ’90 si è registrato un aumento della partecipazione femminile nel mercato del lavoro, al fenomeno si è accompagnato un incremento del part-time: sebbene possa sembrare un progresso positivo, se confrontato con le altre Nazioni europee il dato rivela una realtà diversa. Infatti, il tasso di occupazione femminile rimane significativamente inferiore rispetto alla media Ue, con un gap che colloca il Paese tra i peggiori.

A rendere ancora più critica la lettura di questo dato è la prevalenza del part-time involontario, che raggiunge il picco più alto in Europa, con oltre il 51,9% dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici costretti a scegliere questa modalità di impiego. In questo senso, spiega il report, più della metà dei 4 milioni di lavoratori part-time vorrebbe un impiego a tempo pieno. E sebbene le donne rappresentino solo la metà degli occupati, costituiscono la maggioranza dei part-time, con un’incidenza tripla rispetto agli uomini.

Più nello specifico, stando ai dati Istat sulla Rilevazione sulle forze di lavoro emerge che le donne sono le più colpite sotto ogni profilo, da quello socio-economico a quello territoriale, passando per la tipologia contrattuale o di settore. Ancora, i dati dicono che il part-time involontario è più diffuso nel Mezzogiorno, tra le persone straniere, tra chi possiede un basso titolo di studio e chi ha un impiego a tempo determinato.

«Ormai è noto che sempre più lavoro è precario e mal retribuito, e non è sufficiente a uscire da una condizione di povertà. In questo quadro, anche il part-time da strumento di conciliazione di vita e di lavoro rischia di diventare uno strumento di ulteriore precarizzazione, soprattutto quando viene imposto e non è una scelta del lavoratore, e in particolare della lavoratrice» commentano Fabrizio Barca e Andrea Morniroli, co-coordinatori del Forum.

Quanto affermato trova conferma nei dati Inps, che evidenziano una crescita del lavoro femminile all’insegna, però, della precarietà e della debolezza contrattuale, scaturita dalla compresenza di due fattori di criticità: la forma contrattuale e il tempo parziale.

In particolare, su tutti i contratti attivati nel primo semestre del 2022 il 35,6% è part-time: sul totale dei contratti attivati a lavoratrici donne, quasi la metà (49%) è a tempo parziale, contro il 26,2% dei contratti attivati agli uomini.

Le proposte di intervento

Il quadro descritto dal report lascia emergere l’urgenza di intervento, e, secondo la senatrice Susanna Camusso, che ha preso parte al gruppo di lavoro, ci sono 3 possibili aree su cui lavorare: contrattazione, disincentivo alle forme involontarie di part-time e aumento dei controlli.

Per quel che riguarda la contrattazione, essendo che il part-time è una formula sempre più sfruttata e in alcuni casi abusata, è necessario migliorare gli strumenti per la tutela contrattuale e prevedere che i contributi previdenziali costino di più: solo in questo modo chi è obbligato a lavorare con questa formula riuscirà a versare i contributi necessari al fine pensionistico.

Ancora, è necessario disincentivare le forme involontarie di part-time, inserendo un sistema di denuncia per il lavoratore e la lavoratrice, costruendo una politica di incentivazione per la trasformazione di questi contratti in tipologie full time.

Infine, sarebbe necessario aderire alla raccomandazione europea che prevede l’aumento degli ispettori del 20%, così da consentire il monitoraggio delle clausole concordate nella contrattazione e delle ore effettivamente lavorate, che spesso non coincidono con quelle riportate sul contratto.

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