Economia

Tasso occupazione femminile: Italia ultima nell’Unione europea

Nella Penisola 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo la gravidanza. Grande il divario di genere nella retribuzione e nelle discipline Stem. Lo racconta il nuovo dossier del Servizio Studi della Camera
Credit: Alena Shekhovtcova  

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13 febbraio 2024 Aggiornato alle 09:00

Un dossier del Servizio Studi della Camera, pubblicato nelle scorse settimane, ha evidenziato le forti disuguaglianze di genere in Italia. Il nostro Paese è infatti il fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile, con un forte divario nella partecipazione maschile e femminile al mercato del lavoro, cui si aggiunge un gap retributivo e del tipo di lavoro svolto.

In Italia il tasso di occupazione femminile “risulta essere - secondo dati relativi al quarto trimestre del 2022 - quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Ue: il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55%, mentre il tasso di occupazione medio Ue è stato pari al 69,3%”, evidenzia lo studio.

Sopra la media Ue del 30% è invece il tasso di inattività femminile, che si attesta in Italia al 43,6%.

La scarsa partecipazione femminile al mondo del lavoro viene confermata anche nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics): secondo il rapporto Istat sui livelli di istruzione e i ritorni occupazionali riferito al 2022 (pubblicato a ottobre 2023), è la metà di quella che si riscontra tra gli uomini laureati.

Inoltre, i giovani adulti (25-34 anni) aventi un titolo terziario e laureati in discipline Stem sono il 23,8%, dato che sale al 34,5% per gli uomini, ma che crolla al 16,6% per le donne: meno di una laureata su cinque.

“L’occupazione femminile è caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne”, si legge nel documento. Per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5% (al di sotto della media europea che in Italia è del 13%), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43% (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2%).

Per quanto riguarda le caratteristiche dell’impiego, la bassa partecipazione delle donne al lavoro è determinata da vari fattori, quali l’occupazione ridotta e in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici. C’è poi una grande prevalenza nei lavori part time, che interessa poco meno del 49% delle donne occupate contro il 26,2% degli uomini.

Nel 2022 la retribuzione media annua è risultata “costantemente più alta” per gli uomini, evidenzia lo studio, citando i dati Inps: 26.227 euro per gli uomini contro i 18.305 euro per le donne, con una differenza di 7.922 euro.

Difficoltà che si rispecchiano anche nei servizi per l’infanzia. Questi, infatti, registrano criticità serie, che impattano sulla capacità delle madri di conciliare la vita familiare con quella professionale. Sebbene l’offerta dei nidi risulti in ripresa dopo la pandemia (+1.780 posti), “le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno”. Con una penalizzazione maggiore per le “famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese”.

L’assenza di servizi e le forti pressioni sulle neo-mamme hanno come conseguenza l’aumento della disoccupazione. Una donna su cinque esce dal mercato del lavoro proprio a seguito della gravidanza. La decisione di lasciare il lavoro è determinata per oltre la metà delle donne (52%) da esigenze di conciliazione e per il 19% da considerazioni economiche.

L’istruzione invece “si conferma fattore protettivo per l’occupazione delle donne con figli piccoli”: con un livello di istruzione più elevato, infatti, la differenza occupazionale tra donne che hanno figli e donne che invece non li hanno è molto bassa.

Raggiungere l’uguaglianza di genere aumenterebbe la forza lavoro italiana. Se l’occupazione femminile raggiungesse infatti la media Ue (69,3%) si avrebbero circa 2,3 milioni di lavoratrici in più, come dimostra un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio sulle dinamiche dell’occupazione femminile, dipendente e indipendente. Secondo lo studio, il settore che trascina l’occupazione femminile in Italia è quello terziario. Il lavoro delle donne, dipendenti o indipendenti che siano, nel quadriennio 2019-2023 ha segnato una crescita del 13,3% – di cui la crescita più accentuata ha riguardato proprio il terzo settore (+15,8%) – contro il 10,2% del totale composto da uomini e donne. Scendendo nel dettaglio, nella fascia tra i 15 e i 64 anni, l’occupazione delle donne in Italia secondo i dati Eurostat riferiti al 2022 è al 51,1% a fronte del 64,9% in Ue.

Nonostante ciò, il gap con gli altri Paesi dell’Unione europea è ancora evidente. «Considerando l’attuale dislivello nel nostro Paese fra occupazione femminile (dipendente e autonoma) e quella maschile - ha commentato Anna Lapini, Presidente di Terziario Donna Confcommercio - è chiaro che bisogna mettere in campo azioni mirate per promuovere l’imprenditoria femminile, che rappresenta ancora solo il 22% del totale delle imprese, e sostenere le attività economiche del terziario, perché è nei nostri settori dove l’occupazione femminile cresce maggiormente».

L’aumento del tasso di occupazione femminile avrebbe ricadute positive anche sul Pil, con benefici per tutti e tutte. A livello globale, un’analisi del Fondo Monetario Internazionale stima che l’incremento della partecipazione femminile alla forza lavoro contribuirebbe a una crescita annuale nei Paesi emergenti e in via di sviluppo dell’8% circa, contro un 5,9% del 2022. Per le economie avanzate, invece, la crescita sarebbe del 5% annuo circa, contro un attuale 1,2% medio.

Un dato che gioverebbe particolarmente all’economia italiana il cui Pil, stima l’Istat, ha un tasso di crescita per il 2023 e per il 2024 dello 0,7%.

Questo dato viene confermato anche da un’analisi dell’Ocse, che stima che l’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro genererebbe un Pil annuo di 28 trilioni di dollari nel 2025 (+26% rispetto a uno scenario immutato). Inoltre, va osservato che ciò incrementa la diversificazione economica e lavorativa, che sostiene a sua volta la resilienza del sistema economico rispetto a scenari di crisi.

Dunque, più donne lavorano, più aumenta la ricchezza e questo trasforma la parità di genere in una priorità anche politica. Secondo il Fmi, tra i modi con cui i governi possono stimolare la crescita non dovrebbero mancare, insieme alle riforme finanziarie e della governance, le misure volte a contrastare il gender gap. Il Fondo suggerisce, a tal proposito, l’abbattimento delle barriere alla partecipazione al mercato del lavoro e all’istruzione, più diritti legali e servizi di assistenza.

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