(Karolina Grabowska )
Culture

Perché non è semplice lavorare nell’editoria italiana?

L’auto-inchiesta di Redacta, sindacato dei lavoratori del settore, rivela quanto sia difficile guadagnarsi da vivere con i libri: salari insufficienti, nessuna crescita professionale, disorganizzazione, continue richieste di mansioni extra sono i problemi più citati dagli intervistati
di Silvia Giagnoni

Domani inizia il Salone del Libro di Torino, il più importante evento dell’editoria italiano, mentre a ottobre il Belpaese sarà ospite d’onore alla Buchmesse di Francoforte. Ma come sta chi lavora nel settore dei libri?

Non bene, secondo l’auto inchiesta presentata ad aprile da Redacta, il sindacato dei lavoratori dell’editoria. I risultati di Vale davvero la pena di lavorare in editoria? parla chiaro: del solo lavoro editoriale di rado si riesce a vivere; di fatto, soltanto la metà dichiara di farcela. Secondo il sondaggio, il reddito medio annuo netto di chi lavora solo nell’industria libraria è di 17.660 euro. I compensi troppo bassi condizionano l’autonomia abitativa e la stessa scelta di avere figli. Salari magri a fronte di qualifiche in genere elevate (più della metà ha almeno una laurea magistrale, se non un dottorato) e disorganizzazione del lavoro sono i problemi principali rilevati, a cui si aggiungono lunghi tempi di pagamento, mancanza di crescita professionale, richiesta di mansioni extra.

«Vogliamo rompere con l’idea che considera lavorare coi libri una cosa bellissima», ha dichiarato Silvia Gola di Redacta dal palco del Festival della Letteratura Working Class. Quante volta abbiamo sentito la frase “Con la cultura non si mangia”?

Per sconfiggere il lavoro culturale povero, Redacta ha elaborato il redalgoritmo (algoritmo redazionale o algoritmo “red”), uno strumento di libero accesso per calcolare il giusto compenso per i lavori editoriali, nonché la guida ai compensi dignitosi. Costituitasi nel 2019, Redacta rappresenta le lavoratrici e i lavoratori dell’editoria; fa a sua volta parte di Acta, attiva dal 2004 come associazione nazionale dei freelance e che si batte affinché il lavoro autonomo sia riconosciuto, valorizzato e rappresentato nelle scelte economiche e politiche, chiedendo un equo welfare e un’equa fiscalità (è anche frutto del lavoro di Acta l’approvazione nel 2017 dello Statuto del Lavoro Autonomo, primo provvedimento organico sul lavoro non dipendente in Italia).

«Redacta nasce su iniziativa di soci e socie di Acta come inchiesta sulle condizioni del mondo dell’editoria - ha spiegato Marta Casini, redattrice freelance che fa parte dell’associazione sin dagli esordi - Mancavano informazioni (…) Quindi il primo passo è stato ricostruire un quadro della situazione attraverso interviste, focus group e il nostro primo sondaggio».

Chi si associa all’Adacta, inoltre, può accedere all’Osservatorio: un database in continuo aggiornamento che fornisce informazioni su tempi di pagamento, modalità dell’accordo, tariffe dei vari committenti sui lavori di traduzione, editing, revisione di traduzione, impaginazione, ghost writing, illustrazione e altro.

Lavorare nell’editoria: un po’ di dati

All’auto inchiesta, svoltasi tra giugno e settembre 2023, hanno risposto in 825, per lo più soggetti tra i 25 e i 40 anni. Ne emerge che il mondo del lavoro editoriale è composto soprattutto da donne, che rappresentano oltre tre quarti dei rispondenti e guadagnano il 18% in meno rispetto agli uomini.

Si lavora tanto (oltre 8 ore al giorno dichiara il 45%), di notte (il 15%) e il 40% di chi lavora principalmente nell’editoria dichiara di essere spesso operativo nei fine settimana: il 10%, sempre.

I risultati del sondaggio mostrano anche un’elevata frammentazione degli inquadramenti: esistono partita Iva (29,4%), dipendenti a tempo indeterminato (28,8% che rappresentano anche coloro che hanno i redditi più alti), a diritto d’autore (13,6% che invece hanno i più bassi); inoltre, nel campo dell’editoria specialistica e scolastica si registrano i redditi più alti.

Nel settore, poi, il lavoro viene spesso esternalizzato. Più di 1 persona su 3 (36,2%) non firma mai o quasi mai un contratto. Oltre due terzi non sono dipendenti e “il 60% di chi lavora in maniera autonoma dipende fortemente da un solo cliente”. Avere più clienti significa in genere avere anche una maggiore potere contrattuale (di fatto, chi ne ha soltanto uno non ne possiede affatto).

La mancanza di riferimenti

Non esistono dati statistici sulla remunerazione del lavoro editoriale, forniti da Istat o Aie - Associazione italiana editori; per questo sono nate le indagini realizzate da lavoratrici e lavoratori del settore, come Editoria Invisibile: Un’inchiesta sui lavoratori precari nell’editoria (Franco Angeli 2013) e quelle di Acta (2022) e Redacta (2024).

Esiste senza dubbio una questione culturale. Nelle università italiane non si insegna a lavorare nel settore, non esistono corsi di laurea in scrittura creativa, solo singoli corsi qua e là; proliferano, d’altra parte, le scuole di scrittura e di editoria pagamento e i master dedicati per imparare come lavorare nel mondo dei libri. Un bacino di forza lavoro gratis (o quasi) da cui le case editrici attingono attraverso “tirocini dal dubbio contenuto formativo”, come riporta l’indagine di Acta, Dietro le Quinte. Indagine sul lavoro autonomo nell’audiovisivo e nell’editoria libraria (2022). «Un sistema di sfruttamento collaudato e reiterato», come ha definito Casini l’utilizzo dello stage.

«Vogliamo promuovere una narrazione in cui non competiamo ma congiuriamo», ha dichiarato Gola. Quella dell’editoria è una filiera problematica. Tra gli esempi di casi più o meno noti: Grafica Veneta di Trebaseleghe, denunciata dai lavoratori dei Si Cobas, con l’arresto di due manager per caporalato; il centro della logistica di Stradella La Città del Libro, da cui entrano ed escono 90 milioni di volumi l’anno e che in passato è stata “colpita” da diversi scioperi. «Come si fa a parlare di sfruttamento dentro i libri se poi il libro è fatto con lo sfruttamento di chi lo scrive», ha aggiunto Gola.

Con l’obiettivo di imporre una reale sostenibilità nella filiera del libro, nel 2018 è nata l’Associazione Degli Editori Indipendenti (Adei), che rappresenta oltre 250 editori in Italia e che ha contribuito all’elaborazione e al passaggio della Nuova Legge sul Libro e la Lettura, per salvaguardare le librerie indipendenti e promuovere la lettura.

Il mercato dell’editoria

L’editoria libraia resta uno dei pochi settori della cultura in Italia fondamentalmente in balia alle logiche di mercato, come ha ricordato di recente Nicola La Gioia, scrittore ed ex direttore del Salone del Libro: non riceve finanziamenti pubblici, a differenza della carta stampata, del cinema o del teatro.

L’editoria resta un settore economicamente a bassa marginalità e con alto rischio: a fronte di costi fissi elevati, sono spesso molte le copie invendute; la distribuzione, poi, pesa il 60% sul prezzo di copertina. Nel 2023, sono stati stampati oltre 111 milioni di libri in Italia, ma il costo della carta, un’industria energivora e quindi fortemente dipendente dal prezzo del gas, è aumentato a partire dal 2020.

Autori e autrici

Un discorso ad hoc meritano autrici e autori: chi scrive, traduce o disegna rappresenta il 31% delle 825 persone che hanno partecipato all’auto inchiesta di Redacta. Sono loro che «fanno ancora più fatica a concepirsi come forza-lavoro», ha fatto notare Gola, sebbene sia proprio chi svolge attività autoriali a guadagnare meno nel settore, seguito da chi svolge mansioni redazionali. La maggior parte delle figure autoriali (72%) non viene pagata a royalties: Redacta la chiama “la trappola della passione” (ma anche della visibilità) e chiunque lavora nel settore sa di cosa si parla.

«Tutti pensano sempre che non parlarne sia meglio», ha detto Simona Baldanzi, scrittrice e attivista. Nel 2010, Baldanzi, Carolina Cutolo, Sergio Nazzaro e Alessandra Amitrano hanno creato Scrittori in causa, un blog che si proponeva di parlare di questioni contrattuali nonché di fornire consulenza, cosa che Cutolo ha portato avanti per qualche anno con l’aiuto (pro bono) di esperti - esperte in diritto di autore. «Lo sportello online è durato qualche anno. Senza finanziamenti, non poteva continuare», ha detto la scrittrice. I tentativi di strutturarsi a livello sindacale, anche tramite la Cgil, confluendo nel Sindacato dei Lavoratori della Conoscenza (Slc), si sono arenati dopo la morte improvvisa dello scrittore e giornalista Alessandro Leogrande, vero motore e collante del neonato gruppo.

Si può vivere di sola scrittura?

Quindi, ci sono problemi strutturali che possono essere ricondotti a motivi di carattere culturale, ma mancano fondi statali a sostegno di chi fa arte e cultura. A esclusione delle poche residenze artistiche, fare della scrittura proprio mestiere resta un privilegio di poche persone e pone chi lo fa in una posizione assai ricattabile.

In Francia e in Belgio, per esempio, esiste l’intermittence, che consente agli artisti e alle artiste di esser pagati anche nei periodi in cui non “producono”, mentre in Italia, pur di lavorare si deve essere disposti ad accettare qualsiasi condizione, come rilevava il 95% di coloro che hanno partecipato a Vita da artisti, la prima indagine del genere condotta da Cgil e Slc e Fondazione Di Vittorio nel 2017.

La situazione non è poi migliorata con la pandemia. Esiste il Fondo Psmad, una cassa di emergenza gestita dall’Inps, per artisti, musicisti, scrittori e lavoratori dello spettacolo, ma occorre essere iscritti e, di fatto, è sconosciuto a molti.

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