Economia

Finanziamenti bancari: le donne ricevono 70 miliardi in meno rispetto agli uomini

Nel 2023 alle italiane sono stati concessi 95 miliardi di prestiti da istituti di credito (20,7%), contro 164 miliardi alla loro controparte maschile (34,5%). I dati del report Credit Gender Gap di Fabi
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4 aprile 2024 Aggiornato alle 13:00

La Federazione Autonoma Bancari Italiani (Fabi) ha pubblicato l’ultimo report sul Credit Gender Gap, ovvero la disuguaglianza di genere nell’accesso al credito bancario.

Lo stock dei finanziamenti alle famiglie concesso dagli istituti, nel 2023, ammontava a oltre 474 miliardi di euro, considerando anche i 216 miliardi erogati con contratto cointestato (45,5%): rispetto al totale, alle donne sono arrivati 95 miliardi di euro (20,75%); per gli uomini, invece, il credito ammontava a 164 miliardi (34,5% del totale).

Le Regioni peggiori per finanziamenti erogati alle donne sono: Campania, Puglia, Veneto, Sicilia, Basilicata, Lombardia, Piemonte e Calabria, dove il credito non supera la media nazionale del 20%. Le 3 migliori, invece, sono Valle d’Aosta, Sardegna e Lazio, dove i finanziamenti bancari arrivano rispettivamente al 25%, 23,2% e 22,9%.

Tra le ragioni principali di questo divario tra Regioni: un tasso di occupazione basso e una dotazione di salari e patrimoni (in particolare immobiliari) inferiori rispetto alla popolazione maschile. Come rileva Odm Consulting, il divario salariale tra uomini e donne è cresciuto nel 2023 di 7 decimi percentuali, arrivando in media a un gap del 10,7%. La differenza è, annualmente, tra i 3.000 e i 16.000 euro annui, a seconda dell’inquadramento e del settore.

Inoltre, dati Eurostat evidenziano come l’Italia sia ultima in Europa per tasso di occupazione femminile (51,1% contro una media Ue del 64,9%), e sia invece ampiamente sopra la media europea del 30% per quanto riguarda il tasso di inattività femminile (43,6%).

L’effetto collaterale è il radicamento del gender pay gap anche all’interno del sistema previdenziale, dove le pensioni “rosa” sono fortemente penalizzate. Le pensionate italiane percepiscono in media un assegno mensile di 1.416 euro, mentre gli uomini incassano 1.932 euro secondo dati Covip-Istat.

Inoltre, a partire dal 2020, l’età media di pensionamento femminile ha superato quella maschile (nel 2022 una donna è andata in pensione a 64,7 anni, un uomo a 64,2 anni) e, nonostante negli anni si sia ridotto, persiste il divario di anzianità contributiva tra i due generi: nel 2021 le donne andavano in pensione con una media di 200 settimane contributive in meno rispetto ai colleghi uomini. E intanto sono ancora poche le lavoratrici che, rispetto alla controparte maschile, accedono alla previdenza complementare (il tasso femminile ammonta 38,2% contro il 61,2% maschile).

Il divario tra donne e uomini trova conferma anche nell’analisi di genere sui titolari dei prestiti: il totale dei finanziamenti è pari a 4,7 milioni. Di questi, 1,9 milioni sono riconducibili a uomini, 1,1 milioni a donne, mentre le cointestazioni ammontano a 2 milioni e 84.000 unità. Nel Nord Ovest i contratti sono 1,6 milioni e di questi 372.000 registrati da donne, 588.000 da uomini, 672.000 cointestati; nel Nord Est, invece, i contratti sono 1,1 milioni e di questi 258.000 sono intestati a donne, 426.000 a uomini, 434.000 cointestati. Altri 1,1 milioni sono i contratti nel Centro Italia: 279.000 stipulati da donne, 416.000 dagli uomini, 428.000 cointestati. Poi c’è il Sud con 895.000 contratti, di cui 174.000 intestati a donne, 343.000 agli uomini, 377.000 cointestati; infine, le Isole: 449.000 contratti con 98.000 per le donne, 178.000 per gli uomini, mentre le cointestazioni risultano 172.000.

La situazione è analoga anche all’interno del settore finanziario: oltre 1 lavoratore su 2 è donna. Considerando le banche, le assicurazioni e gli appalti, secondo il report della Fisac Cgil basato su dati Inps, le donne sono il 50,5% del totale, pari a poco più di 249.000 addette rispetto ai 244.000 lavoratori.

Pur essendo maggioranza assoluta, sono tuttavia minoranza nei ruoli apicali e hanno mediamente stipendi più bassi. Tra gli impiegati le donne sono infatti il 60%, contro il 40% degli uomini. Nei ruoli di vertice le donne sono il 35% mentre gli uomini sono il 65%, sebbene il dato sia in forte crescita rispetto a un decennio fa. La quota si restringe ancora di più tra i dirigenti, dove le donne sono meno di 2 su 10.

Eppure, l’apporto femminile all’interno dei vertici aziendali è ampiamente riconosciuto: come sottolinea l’Harvard Business Review, la presenza di donne all’interno dei Cda migliora la qualità dei processi decisionali, favorisce la depoliticizzazione del dialogo e riduce il problema dell’ “ignoranza pluralistica”. Questo perché tendenzialmente le donne arrivano più preparate degli uomini, risultano essere più aperte al dialogo, facendo domande ed esprimendo dubbi e preoccupazioni quando necessario. E aiutano anche la crescita aziendale: come evidenzia da McKinsey, le imprese con una rappresentanza femminile superiore al 30% nell’ambito del top management hanno molte più probabilità di registrare buoni rendimenti finanziari, addirittura superiori rispetto alle aziende con una quota femminile pari o inferiore al 30%.

La finanza, dunque, appare un ambiente inospitale alle donne: sia sul fronte dell’accesso a prestiti e finanziamenti, a causa dell’impossibilità di dare garanzie, che su quello occupazionale. Affinché ciò cambi, è necessario consentire alle donne di avere impieghi stabili, sostenibili e con salari uguali a quelli degli uomini, nonché di accedere ai ruoli apicali. Perché l’uguaglianza di genere crea ricchezza, e aiuta anche l’economia a circolare meglio, oltre che a rendere la società più inclusiva.

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