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Telmo Pievani: «La migrazione è il combustibile del cambiamento»

Nomadic: canto per la biodiversità unisce scienza, arte, musica e geopolitica per esplorare le rotte migratorie umane e animali. La Svolta ne ha parlato con il filosofo e coautore dello spettacolo (insieme a Gianni Maroccolo)
Telmo Pievani
Telmo Pievani
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7 maggio 2024 Aggiornato alle 12:00

Vai perché hai sentito il richiamo del cuculo. Vai perché hai incontrato qualcuno, hai fatto un voto, non ci sono più cavallette. Vai perché arriva il freddo, arriva la primavera, arrivano i soldati. Peste, inondazione, un’era glaciale, una nuova religione, una nuova idea. Vai perché il mondo gira, perché il mondo sta cambiando e hai perso la chiave. Vai perché hai il regno dei cieli nel cuore e il regno dell’inferno si è impadronito del cuore di un altro.

Questi meravigliosi versi tratti dalla poesia Time to fly di Ruth Padel, poetessa, classicista e ambientalista, nata a Londra 78 anni fa, (oltre a essere citati) tracciano un meraviglioso filo rosso che segna la continuità contenutistica di grande impatto nello spettacolo Nomadic: canto per la biodiversità.

La nota scrittrice e attivista, pronipote di Charles Darwin, ha fatto da musa ispiratrice ai due coautori Telmo Pievani e Gianni Maroccolo. Ne è venuto fuori un esperimento ampiamente riuscito di contaminazione tra scienza, arte, musica, politica e geopolitica, perfetto per affrontare, trattare, affascinare pubblici trasversali per età, censo, aree geografiche e culture, attorno al tema complesso delle migrazioni.

In un momento storico segnato, da una parte, da ondate migratorie forzate, indotte da conflitti, regimi liberticidi o disastri ambientali e, dall’altra, da progressivi arroccamenti e chiusure del nord globale e dall’incapacità di assumersene responsabilità e accogliere, Nomadic, con la delicatezza dell’arte e il rigore della scienza, esplora le rotte migratorie umane e animali con empatia e profondità esaltando il concetto delle radici comuni di tutti i popoli e le specie della terra.

Per entrare dentro questa seducente avventura e capirne meglio origini e senso, La Svolta ha intervistato lo scienziato Telmo Pievani, uno degli autori dello spettacolo.

Oggi quando si parla di “migrazioni” si evoca immediatamente un’accezione sempre più negativa: emergenze, presunti assedi, problemi di sicurezza ecc. Nel vostro spettacolo c’è un ribaltamento del concetto: con il sostegno della scienza Nomadic sembra dire “attenzione, senza migrazioni, non c’è evoluzione”. È così?

Questo progetto è nato con due esigenze, una metodologica e una sul contenuto. Io mi occupo di migrazioni antiche di specie umane e animali e il primo insegnamento che ho tratto fin dai miei primi studi è che la migrazione è il combustibile del cambiamento, è una formidabile strategia adattativa di ogni essere. Distribuisce e genera diversità, nuove specie, l’effetto del fondatore, tutti termini scientifici ma che sono applicabili a ogni contesto. Darwin parlava della migrazione come fiume della vita: senza migrazioni ci sarebbero molte meno diversità e l’evoluzione si sarebbe inceppata. Nietzsche dice che se tu vuoi capire, devi uscire dalle alte e robuste mura e assumere la postura del viandante. C’è bisogno di uno sguardo alto, al di fuori delle mura, non strumentale, esattamente al contrario di come è ridotto ora il dibattito pubblico sulle migrazioni.

Il vostro spettacolo ha un carattere scientifico ma, attraverso l’aiuto dell’arte, affronta anche temi politici e geopolitici. Parlando di migrazioni di esseri umani assistiamo a un modello di gestione del fenomeno che costringe centinaia di migliaia di esseri umani a fare viaggi assurdi e a morire quando sarebbe meglio per tutti immaginare accessi legali. Se si trovasse di fronte un sovranista convinto, cosa direbbe per persuaderlo dell’illogicità prima che della disumanità di certe teorie?

Abbiamo pensato molto a questo aspetto nella costruzione dello spettacolo. Io ho scelto di non prendere mai la questione di petto, ma di farmi aiutare da vari linguaggi per offrire strumenti di riflessione, antidoti. Sulla questione delle migrazioni umane si dicono delle evidenti sciocchezze che tecnicamente non stanno in piedi. Ma su sciocchezze come sostituzioni etniche, invasioni etc, che non hanno alcun fondamento, si accumulano responsabilità gravissime, anche maggiori rispetto ad anni fa. Nel 2023 si è calcolato che ci sono state 6 vittime al giorno, un numero enorme, in aumento. Come scienziato mi trovo a dover fare i conti con un fenomeno simile al sovranismo, cioè il negazionismo. Mi sono persuaso che i più accesi in queste convinzioni non li cambi, è uno sforzo inutile. È importante invece dare strumenti a tutti gli altri: ce ne sono tanti che stanno a osservare, che sono incerti. Su loro si può fare qualcosa.

Nel corso dello spettacolo, fatto di musiche, immagini, monologhi, si susseguono molte frasi e concetti significativi. Ne vorrei citare due e chiedere a lei una sinossi: “Ognuno di noi viene da un altro luogo”; “All’homo sapiens e alle sue migrazioni si deve la nascita del concetto della speranza”.

La prima è una bellissima frase che dà il titolo a un libro di Ruth Padel, We all come from somewhere else, composto da un alternarsi di prosa e poesia. L’ho conosciuta al Festival della letteratura di Mantova lo scorso anno e ne sono rimasto folgorato. Quello che dice è una verità di fatto, tutti noi proveniamo da un luogo precedente: noi bianchi, anche i sovranisti, per quanto facciano difficoltà ad accettarlo, siamo tutti discendenti da persone nere e lo schiarimento della pelle è un fenomeno molto recente che risale a 10.000/12.000 anni fa.

Le migrazioni si sono evolute. Quelle animali sono in alcuni casi dettate da geni, altre sono invece “culturali” (per esempio quelle di renne, caribù), cioè non dettate geneticamente, sono scelte che i cuccioli apprendono dai loro genitori. Per quanto riguarda gli esseri umani, le migrazioni sono state non intenzionali per molto tempo: l’essere umano inconsapevolmente si spostava da un luogo all’altro. Poi dal neolitico le migrazioni sono divenute intenzionali: decido, mi organizzo e vado. Ciò è stato possibile grazie al linguaggio, alla capacità di immaginazione, perché se non sei capace di immaginare non puoi inseguire animali per settimane o non puoi pensare che ci sia un’altra terra al di là del mare, a esempio. E qui, come dice Padel, i nostri desideri diventano immateriali e nasce la speranza”.

Si può dire in un certo senso che la speranza sia nata con la migrazione…

È una meravigliosa metafora.

Lei è molto impegnato sul fronte della comunicazione della scienza e lo spettacolo è un esempio diretto. Crede che la comunicazione della scienza possa generare pace, comprensione del destino comune, un maggiore livello di convivenza?

Secondo me sì, ma dipende da come la si comunica. Le cito un dato: in Italia i festival, le mostre, gli incontri a carattere scientifico hanno successo, anche più rispetto ad altri Paesi. Ma non dobbiamo illuderci né bearci del grande pubblico che partecipa perché se vai a guardare di quanti italiani parliamo vedi che sono 600.000 e sempre quelli. Parliamo a una esigua minoranza, neanche il 3% della popolazione. Quindi è bene restare umili e capire che i restanti 59 milioni non li sfiori. Allora bisogna sicuramente andare di più in tv e sul web ma soprattutto dobbiamo mescolare i linguaggi; mettere insieme scienza, musica, poesia, che ci permettono di parlare, non solo a chi la pensa come noi. Nel progetto Nomadic io rinuncio a essere esaustivo proprio per fare spazio a sguardi, format e linguaggi nuovi che permettano un nuovo stupore nel pubblico.

Restando sempre sulla comunicazione, c’è una grossa difficoltà che si registra nella comunicazione della crisi climatica e di cosa fare per limitarne i drammatici effetti. Dov’è che stiamo sbagliando e cosa andrebbe fatto secondo lei?

C’è somiglianza rispetto al tema delle migrazioni: entrambi sono temi scomodi perché ci dobbiamo impegnare tutti, dobbiamo cambiare; toccano la nostra pigrizia. E poi, soprattutto nella questione ambientale, il tema è estremamente complesso, è contro-intuitivo, devi spiegare cos’è un modello e tanti aspetti non semplici. Non voglio cercare giustificazioni, si sono fatti molti errori e io sono autocritico: ci siamo illusi che bastava l’evidenza e qualche slide. Purtroppo non funziona così per questo abbiamo pensato a Nomadic. Nello spettacolo cito molti dati ma li mescolo a una narrazione.

Un altro grosso limite della comunicazione su questo tema è il cosiddetto catastrofismo. Inutile continuare a martellare solo su aspetti negativi perché inducono al pessimismo e generano un pericoloso contagio negativo. Concentriamoci anche su storie di resistenza, di successo, di creatività. Un altro errore tipico davanti a un negazionista (così come a un sovranista) è arrabbiarsi, magari in una trasmissione, e fare il gioco loro che sono lì al mero scopo di provocare. Cercare una nuova comunicazione, meno “arrabbiata” e più positiva può aiutare.

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