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National Biodiversity Future Center: «Senza biodiversità non possiamo salvarci»

Gian Marco Luna, coordinatore al Nbft della sezione dedicata alla perdita della biodiversità marina, ha raccontato a La Svolta com’è nato il Centro, il cui obiettivo è studiare, conservare e valorizzare il patrimonio biologico nazionale
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Gian Marco Luna, direttore dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine (Irbim) del Cnr e coordinatore per Nbfc dello Spoke numero 2 dedicato alla perdita della biodiversità marina.
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3 gennaio 2024 Aggiornato alle 14:00

Il contrasto al cambiamento climatico non può prescindere dalla conservazione, dal ripristino e dalla valorizzazione della biodiversità. In Italia, il National Biodiversity Future Center (Nbfc), istituito e finanziato grazie ai fondi europei del Pnrr, nasce proprio con questo scopo.

La Svolta ne ha parlato con Gian Marco Luna, direttore dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine (Irbim) del Cnr e coordinatore, insieme alla professoressa Mariachiara Chiantore dell’Università di Genova, per Nbfc dello Spoke numero 2 dedicato alla perdita della biodiversità marina.

Come è nato il National Biodiversity Future Center?

L’idea del Centro nasce 2 anni fa, quando il Governo ha deciso di destinare parte dei fondi del Pnrr per la creazione di 5 centri di ricerca nazionali dedicati a 5 macro-tematiche identificate come strategiche per il futuro del nostro Paese (agri-tech, mobilità sostenibile, big data, terapia genica, e biodiversità) per un investimento totale di 1,6 miliardi di euro. La presenza della biodiversità è stata un’ottima notizia, in un certo senso inaspettata. Di fatto, non era mai capitato che l’Italia riconoscesse il valore della biodiversità fino a questo punto. Abbiamo partecipato al bando con una proposta coordinata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), che ha poi portato nel settembre 2022 alla nascita del National Biodiversity Future Center. Si tratta di un progetto senza precedenti, concepito seguendo il modello Hub & Spoke, che aggrega un totale di 49 partner, e che coinvolge un’ampia gamma di partner, tra cui enti pubblici, come Università ed Enti di ricerca, ma anche aziende del settore privato. Il progetto riceverà un finanziamento di 320 milioni di euro per tre anni (2023-2025) e coinvolgerà 2.000 ricercatori, di cui la metà sono donne. Tutto questo per noi rappresenta un grande onore e al contempo un grande onere.

Qual è la missione del centro?

La nostra iniziativa è una piattaforma interdisciplinare e innovativa che si compone di 2 grandi pilastri principali: da un lato vogliamo studiare, monitorare, preservare e restaurare la biodiversità marina, terrestre e urbana; dall’altro vogliamo contribuire a valorizzarla, e per questo auspichiamo alla creazione di una nuova idea di valorizzazione della biodiversità come elemento chiave di una innovativa visione di sviluppo sostenibile e alternativa alla logica estrattiva che nel secolo scorso ha portato a un progressivo deperimento del capitale naturale e a uno sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Il fine ultimo è quello di promuovere una gestione sostenibile della biodiversità sul territorio nazionale così da migliorare la salute del Pianeta e la vita delle persone.

Le attività del Nbfc riguardano la tutela della biodiversità degli ecosistemi sul territorio italiano. Perché è importante parlare di biodiversità nel nostro Paese?

Perché farlo in Italia? Anzitutto perché l’Italia è al contempo un hotspot climatico, quindi un Paese estremamente vulnerabile al cambiamento climatico e fortemente minacciato dall’impatto antropico, ma è anche casa di un patrimonio immenso di biodiversità. Basti pensare che il mar Mediterraneo, nonostante la sua estensione sia relativamente ridotta, ospita circa il 7% della biodiversità marina di tutti i mari e gli oceani del mondo. Secondo dati dell’Ispra, la diversità biologica del nostro Paese è una delle più significative in Europa, con 60.000 specie animali, 10.000 piante vascolari e oltre 130 ecosistemi. È un bene che la protezione di un livello tale di ricchezza sia ora sancita dalla Costituzione, grazie al chiaro riferimento al concetto di biodiversità inserito a seguito della modifica dell’articolo 9 risalente a febbraio 2022.

Nel dibattito internazionale sul cambiamento climatico, molto spesso la biodiversità passa in secondo piano rispetto ad altre questioni, come quelle strettamente legate alla decarbonizzazione dei sistemi energetici. È d’accordo? Quali sono, secondo lei, le motivazioni di questa tendenza?

È vero. Si fa spesso fatica a comprendere quanto la biodiversità ricopra un ruolo cruciale per il Pianeta, ma anche per le nostre vite, la nostra economia. È un discorso culturale, e in questo sicuramente anche la comunità scientifica deve fare di più per veicolare messaggi che comunichino in maniera chiara ed efficace l’importanza di proteggere la biodiversità dei nostri ecosistemi marini, terrestri e urbani. Anche su questo il National Biodiversity Future Center vuole fare tanto, impegnandosi a formare una nuova generazione di oltre 300 ricercatori e ricercatrici proprio sul tema della conservazione, valorizzazione e ripristino della biodiversità. Una delle legacy, delle eredità principali che la nostra iniziativa vuole lasciare, è l’istituzione del Biodiversity Science Gateway: una grande infrastruttura virtuale, che si appoggerà anche ad alcune sedi fisiche in Italia, pensata come un luogo per far incontrare e dialogare mondi diversi. Il nostro scopo è quello di trasformare la ricerca scientifica in conoscenza diffusa, in uno strumento per l’educazione e l’innovazione. Vogliamo far sì che il Centro non si limiti soltanto a un’iniziativa di ricerca ma che lasci le basi per stimolare un cambiamento concreto nella società.

Si è conclusa da poco la Cop28 di Dubai. Sul fronte della natura e della biodiversità, abbiamo visto i leader di diversi Stati impegnarsi ufficialmente nel preservare gli ecosistemi naturali. Molti lamentano però l’assenza nel testo finale di obiettivi chiari e misurabili, come a esempio la mancanza di ogni riferimento all’obiettivo 30 x 30 che prevede la protezione del 30% degli ecosistemi naturali entro il 2030. Qual è il giudizio di Nbfc su questa Cop?

La Cop28 di Dubai ci lascia con non poche perplessità. Sicuramente si sono fatti passi avanti in termini di mitigazione, ma bisogna fare di più. Porre un argine alle emissioni di gas serra è fondamentale perché questo ha effetti anche sulla perdita di biodiversità. È cruciale comprendere quanto la questione del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità siano intrecciate. Per questo ora più che mai è imperativo adottare un approccio olistico che riconosca la loro interdipendenza. Senza biodiversità non possiamo salvarci. Riconoscere la sinergia tra emissioni di gas climalteranti, perdita di biodiversità e riscaldamento globale è anche una grande opportunità di cambiamento sociale. Un’occasione per innescare una vera e propria rivoluzione in cui la massimizzazione dei benefici che deriverebbero dalla tutela dell’ambiente naturale possa contribuire a realizzare l’aspirazione condivisa di vivere in un mondo più sostenibile per tutti e tutte, e per le future generazioni.

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