Ambiente

La Fabbrica del Mondo: vogliamo superare il conflitto generazionale?

La seconda giornata del nostro festival, ideato e organizzato insieme a Jolefilm, si è incentrata sull’ambiente e sulla necessità di istaurare un dialogo tra generazioni. A parlarne insieme, Telmo Pievani, Alice Pomiato, Maria Scoglio e Gianfranco Bettin
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
3 settembre 2022 Aggiornato alle 16:07

Mentre l’ombra merlata del palazzetto di Villa Draghi si allunga lentamente sullo sterrato, il pubblico comincia a prendere posto: è la seconda giornata de “Gli Incontri della Fabbrica del mondo”, il festival organizzato dalla casa di produzione teatrale, cinematografica e televisiva Jolefilm e da La Svolta.

Il filo conduttore dell’incontro stavolta è l’Ambiente, come terreno di scontro tra generazioni.

Se quelle più anziane prediligono l’adattamento, quelle giovani perseguono il cambiamento: sembra essere così dall’inizio dei tempi, ma forse, ed è il fulcro di questo panel, serve trovare un punto di incontro.

Cristina Sivieri Tagliabue, direttrice della Svolta, e Michela Signori, co-direttrice del festival “Gli Incontri della Fabbrica del Mondo”
Cristina Sivieri Tagliabue, direttrice della Svolta, e Michela Signori, co-direttrice del festival “Gli Incontri della Fabbrica del Mondo”

A moderare gli interventi Cristina Sivieri Tagliabue, direttrice de La Svolta, che parte dalla domanda che dà il titolo al dibattito: “Vogliamo superare il conflitto generazionale?”.

Il primo a prendere la parola è Telmo Pievani, filosofo della biologia, evoluzionista, saggista e autore assieme a Marco Paolini de La fabbrica del Mondo in onda su Rai 3.

Per parlare di conflitti generazionali, Pievani decide di raccontare dell’uomo della buca, della tribù Tanaru in Amazzonia, ricordato erroneamente dai giornali come “l’uomo più solo della Terra”.

«In effetti viveva solo - spiega - spostando la sua capanna da un luogo all’altro, scavando buche per proteggersi dall’animale in assoluto più pericoloso del pianeta: l’uomo. La sua fortuna è stata quella di sopravvivere agli altri componenti della tribù, sterminati a uno a uno. Morto lui, all’età di 60 anni, sono sparite per sempre la sua lingua, la sua cultura, le sue conoscenze sui materiali che usava nella foresta, le stesse biodiversità della foresta, di cui conosciamo, a voler essere generosi, appena il 20%. E qui il tema delle generazioni: lui era depositario del sapere di 1200 generazioni, passato di padre in figlio. Hanno commesso i loro errori, quando sono arrivati in Amazzonia, hanno devastato il territorio e le specie viventi, pagando poi lo stesso prezzo con le malattie endemiche portate dagli occidentali. Qual è quindi la chiave evolutiva per capire l’impatto ecologico? Noi esseri umani lasciamo sempre un segno e l’impronta ecologica l’hanno lasciata anche quegli uomini della tribù Tanaru».

Da sinistra, Alice Pomiato, Telmo Pievani, Cristina Sivieri Tagliabue, Gianfranco Bettin e Maria Scoglio
Da sinistra, Alice Pomiato, Telmo Pievani, Cristina Sivieri Tagliabue, Gianfranco Bettin e Maria Scoglio

È poi la volta di Alice Pomiato, content creator, speaker e formatrice in materia di sostenibilità. Per lei tutto è riconducibile a due visioni del mondo destinante inevitabilmente a scontrarsi: l’ecocentrismo e l’antropocentrismo.

«Bisogna imparare a pensare al genere umano come a una delle tantissime forme di vita sulla Terra. In questo senso, l’educazione climatica può molto e non si pratica mai abbastanza. Il Ministero dell’Istruzione fornisce ore di educazione civica, tenute da insegnanti che non sono formati al riguardo, da incastrare nei programmi scolastici laddove possibile. È un atteggiamento che non punta a creare un quadro generale e un approccio sistemico. ‘Chiudi il rubinetto mentre lavi i denti, usa meno la macchina’ sono consigli validissimi che tentano di responsabilizzare il singolo nella propria vita quotidiana, ma al tempo stesso lo distolgono da un sistema complessivo che va rivisto». E prosegue: «Continuiamo a dimenticarci della forza della collettività, il potere che potremmo esercitare come gruppo coeso nel chiedere programmi radicali e sistemici che dispongano a lungo termine».

Ma, per stimolare una riflessione profonda, occorre coinvolgere, tutti, in primis i ragazzi e i bambini: come?

A rispondere a questa domanda è Maria Scoglio, scrittrice e autrice televisiva e teatrale, oltre che di “Missione Democrazia” con Cristina Sivieri Tagliabue per Garzanti Editore. «Credo che uno degli strumenti più efficaci per tentare di risolvere il conflitto generazionale che si sta creando sui temi ambientali sia proprio quello del racconto. Una delle più antiche forme di coesione e ricomposizione sociale è la narrazione, prima attorno al fuoco, poi con lo sviluppo tecnologico, attraverso la radio e la televisione. Oggi trovare costruire un racconto collettivo, che non si basi su target, divisioni, etichette, fasce di pubblico a cui rivolgersi, è difficile: anche all’interno dello stesso nucleo familiare, i genitori usufruiscono di alcuni canali e piattaforme, i figli di altri ancora. Ma, occorre riagganciare una memoria collettiva, ripartire da un racconto condiviso, da ascoltare e su cui dibattere insieme».

Per Gianfranco Bettin, scrittore, saggista e politico della Federazione dei Verdi, è invece improprio parlare di generazioni. Il problema non è generazionale, perché «le generazioni sono diversificate al loro interno. In Italia dal dopoguerra in poi la maggioranza delle generazioni era costituita da conformisti, e solo una minima parte metteva realmente in discussione i principi ordinari e prevalenti. Credo non si possa parlare tanto di generazioni quindi, ma di persone che devono assumersi le proprie responsabilità e a cui altre devono imputare un certo grado di responsabilità. Educare le nuove generazioni a un nuovo senso civico non può precludere da una consapevolezza storica: da anni si tenta di delegittimare il dibattito politico, di farlo passare per inutile e noioso, e invece è urgente l’esigenza di rimetterci tutti in gioco, proprio sul piano della politica e della cosa pubblica».

A conclusione della serata un vivace talk di Francesca Fiore e Sarah Malnerich, alias Mamme di Merda ispirato al loro ultimo libro “Non farcela”, sulle difficoltà, gli imprevisti e le piccole, grandi battaglie che reca con sé la maternità.

Nel terzo appuntamento, dal titolo “Lavoro: è davvero tutta colpa della tecnologia?” gli ospiti Azzurra Rinaldi, Sandrino Graceffa, Alberto Baban e Alessandra Ballerini si incontreranno sul palco allestito negli splendidi spazi di Villa Draghi per dibattere di cambiamenti, di opportunità di crescita e delle nuove frontiere del mondo del lavoro.

Il racconto “Fabbrica” di Ascanio Celestini chiuderà le tre giornate del festival.

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