Diritti

Africa, primato per i femminicidi: 20.000 nel 2022

Secondo l’Onu, due anni fa le vittime globali di violenza di genere sono state 89.000: l’Italia è rientrata tra i cinque Paesi Ue con il tasso più alto
Credit: Oladimeji Odunsi 
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23 febbraio 2024 Aggiornato alle 14:00

Sebbene il numero complessivo di omicidi nel mondo sia in calo, crescono i femminicidi, in tutto il mondo. Secondo il rapporto Gender-related killings of women and girls dell’United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc) e di UN Women, circa 89.000 donne e ragazze sono state uccise intenzionalmente nel 2022.

La cifra complessiva di quasi 90.000 donne uccise rappresenta il più alto dato annuale registrato negli ultimi due decenni e, come sottolinea UN Women, per quanto i numeri presentati nel rapporto siano allarmanti, rappresentano solo la punta dell’iceberg.

Troppe vittime di femminicidio, infatti, non vengono ancora incluse nelle statistiche: per circa 4 omicidi intenzionali di donne e ragazze su 10 non ci sono informazioni sufficienti per identificarli come omicidi legati al genere, a causa delle differenze nazionali nelle pratiche di registrazione e indagine della giustizia penale.

Come tutte le forme di violenza di genere, il femminicidio è un problema trasversale che riguarda ogni Paese e territorio del mondo. L’Italia, per citare un esempio a noi vicino, contribuisce enormemente con una media al di sopra delle 100 donne uccise l’anno, piazzandosi così tra i 5 Paesi europei con più alto tasso di femminicidi.

Ma tra tutte le aree geografiche, è purtroppo l’Africa a detenere il triste primato. Nel rapporto, infatti, si legge che nel 2022 il continente ha registrato il maggior numero assoluto di femminicidi per colpa di partner o parenti, con una stima di 20.000 vittime, seguito da Asia (18.400), Americhe (7.900), Europa (2.300) e Oceania (200).

L’Africa ha registrato anche il più alto numero di vittime rispetto alla popolazione femminile (2,8 ogni 100.000 donne rispetto a 1,5 nelle Americhe, 1,1 in Oceania, 0,8 in Asia e 0,6 in Europa), sebbene, anche qui, le stime siano soggette a incertezza a causa della limitata disponibilità di dati. L’inizio dell’anno è stato segnato da un’ondata di raccapriccianti uccisioni di donne in diversi Paesi africani. Kenya, Camerun, Somalia e Nigeria sono quelli più colpiti dal fenomeno, ma continuano a giungere notizie di femminicidi anche da altre aree del continente.

A questo, sottolinea UN Women Africa, si devono aggiungere altri fenomeni di violenza di genere, che ancora hanno un’alta incidenza in Africa, anche se di portata certamente minore rispetto all’omicidio, ma ugualmente gravissimi: almeno 1 giovane donna su 3 si sposa, spesso forzatamente, prima di aver compiuto 18 anni; milioni di ragazze e donne vengono sottoposte a mutilazioni genitali femminili, molte subiscono violenze domestiche regolarmente.

Il dito è puntato, al di là delle singole colpe di uomini violenti, contro la penuria di finanziamenti stanziati globalmente per la prevenzione: solo lo 0,2% dei finanziamenti globali per gli aiuti e lo sviluppo è stato destinato alla prevenzione e alla risposta alla violenza di genere.

Secondo l’Action Coalition on GBV’s Accountability Report, inoltre, solo il 5% del totale dell’assistenza allo sviluppo dedicata ad affrontare la violenza contro le donne raggiunge le organizzazioni della società civile nei Paesi in via di sviluppo. Se i finanziamenti sono pochi in generale, le vittime più colpite saranno, senza dubbio, quelle che vivono in ambienti più poveri. La carenza di fondi nella prevenzione e nella gestione delle conseguenze della violenza presenta conti molto più salati tra le donne e le ragazze dei Paesi africani o in contesti di emergenza umanitaria che hanno subito stupri, violenze, matrimoni forzati, tratta.

C’è un dato, però, confortante a margine di questa analisi così desolante. Cresce in tutto il continente africano la consapevolezza della società civile riguardo le forme di violenza di genere. Negli ultimi anni ci sono state massicce proteste contro il femminicidio in Kenya, Sudafrica, Nigeria, Uganda e altri Stati. Per quanto riguarda il Kenya, si susseguono da mesi manifestazioni considerate tra le più grandi proteste non politiche nella storia del Paese: almeno 20.000 tra donne e uomini hanno sfilato nelle strade della sola Nairobi e altre migliaia si sono riunite in altre città.

L’ultima protesta in ordine di tempo, e di certo tra quelle che hanno creato più clamore, è stata un grande flash mob organizzato in coincidenza con il giorno di San Valentino dagli attivisti per i diritti delle donne in varie città del Kenya. Anziché festeggiare o brindare, centinaia di donne hanno animato il Black Valenitine: indossando delle magliette nere hanno danzato, cantato, sventolato rose rosse, acceso candele e osservato un minuto di silenzio in memoria di tutte le vittime di violenza di genere. In un periodo di crescenti sentimenti anti-Lgbtq+, inoltre, le proteste hanno avuto anche lo scopo di evidenziare la violenza di cui è spesso vittima la comunità arcobaleno.

Le proteste in Kenya hanno subito ottenuto anche dei risultati politici. Il presidente William Ruto, aspramente criticato negli ultimi mesi per non aver affrontato seriamente il tema del femminicidio e di non rispondere mai alle sollecitazioni della società civile, dopo le imponenti manifestazioni ha promesso di accelerare le indagini e ha introdotto un numero verde per denunciare i responsabili.

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