Diritti

Argentina, è record di femminicidi: 322 nel 2023

Secondo l’Ufficio del difensore civico nazionale, lo scorso anno si è registrato un aumento del 33% rispetto al 2022. Intanto il Congresso discute sulla possibilità di modificare le leggi di genere (tra cui la Ley Micaela)
Una mobilitazione contro la violenza di genere a Buenos Aires il 3 giugno 2023. Migliaia di persone si sono mobilitate con lo slogan "Non una di meno", per chiedere la fine della violenza contro le donne, in un Paese dove nel 2022 si è registrato un femminicidio ogni 35 ore.
Una mobilitazione contro la violenza di genere a Buenos Aires il 3 giugno 2023. Migliaia di persone si sono mobilitate con lo slogan "Non una di meno", per chiedere la fine della violenza contro le donne, in un Paese dove nel 2022 si è registrato un femminicidio ogni 35 ore. Credit: EPA/Enrique Garcia Medina
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
1 febbraio 2024 Aggiornato alle 10:00

Nel 2023 le donne e le ragazze vittime di violenza di genere in Argentina sono state 322. Si tratta di una media di quasi 1 femminicidio al giorno, secondo il nuovo rapporto dell’Ufficio dell’Ombudsman (o difensore civico) nazionale. Nel frattempo, il Congresso del Paese sta discutendo una riforma delle leggi di genere promossa dal presidente Javier Milei, eletto a dicembre 2023, che ha già eliminato il Ministero delle Donne e della Diversità di Genere, mentre il suo Governo sostiene che “la violenza non ha genere”.

L’Osservatorio sui femminicidi è stato creato dall’Ufficio del difensore civico nazionale a novembre del 2016 per raccogliere e analizzare dati sui femminicidi avvenuti in Argentina: si tratta di statistiche utili a valutare e attuare politiche pubbliche volte a prevenire, punire ed eliminare la violenza contro le donne. Da allora, i dati registrati sono stati allarmanti: nel 2017 i femminicidi sono stati 292, l’anno successivo 281, nel 2019 l’Osservatorio ne ha registrati 280, nel 2020 la cifra è salita a 295, toccando il picco massimo mai registrato durante l’isolamento imposto dal governo a causa del Covid-19. Nel 2021 le vittime sono scese a 289 e nel 2022 a 242.

L’anno scorso ne sono state confermate 80 in più: “Viene commesso un femminicidio ogni 27 ore”, spiega il rapporto, che sottolinea che “quasi il 60% delle vittime sono state uccise a casa, al lavoro o nell’abitazione che condividevano con il femminicida; e nel 74% è stata dimostrata l’esistenza di una relazione preesistente tra la vittima e l’autore del reato”. 22 sarebbero state violentate prima di essere uccise. Tra le 322 vittime totali del 2023, 125 avevano tra i 31 e i 50 anni.

Il 19% delle donne e delle ragazze uccise ha presentato almeno una denuncia di violenza di genere prima del femminicidio; per quanto riguarda il 44% di quelle che non avevano sporto denuncia, alcuni familiari hanno riferito per loro che la violenza di genere esisteva già prima del delitto. In seguito ai femminicidi perpetrati nel 2023, 191 ragazzi e ragazze sono rimasti orfani di madre, e alcune di queste vittime collaterali sono state testimoni oculari degli eventi. Sugli autori dei casi, 55 si sono suicidati, 17 hanno tentato di togliersi la vita e 17 appartenevano a una forza di sicurezza (o ne avevano fatto parte in passato).

Il Governo Milei, in un ampio pacchetto di riforme noto come Ley Omnibus, ha incluso una proposta per restringere la portata della legge promulgata nel 2019 nota come Ley Micaela, che stabilisce una formazione obbligatoria in materia di genere e violenza di genere per tutte le persone che lavorano nel servizio pubblico, nei rami esecutivo, legislativo e giudiziario della Nazione. Prende il nome da Micaela García, attiva nelle organizzazioni in difesa dei diritti delle donne, tra cui Ni Una Menos, che all’età di 21 anni, nel 2017, fu uccisa da un uomo che aveva precedenti per abusi sessuali ed era stato rilasciato l’anno precedente dopo che un giudice gli aveva concesso la libertà condizionale.

Milei vorrebbe limitare la formazione imposta dalla legislazione alle sole questioni di “violenza familiare” e alle organizzazioni competenti in materia e direttamente coinvolte nella questione. Secondo la Fundación Micaela García, riporta il quotidiano Buenos Aires Times, la modifica “è grave” perché “incide sul significato della legge”. Joaquín Torre, segretario per la gioventù e la famiglia, ha dichiarato al Congresso che la Ley Micaela, pur essendo «nobile, non ha prodotto alcun risultato. Abbiamo investito milioni di euro, ma stiamo assistendo a più morti di prima».

Secondo l’Ufficio del difensore civico “i femminicidi hanno registrato una crescita costante, nonostante le misure e le politiche di protezione delle donne che lo Stato argentino ha cercato di attuare”. E ha aggiunto: “Queste statistiche riflettono una realtà dolorosa che evidenzia la persistenza della violenza di genere nella società argentina”. Nel 2012 il Paese ha creato un reato specifico di femminicidio, definendolo come “la morte violenta di donne per motivi di genere, sia che avvenga all’interno della famiglia, dell’unità domestica o in qualsiasi relazione interpersonale, nella comunità, da parte di qualsiasi persona, sia che sia perpetrata o condonata dallo Stato e dai suoi agenti, con azioni o omissioni”. Da allora, la pena stabilita per chi commette un femminicidio in Argentina è l’ergastolo.

Tuttavia, i numeri delle donne e delle ragazze uccise continuano a crescere. Mariela Belski, direttrice esecutiva di Amnesty International Argentina, ha spiegato al Guardian che «le testimonianze delle donne che parlano apertamente sono ridotte al minimo, il rischio a cui è esposta la donna non è valutato correttamente e c’è una mancanza di prospettiva di genere tra le autorità giudiziarie e di polizia». Secondo la madre di Micaela García la modifica della legge che ha il nome di suo figlia equivale a un’abrogazione. E in un Paese dell’America Latina, nota per gli alti tassi di violenza di genere (nel 2022 ci sono stati almeno 4.050 femminicidi secondo l’Osservatorio sull’uguaglianza di genere per l’America Latina e i Caraibi), l’assenza dello Stato sulle questioni di genere non farà altro che peggiorare la situazione.

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