Manifestanti durante la marcia contro i femminicidi a Nakuru, Kenya
Manifestanti durante la marcia contro i femminicidi a Nakuru, Kenya (James Wakibia/SOPA Images via ZUMA Press Wire)
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Kenya: come sono andate le proteste contro i femminicidi?

A fine gennaio, a Nairobi e in altre città keniote si sono tenute manifestazioni contro la violenza di genere, al grido di “Gli uomini sono il problema” e “Basta uccidere le donne!”
di Maria Angela Maina
Tempo di lettura 7 min lettura
6 febbraio 2024 Aggiornato alle 20:00
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  • After effects of the anti-femicide protests in Kenya

Il 16 gennaio 2024, Feminists in Kenya, Usikimye e Zamara Foundation hanno lanciato un appello collettivo rivolto sia alle donne keniote che ad alleati, organizzazioni e leader, per invitarli a prendere parte a una marcia pacifica contro il femminicidio. L’appello è stato accolto positivamente e le proteste si sono svolte non solo a Nairobi, ma anche nelle città di Kisumu, Mombasa, Nakuru, Eldoret, Kilifi, Machakos, Busia e Nyeri.

Il 27 gennaio il #TotalShutDownKE si è ufficialmente diffuso. Donne e persino uomini sono scesi in strada mostrando striscioni e gridando: “Basta uccidere le donne!” e “Poniamo fine al femminicidio!”.

Ma ora che le proteste sono terminate e la conversazione continua sui social media, si possono vedere chiaramente gli effetti di queste manifestazioni, alcuni positivi e altri no.

Per prima cosa, c’è stato un cambiamento sia nelle donne che negli uomini, desiderosi di imparare e capire cos’è il femminicidio. In questo caso, sono grata agli organizzatori della marcia (Feminists in Kenya, Usikimye e Zamara Foundation) che hanno concretamente radunato e guidato senza paura i membri della società keniota a prendere posizione, usando anche le loro rispettive piattaforme per educare e creare consapevolezza sul femminicidio e su come parlarne.

Devo inoltre riconoscere gli uomini che hanno partecipato alle marce e si sono schierati con orgoglio al fianco delle donne per sostenere la lotta contro il femminicidio in Kenya: hanno persino capito che dovrebbero fare di più. Per esempio, ricordo di aver visto la foto di un uomo che reggeva un cartello con la scritta “Gli uomini sono il problema”.

Un’altra immagine che mi è rimasta impressa è quella di un papà che camminava durante la protesta con il figlio piccolo seduto sulle spalle. Eccezionale. Inoltre, ancora di più, le persone continuano a usare gli hashtag #TotalShutDownKE e #EndFemicideKE per portare avanti la discussione, perché questo è davvero solo l’inizio.

Gli effetti negativi, tuttavia, indicano che in Kenya abbiamo un problema più grande. Vale a dire, il perpetuarsi di mentalità dannose riguardo la percezione delle donne nella società. Questa mentalità è diffusa sia tra gli uomini che tra le donne. Tutto ciò ha creato una cultura dell’accusa di vittimismo, spinta dalle piattaforme mediatiche che spesso sensazionalizzano queste opinioni e causano la normalizzazione della violenza contro le donne.

Per esempio, la senatrice designata Tabitha Mutinda racconta a Citizen TV che il problema più grande è «l’erosione del tessuto sociale» e «l’ossessione per il denaro e uno stile di vita appariscente che porta le donne a inseguire gli sconosciuti che pensano possano finanziare il loro stile di vita».

Una questione rimane semplice: gli omicidi avvengono a causa degli assassini. È triste dire che ci sono state segnalazioni di uomini che hanno anche insultato le donne che si trovavano all’interno della protesta, come dimostra il video condiviso dalla cantante Vallerie Muthoni via X, in cui le hanno gridato “Vergognati!” facendola scappare via dalla manifestazione.

Il video peggiore di tutti è quello condiviso dall’attivista Boniface Mwangi sempre su X, in cui due uomini gridano alle donne “Vi uccideremo!”, “Morirete!”,Mtakufa sana (Morirete davvero)” e molte altre frasi intimidatorie.

Un altro aspetto interessante è la crescente discussione su All Lives Matter, in cui gli utenti dei social media sono intenzionati a spostare la narrazione dal femminicidio (omicidio di donne motivato dal genere) all’omicidio (uccisione di una persona). Per esempio, il rapper Scar Mkadinali via X afferma: “Un modo per ridurre il femminicidio è consigliare alle donne di sposarsi entro i 23 anni. Le donne sposate raramente vanno in Airbnb e nei club. Non è scienza missilistica, dai”.

Tuttavia, l’Africa Data Hub indica che l’80% delle donne in Kenya viene ucciso dai fidanzati o dai mariti. Sono fermamente convinta che l’educazione e la sensibilizzazione possano davvero salvarci.

Dal momento che 2016 le morti per femminicidio in Kenya sempre più numerose, ritengo necessario concludere evidenziando la radicale differenza tra femminicidio e omicidio.

Un esempio di femminicidio è l’omicidio di una donna da parte di un uomo per aver rifiutato le sue avances sessuali. D’altra parte, un omicidio (intenzionale o meno) è l’uccisione di una donna da parte di un guidatore ubriaco in un incidente stradale. Da questi due scenari è evidente che i casi di femminicidio derivino da un movente di genere, da un tentativo di intimidazione sessuale o dal fatto che le donne abbiano meno potere o risorse di un uomo.

After effects of the anti-femicide protests in Kenya

On January 16 2024, Feminists in Kenya, Usikimye and the Zamara Foundation issued a collective call to all Kenyan women, allies, organizations and leaders to participate in a peaceful march against femicide. The call was positively received and the protests occurred not only in Nairobi but also in Kisumu, Mombasa, Nakuru, Eldoret, Kilifi, Machakos, Busia and Nyeri towns.

It was on January 27 that the #TotalShutDownKE was fully in force. Women and even men took to the streets holding banners and yelling Stop killing women!” and “End femicide!” The unity and power in their voices and strides held authority and sent chills down my spine. “What a time to be alive,” I thought. But now that the protests have occurred and the conversation continues all over social media, I can clearly see the after-effects - some positive while others are not.

For one, I have noted a shift in both women and men who are keen on learning and understanding what femicide is. In this case, I truly applaud the organizers of the march (Feminists in Kenya, Usikimye and the Zamara Foundation) who truly rallied and fearlessly led members of Kenyan society to take a stand, while also using their respective platforms to educate and create awareness on femicide and how to speak about it. I must further acknowledge the men who attended the marches and stood proudly alongside women to advocate against femicide in Kenya.

These men have even acknowledged that men should do better. For instance, I recall seeing a picture of a man holding a placard that says “Men are the problem”. Another image that remains in my memory is one of a man walking in the protest with his young son seated on his shoulders. Outstanding. More so, even more, people are still using the hashtags #TotalShutDownKE and #EndFemicideKE to continue the discussion, because this is truly just the beginning.

The negative after-effects, however, indicate that we have a greater problem in Kenya. That is, the perpetuation of harmful mindsets on the perception of women in society. This mindset is perpetuated both by men and women. This has caused the victim-blaming culture which is pushed by media platforms that often sensationalize these opinions and cause the normalization of violence against women.

For instance, Nominated Senator Tabitha Mutinda narrates to Citizen TV that the bigger issue is “the erosion of society’s fabric” and “obsession for money and a flashy lifestyle that leads women to pursue strangers who they think can finance their lifestyle”.

One thing remains a simple fact - murders happen because of murderers. It is sad to say that there have been reports of men also chastising the women who were deep within the protest, evident from this video shared by singer Vallerie Muthoni via X (Twitter), where they shouted, “Shame on you!” causing him to run away. The worst video of all is one shared by activist, Boniface Mwangi via X (Twitter) of two men shouting at women, “We are going to kill you!”, “You are going to die!” and “Mtakufa sana (You will really die)” and many more triggering phrases.

Another interesting aspect is the increasing discussion of All Lives Matter where social media users are intent on shifting the narrative from femicide (gender-motivated murder of women) to homicide (an unlawful killing of a person). For instance, rapper Scar Mkadinali via X (Twitter) states “One way of reducing femicide is by advising women to get married by the age of 23yrs. Married women rarely go to Airbnb and clubs. This is not rocket science come on”. However, the Africa Data Hub indicates that 80% of women in Kenya are killed by either their boyfriend or husband. It is my firm belief that education and advocacy to create awareness can truly save us.

Femicide deaths have been greatly reported in Kenya since 2016. Thus, it is my parting shot to conclude with the fact that an example of femicide is the murder of a woman by a man for rejecting his sexual advances. On the other hand, a homicide (intentional or not) is the murder of a woman by a drunk driver in a car accident. From these two scenarios, it appears that femicide instances stem from a gender-based motive, point of sexual intimidation or where women hold less power or resources than a man.

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