Diritti

Afghanistan: il (terribile) 2023 delle donne

Dopo l’esclusione dall’istruzione, dal lavoro e dalla vita pubblica, le autorità hanno adottato una serie di nuovi divieti per cancellare definitivamente i diritti delle afghane
Credit: EPA/ARSHAD ARBAB 

In Afghanistan, con il ritorno al potere dei talebani, «le donne sono state completamente demolite. Sono state cancellate». Sono le parole dell’ex ministra Hasina Safi, rilasciate di recente in un’intervista all’emittente americana Cnbc.

Era esattamente un anno fa quando le autorità di fatto dei talebani bandivano ufficialmente le donne dall’istruzione universitaria. Inutili le pressioni dell’Onu e degli attivisti.

Da quando i talebani hanno ripreso il controllo della capitale Kabul nell’agosto 2021, le afghane sono state escluse progressivamente dalla vita pubblica del Paese e hanno vissuto un’inesorabile erosione di diritti, libertà e speranze per il futuro. «Non c’è alcuna visione, strategia o meccanismo con cui le donne possano contribuire sul piano sociale, tradizionale e anche culturale, per competere e mostrare che sono membri attivi della società. A essere onesti, sono imprigionate nelle loro case, perché non possono neppure scegliere cosa leggere», spiega Hasina Safi.

Divieto di lavorare nelle Ong e all’Onu

Un mese dopo l’emanazione del divieto alle organizzazioni umanitarie locali e internazionali di far lavorare personale femminile, a metà gennaio l’International Rescue Committee, Save the Children e Care hanno ripreso le attività con progetti nel campo della salute e della nutrizione, dopo avere ricevuto garanzie dai talebani che le donne avrebbero potuto lavorare senza ostacoli.

Il portavoce del ministero dell’economia, Abdul Rahman Habib, ha detto che il lavoro delle donne nel settore sanitario è «un bisogno della nostra società. Abbiamo bisogno di loro per sostenere i bambini malnutriti e altre donne che necessitano di servizi sanitari. Loro (le donne nel personale, ndr) stanno lavorando in linea con i nostri valori religiosi e culturali».

Il 4 aprile un nuovo decreto ha vietato alle donne afghane di lavorare per le Nazioni Unite e i relativi fondi, programmi e agenzie. Secondo la rappresentante speciale per l’Afghanistan del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Roza Otunbayeva, «Nella storia dell’Onu, nessun altro regime ha mai provato a impedire alle donne di lavorare per l’Organizzazione solo perché sono donne». Stando ai dati forniti da fonti Onu, la disposizione ha escluso dal ritorno al lavoro 600 donne afghane e 200 donne straniere.

Esclusione dall’istruzione

Il 23 marzo le università hanno riaperto in anticipo le porte, ma non per le donne. La chiusura della maggior parte delle scuole femminili del Paese e il divieto per le studentesse di frequentare l’università introdotto dal Governo talebano a dicembre dell’anno scorso ha impedito a milioni di persone di ottenere un’istruzione dopo la prima media. Il veto universitario ha colpito circa 100.000 ragazze afghane: è ancora in vigore nonostante le continue richieste di revoca internazionali.

In molte hanno lasciato il Paese per proseguire gli studi. La studentessa di ingegneria Somaya Faruqi ha terminato la scuola superiore in Qatar, per poi trasferirsi negli Stati Uniti e studiare all’università di Sacramento in California. È diventata il volto della campagna #AfghanGirlsVoices, lanciata il 15 agosto dal fondo globale Education cannot wait delle Nazioni Unite per promuovere il diritto all’istruzione di tutte le donne afghane.

Chiusura dei saloni di bellezza

L’anno scorso le autorità talebane avevano già impedito alle donne di frequentare parchi pubblici, parchi giochi e palestre, con o senza un mahram (la scorta maschile imposta sempre l’anno scorso per i viaggi a lunga distanza), rendendo così di fatto impossibile alle madri portare i propri figli negli spazi aperti dedicati al gioco.

Il 2 luglio il Governo ha ordinato anche la chiusura, entro un mese, di tutti i parrucchieri e saloni di bellezza per donne nel Paese, ormai uno degli ultimi luoghi dove le afghane potevano incontrarsi liberamente. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero per la Prevenzione del Vizio e la Propagazione della Virtù, Mohammad Sadiq Akif. Secondo la Camera di Commercio afghana, la nuova norma ha cancellato circa 60.000 posti di lavoro.

Divieto di lasciare l’Afghanistan per studiare all’estero

Le poche speranze per le ragazze di studiare all’estero sono state ulteriormente spezzate quando il 23 agosto almeno 60 studentesse pronte a partire per studiare negli Emirati Arabi, dopo aver vinto alcune borse di studio, sono state fermate all’aeroporto di Kabul.

Una di loro aveva ottenuto una borsa di studio per studiare all’Università di Dubai da uno sponsor emiratino, l’uomo d’affari Khalaf Ahmad Al Habtoor. Intervistata dalla Bbc, ha raccontato che: «Quando i funzionari talebani hanno visto i nostri biglietti e i nostri visti studenteschi, hanno detto che alle ragazze non è permesso lasciare l’Afghanistan con quei documenti».

Vietato entrare nel più importante parco nazionale

Il 27 agosto i talebani hanno vietato alle donne di visitare il parco nazionale di Band-e-Amir, una delle principali attrazioni turistiche e per famiglie dell’Afghanistan, che si trova a circa 200 chilometri di distanza dalla capitale Kabul. Il ministero per la Prevenzione del Vizio e la Propagazione della Virtù ha riferito che all’interno del parco le donne non avrebbero rispettato l’obbligo di indossare correttamente il burqa.

Il velo islamico è stato imposto per decreto l’anno scorso a tutte “le donne che non sono troppo anziane o troppo giovani, che devono coprire il volto a eccezione degli occhi, nel rispetto delle direttive della sharia” (ovvero una serie di principi morali e giuridici ricavati dal Corano e altre fonti che i talebani applicano in modo radicale).

Arresti arbitrari

Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, che accusa i talebani di crimini contro l’umanità di persecuzione di genere, “Donne e bambine subiscono arresti arbitrari per cosiddetti reati morali, per aver infranto le norme discriminatorie sul mahram o aver preso parte a manifestazioni pacifiche. Le donne che protestano contro le politiche repressive dei talebani subiscono forza eccessiva, arresti illegali, torture e maltrattamenti in violazione dei loro diritti alla libertà di espressione, di associazione, di protesta pacifica e di partecipazione pubblica”.

«Non c’è dubbio, questa è una guerra contro le donne», ha aggiunto la segretaria generale Agnès Callamard.

Chiusura dei centri antiviolenza

Il rapporto della Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) di dicembre ha mostrato che dei 23 centri o rifugi di protezione per le donne finanziati dallo Stato, che esistevano prima del ritorno dei talebani nel 2021, non ne è rimasto nemmeno uno.

I funzionari intervistati hanno commentato che “non c’è alcun bisogno di questi centri” perché le donne afghane trovano protezione nei loro fratelli, padri o mariti, non in un concetto importato dall’Occidente. In mancanza di figure maschili di riferimento, per assicurare loro “protezione” le donne vittime di abusi o violenze vengono mandate direttamente in prigione. Un trattamento simile a quello adottato per tossicodipendenti e senzatetto, con notevoli rischi per la loro salute mentale e fisica.

Morte di parto

L’Afghanistan è uno dei Paesi con il tasso di mortalità materna più alto al mondo, con «una donna che muore ogni due ore», secondo quanto comunicato da Stephane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Il 40% delle donne partorisce in casa con l’aiuto della suocera, di una matriarca locale o nei casi peggiori da sola. Nelle aree rurali la percentuale di parti in casa sale all’80%.

L’accesso all’assistenza sanitaria in gravidanza era già compromesso prima del 2021, ma negli ultimi due anni la situazione è peggiorata. I reparti di ginecologia hanno subito una fuga di cervelli all’estero e le autorità talebane puntano ora a eliminare le visite mediche alle donne in gravidanza.

Complice la crisi economica, sempre più donne preferiscono non andare in ospedale per risparmiare: negli ospedali pubblici, infatti, le donne devono portarsi le proprie medicine e un parto arriva a costare circa 2.000 afghani (29 dollari), una cifra che molte famiglie non possono permettersi.

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