Diritti

La voce delle afghane, strumento di resistenza e ricostruzione

Fondazione Pangea ha presentato Osservatorio Afghanistan (finanziato dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale). Obiettivo: non spegnere i riflettori sulla repressione dei diritti delle donne
Credit: Ikhsan Fauzi 
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
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6 dicembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Il 15 agosto 2021 i Talebani sono tornati al potere in Afghanistan e, da quel giorno, i diritti delle donne sono stati sempre più messi da parte, limitati, repressi. Oggi le ragazze non possono istruirsi, frequentare parchi e palestre, essere libere di viaggiare sole. In poco più di 2 anni, la vita delle afghane è tornata indietro di 20.

Tra le organizzazioni che lottano per tutelare le libertà delle donne nel Paese c’è Fondazione Pangea, che dal 2003 è attiva sul posto per garantire alle cittadine opportunità di empowerment e di emancipazione economica e sociale, e che ha presentato a Roma l’Osservatorio Afghanistan, la voce delle donne Afgane come agenti di sviluppo e cambiamento (finanziato dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale). Tra i punti salienti del progetto: il rapporto di Pangea sulla condizione delle afghane e un Osservatorio internazionale per monitorare l’applicazione dell’Agenda Donne Pace e Sicurezza (legata alla Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite).

«Le politiche escludenti e discriminatorie dei Talebani, che impediscono l’attuazione dei diritti fondamentali come l’istruzione, la libertà di movimento e il diritto al lavoro, stanno opprimendo e subordinando le donne - ha spiegato Simona Lanzoni, vice presidente di Pangea, che ha partecipato all’evento a Roma insieme a diversi relatori internazionali - Se oltre metà della popolazione femminile rimane a casa e non partecipa alla vita pubblica, difficilmente il Paese potrà sperare di uscire dalla fame, dalla povertà e dalla crisi economica e umanitaria nei prossimi anni».

Durante l’incontro, si è parlato di partecipazione pubblica e politica femminile, supporto umanitario, discriminazioni nel mondo dell’istruzione e della sanità con Orzala Nemat (attivista e studiosa afghana, fondatrice e direttrice del Development Research Group); di «voci resilienti», sviluppo digitale, empowerment economico con Nahid Shahalimi (fondatrice e direttrice di We The Women e membro del Consiglio consultivo del Center for Feminist Foreign Policy.); di crimini contro le donne e Transitional Justice con Huma Saeed (criminologa, esperta di diritti umani, ricercatrice senior all’università KU Leuven e docente all’università Sant’Anna). Si è parlato di apartheid di genere con Malek Sitez (esperto di diritti umani, diritto e relazioni internazionali) e di speranza e prospettive future per le donne con Richard Bennett (relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Afghanistan).

Tra gli altri interventi, anche quelli di Luca Fratini (ambasciatore e coordinatore Donne, Pace e Sicurezza, Giovani e Mediazione), della Senatrice Stefania Pucciarelli (presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato) e dell’Onorevole Luana Zanella (presidente del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra della Camera dei Deputati, presidente dell’Unione Interparlamentare Italia Afghanistan) che hanno parlato di diritti negati e libertà represse nello Stato.

«L’Afghanistan è l’unico Paese al mondo che mette in atto un vero e proprio apartheid di genere contro le donne per legge – ha affermato Lanzoni - e non permette l’istruzione alle bambine dopo gli 11 anni. Le donne sono escluse dal lavoro, anche quello umanitario, culturale e politico. Perfino la loro libertà di abbigliamento o di movimento nella vita privata e pubblica è regolata e limitata. Si impongono regole contro ogni diritto di scelta delle donne, come i matrimoni forzati, la violenza sessuale, l’obbligo al matrimonio riparatore, la costrizione a rimanere con il marito malgrado le violenza domestiche».

Come ha spiegato la vice presidente di Pangea, nei mesi passati la Fondazione ha organizzato tavole rotonde, workshop, conferenze e incontri per raccogliere le testimonianze di attiviste, accademiche, rappresentanti politiche, giovani donne afghane, residenti nel Paese e all’estero. «Da questi incontri sono scaturite una serie di raccomandazioni rivolte all’Italia e alla Comunità Internazionale, che riassumono gli spunti emersi durante le discussioni», ha spiegato Lanzoni.

Si chiede il libero movimento delle donne, in totale sicurezza e autonomia; l’accesso all’istruzione per tutte le fasce d’età, l’erogazione di borse di studio e opportunità di educazione per le giovani rifugiate in Italia; la possibilità per le donne in Afghanistan di lavorare in ogni settore (pubblico, privato, umanitario) senza limiti o minacce; di riconoscere la libera scelta su matrimonio e maternità e di contrastare la violenza di genere. Si chiede che “l’attuale Governo afghano non sia riconosciuto come legittimo dall’Italia e da nessun altro Paese che si definisca democratico e di promuovere tutte le azioni necessarie affinché le donne siano parte del processo decisionale in quanto società civile organizzata e in quanto rappresentanza politica”, spiega Pangea.

Viene inoltre chiesto che le operazioni umanitarie a sostegno della popolazione siano svolte in totale trasparenza e in collaborazione con le organizzazioni internazionali e della società civile afghana; che le donne siano considerate tra le prime beneficiarie dalle politiche di sviluppo; che venga rafforzato il sistema sanitario nazionale, sostenendo il lavoro delle mediche e favorendo interventi per la salute mentale delle donne, ogni giorno sempre più relegate alla sfera domestica.

“Da qui – spiega Pangea - la necessità di creare anche un Osservatorio internazionale permanente perché la condizione femminile in Afghanistan non venga dimenticata”. Tra gli obiettivi dell’Osservatorio: ideare e sviluppare piani e strategie per affrontare il tema della condizione femminile in Afghanistan; offrire spazi di incontro tra le donne; monitorare la situazione nel Paese in relazione agli obiettivi dell’Agenda Donne, Pace e Sicurezza.

Un modo per restituire la voce alle donne che sono rimaste nel Paese e a quelle che sono riuscite a fuggire ma non smettono di lottare per le proprie compagne; per non spegnere i riflettori sulla situazione afghana perché, come ha ricordato Nahid Shahalimi, la voce delle donne si deve sentire anche fuori dall’Afghanistan.

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