Diritti

Afghanistan: chiusa la biblioteca delle donne

Aperta a Kabul nell’agosto 2022, per promuovere la cultura tra “le ragazze che non possono frequentare la scuola”, contava più di 5.000 libri. Ora, a causa delle continue minacce dei talebani, non esiste più
Credit: metropolitanmagazine.it
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3 aprile 2023 Aggiornato alle 19:00

A Kabul è stata chiusa la Biblioteca Zan (che significa “donna” in dari, dialetto persiano e lingua madre di circa il 40% degli afghani), l’unica in città dedicata alle donne. Era stata aperta nell’agosto del 2022 per “promuovere la cultura e la lettura tra donne e ragazze, che non possono frequentare scuole e università”, ha spiegato la 28enne Laila Basim, una delle sue fondatrici, aggiungendo che si stava trasformando in “un atto di resistenza civile delle donne contro le politiche dei talebani”.

Nella biblioteca c’erano più di 5.000 libri tra romanzi, libri illustrati, saggi economici, politici e scientifici, tutti donati (così come le sedie, gli scaffali e i tavoli) soprattutto da donne afghane, ma anche da “alcuni uomini e amici stranieri”, spiega la fondatrice a El País. Inoltre, c’era la possibilità di prendere in prestito i libri in 4 lingue (persiano, pashtu, inglese e arabo) e si organizzavano spesso workshop e seminari gratuiti dedicati ai diritti delle donne, politica, religione e altri temi” 2 volte alla settimana, per aumentare la conoscenza e la capacità critica delle donne”.

Laila Basim ha spiegato che la biblioteca è stata chiusa a causa delle minacce e delle vessazioni dei talebani. E, così, “si spegne una speranza. Ora le ragazze afghane non avranno più un posto in cui studiare e poter parlare”, ha spiegato tramite messaggi Whatsapp inviati alla redazione del quotidiano spagnolo.

Nei 7 mesi di vita della biblioteca, i talebani ci hanno sigillato la porta 2 volte, ma noi l’abbiamo riaperta con l’aiuto di amici e abbiamo continuato a lavorare. Tuttavia, i talebani non si sono fermati. Hanno iniziato a presentarsi qui tutti i giorni e a chiederci cosa stesse succedendo e cosa stessero facendo le lettrici in biblioteca. Un giorno, 4 membri delle forze di sicurezza hanno fatto irruzione e hanno iniziato a chiedermi chi ci avesse dato il permesso di aprirla. Poi ci hanno detto che il posto di una donna è in casa sua e non fuori”.

A febbraio Richard Bennett, UN Special Rapporteur on the situation of human rights in Afghanistan, ha presentato un rapporto in cui denuncia la “riduzione dei diritti delle donne in Afghanistan” ma anche “l’uso eccessivo della forza da parte dei talebani”, con “percosse e spari d’avvertimento alle manifestanti”. Inoltre, nel documento afferma che “tra i manifestanti, spesso le afghane sono sottoposte a minacce, intimidazioni, arresti e maltrattamenti” mentre si trovano sotto la custodia delle autorità.

Laila Basim conferma quanto dichiarato dal Relatore Speciale, raccontando che Nel dicembre 2021, noi donne abbiamo manifestato per strada e una televisione iraniana mi ha posto delle domande sugli omicidi nella provincia di Panshir [nord-est dell’Afghanistan]. Dopo quell’intervista, i talebani mi hanno minacciata, dicendomi che avrebbero trovato casa mia e mi avrebbero uccisa”.

Nel frattempo, nel Paese il divieto per le donne di frequentare scuole e università prosegue: il 16 marzo le aule sono state riaperte per la seconda parte dell’anno scolastico, soltanto per i ragazzi.

Ma le donne continuano a protestare e scendono in strada: “L’istruzione è un nostro diritto. Donna. Giustizia. Libertà”. In un video condiviso domenica da Shabnam Nasimi, attivista politica per i diritti delle donne in Afghanistan ed ex consigliera del ministero per la ricostruzione del Paese, si vedono alcune donne protestare davanti ai talebani. Si tratta, come l’ha definita Laila Basim, di “una guerra delle penne contro le pistole”.

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