Diritti

Le afghane protestano contro la chiusura dei saloni di bellezza

A Kabul circa 50 donne hanno manifestato contro l’ennesimo divieto imposto dai talebani: oltre a escludere le cittadine dallo spazio pubblico, la decisione mette a rischio 60.000 posti di lavoro
Credit: REUTERS
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21 luglio 2023 Aggiornato alle 14:00

Nella mattinata di mercoledì le forze di sicurezza afghane hanno disperso una manifestazione contro la chiusura dei saloni di bellezza e parrucchieri. La misura, annunciata ufficialmente lo scorso 2 luglio dal portavoce del ministero per la Prevenzione del Vizio e la Propagazione della Virtù, Mohammad Sadiq Akif, dovrebbe diventare effettiva tra meno di una settimana.

La manifestazione è cominciata verso le 10:00 nella zona di Shar-e-Naw di Kabul e si è prolungata fino alle prime ore del pomeriggio. Le proteste pubbliche delle donne sono diventate sempre più rare, dopo una prima fase in cui, subito dopo il ritorno al potere dei talebani quasi 2 anni fa, le afghane avevano provato a scendere in strada per reclamare i propri diritti.

Sono state circa una cinquantina le donne che hanno partecipato all’iniziativa di mercoledì, esponendo cartelli e striscioni: “lavoro, cibo e libertà”, queste le parole più frequenti negli slogan delle manifestanti. La nuova legge eliminerà infatti circa 60.000 posti di lavoro, secondo la Camera di Commercio afghana, in un Paese che si trova in grave crisi economica e in cui si stima che circa l’85% della popolazione viva in condizioni di povertà.

Oltre al danno materiale, la chiusura dei saloni di bellezza aggraverà l’apartheid di genere, escludendo ancora di più le donne dallo spazio pubblico. Nei mesi precedenti il Governo aveva già vietato alle donne di frequentare parchi e palestre. I saloni di bellezza erano considerati tra i pochi luoghi sicuri rimasti alle cittadine per incontrarsi e socializzare, oltre che per lavorare.

Lo scorso dicembre il Governo talebano aveva vietato alle donne di lavorare nelle Organizzazioni non governative. Inoltre rimane precluso alle ragazze maggiori di 12 anni il diritto di istruzione, sia di grado secondario che universitario. A confermarlo, anche la recente notizia riportata da Tolo News secondo cui la NEXA (Autorità nazionale per gli esami) ha annunciato che quest’anno l’accesso agli esami d’ammissione all’università sarà consentito solo agli studenti.

Il Governo ha motivato la nuova stoccata affermando che il trucco impedirebbe alle donne di compiere adeguatamente le rituali abluzioni per la preghiera e che pratiche come la cura dei capelli o delle sopracciglia contravverrebbero alla legge islamica. Inoltre, i saloni di bellezza spingerebbero le famiglie a spendere cifre eccessive in occasioni come i matrimoni.

Anche durante il precedente Governo talebano (1996 - 2001) i centri di bellezza erano stati obbligati a chiudere. Durante il periodo dell’occupazione statunitense, fino al ritorno dei talebani nell’agosto 2021, queste strutture erano state riaperte e si erano diffuse in diverse città del Paese. Fino all’editto del 2 luglio i saloni avevano potuto continuare la loro attività, ma le immagini delle donne dipinte sulle vetrine sono spesso state oscurate o coperte con la vernice.

Ora che la chiusura dei saloni di bellezza appare imminente, un gruppo di donne ha deciso di manifestare pubblicamente, con la prevedibile reazione delle autorità che hanno disperso le afghane con idranti e spari in aria. Una partecipante ha dichiarato a Al Jazeera che il loro intento era di far riconsiderare questa decisione perché «si tratta delle nostre vite», con riferimento non soltanto alla funzione sociale dei centri di bellezza, ma anche all’imminente taglio di quella che per molte famiglie costituiva l’unica fonte di reddito. Come nel caso della truccatrice Sadaf, che racconta a Tolo News: «ho speso circa 400.000 afghani (circa 4.000 euro, ndr) per il mio salone di bellezza e sono io che porto il pane a casa per la mia famiglia di 12 persone».

Un’altra manifestante aggiunge: «Nessuno è venuto ad ascoltarci o a parlare con noi…hanno preso alcune donne nelle loro macchine e le hanno portate via», a ulteriore dimostrazione della chiusura del Governo talebano a ogni forma di dissenso, specialmente femminile.

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