Storie

Laura Candiotto: «Bisogna prendersi cura delle emozioni come risorsa, non come ostacolo»

Impegnata in progetti di studio tra epistemologia sociale ed etica, la professoressa di filosofia dell’Università di Pardubice (Repubblica Ceca) ha raccontato a La Svolta qual è il valore dei sentimenti e delle relazioni
Laura Candiotto, professoressa di filosofia all’Università di Pardubice
Laura Candiotto, professoressa di filosofia all’Università di Pardubice
Tempo di lettura 11 min lettura
17 novembre 2023 Aggiornato alle 11:00

Niente di più facile che strumentalizzare un’emozione. Niente di più pratico che produrre economie di scala partendo da questa strumentalizzazione: per vendere, per convincere, per persuadere, per stigmatizzare, per creare contesti dove anche pseudo-fatti e pseudo-verità possono assumere i tratti della verità. In un tempo in cui ogni comunicazione è in tempo reale, le nostre reazioni precedono spesso le valutazioni: “l’emotività ha conquistato il mondo”, scriveva William Davis, sociologo del Goldsmiths College, University of London, nel suo best-seller Stati nervosi.

Ma quale emotività? Quali emozioni? Serve forse un approccio meno reattivo anche ai temi della conoscenza affettiva. Esplorare l’orizzonte valoriale generato dalla conoscenza affettiva è importante in diversi ambiti e per tante ragioni, ma diventa fondamentale quando si tratta di comprendere come le emozioni contribuiscano a dare valore alle nostre relazioni e a costruire (o disgregare) i presupposti stessi di ogni legame sociale.

Le emozioni svelano il significato che attribuiamo al mondo, plasmando le nostre identità e influenzando il modo in cui pensiamo, agiamo e interagiamo con l’ambiente. Le emozioni non sono solo un tracciante che ci porta sul terreno della conoscenza, sono esse stesse conoscenza. Sono, letteralmente, emozioni epistemiche (epistemic emotions).

Laura Candiotto lavora da tempo su questo intreccio tra affettività e conoscenza. Professoressa associata di filosofia presso il Centro di etica dell’Università di Pardubice, nella Repubblica Ceca, negli ultimi anni ha viaggiato per l’Europa: Scozia, Francia e Germania, impegnata in innovativi progetti di studio tra epistemologia sociale - etica.

All’emozione viene spesso accordato un ruolo secondario, se non marginale rispetto alla comprensione. Il linguaggio emotivo è strumentalizzato per vendere, per stordire e, nei casi peggiori, per veicolare false informazioni aggirando le nostre barriere razionali… Eppure, oggi più che mai, avremmo bisogno di approcci diversi, rivalutando il ruolo cognitivo che le emozioni ricoprono nella nostra vita. Da anni, lei si occupa di conoscenza affettiva e di emozioni epistemiche, rovesciando quel pregiudizio. Perché le emozioni, proprio in un tempo di post-verità, sono importanti per capire, pensare e sviluppare un senso critico rispetto alla realtà?

Nella mia ricerca lavoro per dimostrare la centralità delle emozioni anche in quei contesti nei quali non ci aspetteremo di incontrarle. Evidenziare la significatività delle emozioni non implica negare che in alcuni casi esse possano portarci fuori strada specialmente se sono utilizzate per strumentalizzare o per annebbiare il pensiero critico. Significa invece partire dal riconoscimento della loro presenza – smantellando l’idea di un pensiero razionale “neutro”, quindi anaffettivo e disinteressato – e identificare le condizioni che permettono alle emozioni di sostenere il pensiero critico, invece che oscurarlo. Le emozioni possono infatti essere una fonte importante di motivazione alla ricerca, di revisione dei giudizi, di orientamento dell’attenzione.

Questo per restare sul piano epistemico, ma ovviamente le emozioni giocano un ruolo centrale anche in altri campi, specialmente in quello etico e politico. Nella loro dimensione incarnata, le emozioni dischiudono ciò che ci sta più a cuore e scolpiscono il nostro modo di relazionarci e agire, per esempio impegnandoci nei confronti della verità e nella costituzione di comunità epistemiche che possano favorire contesti di ricerca partecipata. Questo è un punto molto importante per me: le emozioni epistemiche (come curiosità e meraviglia) non sono orientate di per sé verso la verità, ma lo possono essere se situate all’interno di culture che la valorizzano. Questo apre il grande tema della responsabilità nei confronti delle emozioni e di come esercitarla in prima persona, singolare e plurale.

Possiamo dire che questo approccio alle emozioni riporta l’attenzione su una conoscenza incarnata, su un corpo che sente-pensa e, in definitiva, ricolloca il soggetto al centro della produzione di conoscenza?

Come ha sostenuto Robert Solomon, in maniera affine a Martha Nussbaum, ma con un’enfasi più esistenzialista, le emozioni hanno una portata conoscitiva, ossia svelano il mondo che viene percepito, pensato, vissuto da un soggetto. Le emozioni sono quindi soggettive ma, di nuovo, questo non significa che non possano essere epistemiche, ossia contribuire alla conoscenza, o che non siano sociali. Al contrario, la loro intenzionalità ci permette di scoprire il mondo che è significativo per il soggetto, un mondo che non è neutro ma che risponde alle istanze del soggetto che vive, sente e agisce in esso. Richiamare l’attenzione sul legame incarnato e situato tra soggetto e mondo (o, meglio, “mondi” al plurale) è per me centrale per pensare e affrontare alcune delle sfide odierne quali la crisi climatica o i cambiamenti esistenziali indotti dall’intelligenza artificiale.

Oggi, però, viviamo in sistemi frammentati e ridondanti. La ridondanza di connessioni nella sfera online può esacerbare più che l’appartenenza, la sensazione di solitudine, portando a quella che, in un recente saggio, lei ha chiamato solitudine estesa (extended loneliness). La solitudine estesa è solo un episodio del più vasto capitolo “solitudine” o è un fenomeno di tipo nuovo?

La solitudine estesa è uno dei cambiamenti esistenziali che si sta diffondendo sempre di più a mano a mano che le relazioni si spostano nel virtuale. È una nuova forma di solitudine che non deriva dall’assenza di relazioni, ma da una sovrabbondanza di relazioni che non sono in grado di rispondere ai bisogni esistenziali del soggetto, appunto perché virtuali. Già negli anni ‘50 si parlava di una solitudine da folla. Tuttavia, oggi, nell’era dei social media assistiamo a una trasformazione del soggetto (la psicologa Sherry Turkle lo ha chiamato tethered self) che implica anche una trasformazione delle sue emozioni. Le emozioni non sono immutabili ma si modificano in quanto situate in contesti, relazioni, culture, periodi storici. La solitudine estesa, dunque, è una forma nuova e specifica di relazionalità dei soggetti che vivono e si incontrano sempre di più in piattaforme virtuali.

Relazione e solitudine si compenetrano, anziché contrapporsi?

Relazione e solitudine non sono opposti perché la solitudine è, in questo caso, il modo attraverso il quale il tethered self si estende attraverso la tecnologia. L’estensione della soggettività attraverso la tecnologia è un tema molto discusso almeno dalla fine degli anni ‘90. Dal mio punto di vista ciò che va ora discusso – e non lo si fa ancora abbastanza – è come questa estensione molto spesso accada attraverso un canale emotivo. Le emozioni, pur esprimendo interessi e motivazioni soggettive, non sono uno stato “privato” e “interno” ma, come sostengo, sono “in-mezzo”, cioè sono relazionali e agiscono nelle e attraverso le relazioni, anche nelle relazioni tecnologicamente mediate.

Pensiamo, per esempio, a quante volte la rabbia, l’entusiasmo, lo sconforto, la gioia e la vergogna si siano sviluppate mentre dialogavamo con un’amica o una collega, come esse si trasformassero a mano a mano che la relazione dialogica avanzava, sia che fosse online o offline. Come noi stessi ci “estendessimo” attraverso il dialogo e come, a sua volta, la relazione dialogica cambiasse in base alle emozioni che la abitavano. Come hanno sostenuto Hanne De Jaegher e Ezequiel Di Paolo, due miei colleghi enattivisti (l’enattivismo è un approccio teorico nelle scienze cognitive che sottolinea il ruolo attivo del soggetto nell’elaborazione della conoscenza, proponendo che mente, corpo e ambiente siano strettamente interconnessi nella generazione di esperienza e cognizione, ndr), un dialogo non è propriamentea due”, ma “a tre, vale a dire due interlocutori e la relazione.

Ecco, uno dei miei contributi è stato quello di evidenziare come le emozioni vadano cercate in questo terzo, la relazione, che è il più delle volte ciò che viene prima.

Sulla priorità della relazione ha scritto libro con Giacomo Pezzano un volume dedicato proprio alla Filosofia delle relazioni (Il melangolo, 2019)

Le emozioni, non solo le parole, “fanno cose” nel mezzo della comunicazione. Sono il “tra”. Ecco perché dobbiamo prendercene cura.

In un altro lavoro, The value of emotions for knowledge da lei curato per Palgrave, le emozioni sono considerate marcatori di valore e, al tempo stesso, pilastri di una conoscenza più che mai necessari nel tempo della proliferazione di fake news. Abbiamo dunque bisogno di “giustizia per le emozioni” e, al tempo stesso, di un nuovo fronte di “cura delle emozioni”?

Molto interessante l’espressione “giustizia per le emozioni”. Mi piace perché sottolinea nuovamente quanto le emozioni non siano meri stati privati ma, al contrario, come esse agiscano in contesti politici e, dunque, debbano essere riconosciute se non, in alcuni casi, valorizzate. Ma bisogna fare attenzione a non intendere questo motto da lei proposto come un appello ad accettare tutte le emozioni, a essere sentimentali invece che razionali. Questo sarebbe un capovolgimento del dualismo mente-corpo che riporterebbe però un nuovo dualismo, non meno pericoloso e dannoso. Dobbiamo cercare di pensare alla razionalità come pervasa di affettività.

Questa non è solo un’immagine a effetto: abbiamo ora a disposizione degli studi neuroscientifici che dimostrano che non solo la razionalità e l’emotività interagiscono ma come siano letteralmente integrate. Tuttavia, il fatto che ci sia questa integrazione non significa che penseremo sempre in maniera adeguata! Bisogna invece prendersi cura delle emozioni come risorsa invece che come ostacolo. Platone avrebbe detto che bisogna istituire una giustizia (per riprendere così l’espressione da lei utilizzata) tra le parti dell’anima, in modo tale che la parte motivazionale, il thymos (probabilmente identificabile, anche se con qualche anacronismo, con la dimensione emotiva, come sottolineato in un libro curato assieme a Olivier Renaut, Emotions in Plato, Brill, 2020) sostenga la parte razionale. Oppure, come anche sostenuto da Aristotele, facendo in modo che il desiderio sia diretto alla verità, che è l’oggetto proprio del pensiero.

Tornando all’esempio da lei proposto questo significherebbe utilizzare la forza motivazionale delle emozioni per smascherare le fake news, a esempio utilizzando la forza della rabbia, dell’indignazione e del coraggio per smascherare il negazionismo climatico o la forza dell’amore e della speranza per costruire e sostenere movimenti in difesa dei luoghi e delle specie a rischio di estinzione.

Come possiamo agire sulle giovani generazioni in questo senso?

Quando lavoravo presso l’Università di Edimburgo mi sono impegnata a portare la mia ricerca anche nei contesti scolastici, promuovendo dei laboratori sulle emozioni con gli insegnanti e con gli studenti. Credo molto nel valore dell’educazione: ci sono tantissimi insegnanti appassionati che ogni giorno si impegnano per coltivare la nostra umanità, oltre al lavoro sulla specifica disciplina. Coltivare la nostra umanità significa anche coltivare le nostre emozioni: coltivando le nostre emozioni coltiviamo anche i mondi che abitiamo e che costruiamo perché le emozioni sono relazionali e ci inducono ad agire secondo ciò che ci sta più a cuore.

Alcuni anni fa ho scritto su Minna Specht, filosofa e insegnante tedesca che, negli anni del nazionalsocialismo, ha creato “scuole di vita” dove accoglieva bambini tedeschi, ebrei e rom per insegnargli a pensare insieme (Miteinander Denken). Per farlo, ha lavorato sulla fiducia, in se stessi e negli altri. Fiducia, emozione fondamentale da coltivare, proprio nei tempi di incertezza, ieri come oggi… Le emozioni permettono di aprirci a una comunanza anche con l’altro dall’umano e con il più dell’umano – non sono quindi solo una prerogativa della nostra umanità – perché ci mettono in contatto con la vita che noi tutti siamo, con il nostro feeling of aliveness (adottando una bellissima espressione di Andreas Weber), essendo esse desiderio di partecipazione alla vita dell’altro. L’amore, tra tutte, gioca un ruolo fondamentale in questo.

L’approccio filosofico come può contribuire in questo senso?

Da filosofa non posso non sostenere che la filosofia abbia un ruolo fondamentale in questo. Lo dico non per difendere o legittimare la filosofia. Lo dico sinceramente e basandomi su diverse esperienze nelle quali ho potuto toccare con mano la differenza positiva che un approccio filosofico alle emozioni può portare. Ma non solo nel mero senso di “applicazione” di una teoria. Ma come trasformazione del modo in cui sentiamo, percepiamo e pensiamo il nostro essere al mondo, il nostro relazionarci agli altri e il nostro agire con e per gli altri attraverso la ricerca filosofica

Si è concentra su questo tema anche in un altro lavoro, Il dialogo che trasforma. Per una filosofia appassionata che dischiuda comuni orizzonti di libertà (Petite Plaisance, 2022), specialmente in merito a una ricerca filosofica di tipo dialogico e partecipato…

In una maniera molto concreta la filosofia, anche se in molti casi utilizza l’astrazione, è a servizio dell’esistenza. Aveva ragione Peirce quando criticava “dubbio di carta” che diventa ideologia e si sostituisce alla realtà. La filosofia, come pensiero impegnato, come pensare in azione, non è ideologia, ma un domandare, riflettere e approfondire che emerge dall’esistenza per l’esistenza. Questo si può tradurre, a esempio, nell’elaborazione di un’etica di costruzione di significati anche attraverso le emozioni. Non vuol dire diventare “eroi epistemici”, ma costruire contesti di ricerca partecipata che siano sorretti da un’etica della conoscenza.

Leggi anche
Documentario
di Andrea Guerra 6 min lettura
Piattaforme
di Lucia Antista 3 min lettura