Diritti

Le amministrazioni italiane utilizzano un linguaggio inclusivo

Bologna ha condiviso il documento “Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere”; anche Milano ha diffuso le sue “Linee guida per un linguaggio amministrativo rispettoso del genere”, così come Padova, Torino e Trento
Credit: Comune di Bologna 
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 novembre 2023 Aggiornato alle 09:00

Linguaggio inclusivo, sì o no? Non è una domanda così banale, considerando che il linguaggio sessista è alla base di quello che viene chiamato “iceberg della violenza di genere” e che il modo in cui parliamo e scriviamo ha un potere trasformativo sul mondo in cui viviamo. Senza dimenticare che, parafrasando Michela Murgia, “di linguaggio si muore”. Eppure, la risposta è tutt’altro che univoca.

Mentre la Francia, a esempio, sembra pronta a fare marcia indietro e potrebbe approvare una legge per bandirlo dai documenti ufficiali, sono sempre di più le realtà che vanno nella direzione opposta. In Italia, a intraprendere il cammino dell’inclusività sono anche le amministrazioni pubbliche, in particolare quelle comunali.

L’ultima in ordine di tempo è il Comune di Bologna, che ha da poco condiviso il documento Parole che fanno la differenza. Scrivere e comunicare rispettando le differenze di genere, ma nelle ultime settimane anche la Città metropolitana di Milano aveva diffuso le sue Linee guida per un linguaggio amministrativo rispettoso del genere nella Città metropolitana di Milano, già approvate a fine agosto con la Direttiva n.1/2023.

Negli ultimi anni, anche Padova, Torino, Trento, solo per fare alcuni esempi, hanno introdotto la riflessione sul linguaggio inclusivo nelle amministrazioni pubbliche.

Gli ultimi testi arrivati non sono solo dei veri e propri vademecum con una serie di dos&don’ts, ma manuali che aiutano a riflettere sull’importanza di adottare un linguaggio inclusivo, mostrando al contempo come la questione non si riduca, come vorrebbero i detrattori, a una crociata woke per deturpare la lingua italiana a suon di schwa e asterischi. Che si tratta soprattutto di un cambiamento di approccio, di passare dal “si fa così perché si è sempre fatto così” al “come possiamo fare meglio?”, anche sfruttando le possibilità che la lingua italiana già offre, per abbracciare tutte le persone che lavorano ed entrano in contatto con le Amministrazioni.

“Che questo fare con le parole sia un passo avanti verso la valorizzazione delle differenze o che, al contrario, sia un’immobile riproposizione di abitudini (attenzione: abitudini, non regole di corretto utilizzo della lingua) che escludono attraverso il linguaggio, è nostra precisa responsabilità, come amministratori e amministratrici, come dipendenti della Pubblica Amministrazione, come cittadine e cittadini - spiega il Comune di Bologna - Nominare le differenze con lo scopo di rappresentarle tutte nel loro valore e nella loro importanza per la costruzione di una società plurale, significa realmente fare posto, dare peso e sostanza all’identità di tutte e tutti. Le parole per dire la pluralità sono, a tutti gli effetti, parte delle azioni per fare una società plurale”.

E proprio partendo da quelle “abitudini” consolidate nella lingua italiana entrambi i documenti, sebbene con diversi livelli di approfondimento (più discorsivo quello bolognese, maggiormente sintetico quello del Comune di Milano), mostrano come basti un piccolo sforzo per trasformare frasi, parole, convenzioni grammaticali, aprendoli per includere anche chi questa lingua ha storicamente escluso. “È un’operazione che va oltre l’adattamento dei testi: si tratta di una questione di sensibilità e cultura”, spiegava in agosto la Direttiva 1/2023 del Comune di Milano.

“Dobbiamo prendere definitivamente consapevolezza che la società cambia, e con essa è inevitabile che mutino anche il linguaggio e la scrittura. Facciamo almeno in modo che cambino in meglio. In un mondo in cui le individualità cominciano a essere considerate tali, e le personalità si affermano e si determinano nella loro unicità, sarà sempre più difficile trovare un linguaggio così inclusivo da comprendere ciascunə di noi. La cosa importante sarà senza dubbio partire da un atteggiamento inclusivo, nella vita di tutti i giorni, nei pensieri e nelle azioni. Da lì, poco a poco, troveremo un modo per integrarlo sensatamente nel nostro linguaggio”, ha aggiunto nella sua introduzione al documento la Consigliera di Parità della Città metropolitana di Milano Barbara Peres.

La lingua dell’inclusività, infatti, non può limitarsi solamente al genere. Razza, orientamento sessuale, identità di genere, età, classe, disabilità sono altrettanti livelli di discriminazione, che si intersecano nell’esperienza individuale di ognunǝ di noi. Per questo, il documento dell’amministrazione bolognese rimanda a un altro testo, Per un linguaggio non discriminatorio verso tutte le differenze, un documento aperto e sempre in evoluzione.

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