Diritti

È polemica sullo “schwa” a scuola

Il 23 febbraio sono state consegnate al MIUR più di 30.000 firme per l’abolizione dalla lingua italiana del simbolo che indica il genere neutro. Un tema che divide, anche i linguisti stessi. Come spiega a La Svolta l’esperta Vera Gheno
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Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
25 febbraio 2022 Aggiornato alle 11:00

“Professorǝ”, “Commissariǝ”. Inizia tutto da qui, quando su alcuni documenti ufficiali del MIUR per “l’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario” è stato usato lo schwa per indicare il genere neutro. Così è partita la petizione “Salviamo l’italiano dal gender: no asterischi, neutri e schwa” dell’associazione Pro Vita & Famiglia.

Sostanzialmente, chiunque abbia firmato la petizione chiede che i ministri dell’Istruzione, della Pubblica Amministrazione e dell’Interno intervengano affinché nelle scuole, negli uffici pubblici e nelle amministrazioni locali venga vietato il genere neutro. «Lo “schwa” è stato già utilizzato in alcuni documenti ufficiali del Ministero dell’Istruzione e nelle circolari di alcuni istituti scolastici. È un lavaggio del cervello di bambini e ragazzi», ha scritto l’associazione per presentare la petizione.

Esistono diversi simboli per indicare il genere neutro: asterischi, schwa, chiocciole o, più raramente, “u” a fine parola. Si può scegliere, le possibilità sono varie. C’è chi ha fatto l’abitudine a questo linguaggio inclusivo, chi se ne dimentica senza volerlo e chi, invece, proprio lo rifiuta.

«La petizione promossa dal prof. Arcangeli parte da una fallacia di fondo - dichiara la linguista Vera Gheno a La Svolta - afferma, infatti, che qualcuno starebbe cercando di imporre lo schwa “dall’alto” e in maniera coatta»

In generale, coloro che si battono contro schwa e asterischi ritengono il pensiero delle persone genderqueer e genderfluid un indottrinamento di collettivi radicali LGBTQIA+ e femministi. In realtà, è qualcosa di più. «Da persona che sta studiando da qualche anno il fenomeno - continua Gheno - posso affermare con ragionevole certezza che non esiste alcuna fattispecie che stia tentando di imporre tale uso».

«Lo schwa, infatti, non è che una delle tante soluzioni “inclusive” nate in seno alle comunità LGBT+ nell’ultimo decennio, per tenere conto delle identità non binarie che da qualche tempo si sono fatte avanti all’interno di quei contesti», specifica la linguista.

Tuttavia, secondo Pro Vita & Famiglia, la questione è «allucinante». Lo schwa, «più che alla modifica del modo di parlare o scrivere, punta, più ambiziosamente, a cambiare il mondo di pensare» ha scritto l’associazione. Per sostenere la loro tesi, l’Onlus (e in generale chiunque neghi il neutro) si appella alla lingua italiana: «Non esistendo lo schwa nel repertorio dell’italiano standard, non vediamo alcun motivo per introdurlo», sostiene l’accademico della Crusca Paolo d’Achille. «Illegittima pretesa di una minoranza» ha invece scritto il linguista Massimo Arcangeli, quando sul Fatto Quotidiano ha elencato i dieci motivi per considerare «inaccettabile» lo schwa.

Intanto la petizione è riuscita a raccogliere più di 30.000 adesioni. Mercoledì mattina Pro Vita & Famiglia è stata ricevuta al Ministero dell’Istruzione e le firme sono state consegnate. Lo ha confermato in un comunicato stampa Maria Rachele Ruiu, responsabile “Scuola” dell’associazione. Non è stato fatto cenno su come sia andato l’incontro.

Come ha precisato Gheno, la petizione non ha fondamenta stabili. «Così come non si può imporre una riforma linguistica dall’alto, così non si può, dall’alto, impedire un uso che si è diffuso spontaneamente tra membri delle comunità a contatto con le persone non binarie, nonché tra chi simpatizza con la loro ricerca di identità linguistica». Secondo l’esperta, l’utilizzo del genere neutro nei documenti MIUR sembra essere stata una decisione individuale del professor Maurizio Decastri. «Si può mai fare una petizione di massa contro le scelte di un singolo individuo?» afferma. Il dibattito rimane aperto, tra chi si arma al grido di “generalizzazione di genere” e chi, invece, vorrebbe rendere la società italiana più equa e inclusiva, a partire dal linguaggio.

«Con enorme serenità - conclude la linguista - posso anche affermare che chi di quell’esperimento linguistico sente il bisogno, continuerà a ricorrere allo schwa senza farsi turbare da petizioni indignate che lasciano il tempo che trovano». Perché anche le parole sono importanti.

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