Diritti

Criminalità Svezia: le prime vittime delle gang sono le donne

Nel libro Ett ord för blod (inedito in Italia) la scrittrice Faysa Idle racconta le sofferenze che le cittadine sono costrette a vivere, a causa delle azioni violente delle bande maschili che infiammano il Paese
Credit: EPA-EFE/JOHAN NILSSON 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 ottobre 2023 Aggiornato alle 14:15

In Svezia si spara tanto; a farlo sono soprattutto le bande di giovanissimi, che ormai in molte zone del Paese hanno assunto il controllo del territorio. A denunciarlo sono le forze dell’ordine, i media e adesso anche il libro Ett ord för blod (Una parola per sangue) dell’autrice svedese di origine somala Faysa Idle, che per descrivere il fenomeno parte da un punto di vista personale: il suo, quello di bambina prima, e giovane donna poi, costretta a subire una violenza che non le apparteneva. Una violenza maschile, fatta da uomini verso altri uomini, della quale le donne sono spesso vittime incolpevoli.

La 25enne, non ha mai fatto parte di una banda ma ha perso un caro amico e il fratello maggiore, membro invece di una gang nel sobborgo di Tensta, a Stoccolma. Proprio a causa di questa parentela, come ha raccontato al Guardian, ha vissuto per anni braccata, seguita ovunque andasse, come fosse in una zona di guerra e avesse un bersaglio sulla schiena. In Svezia: non Iran o Afghanistan, Paesi ai quali siamo tristemente abituati ad associare scenari violenti. In quel nord Europa assunto spesso a modello economico e sociale, dove però la situazione dal punto di vista della sicurezza sta sfuggendo pericolosamente di mano (solo nel mese di settembre 2023 si contano 11 morti per sparatoria).

Esiste un prima e un dopo nella vita di Faysa Idle, che da giovanissima non ha saputo opporre del tutto resistenza all’onda di degrado e violenza che la circondava, venendone a tratti travolta, e che per un soffio è scampata a un agguato avvenuto al matrimonio di uno dei suoi fratelli, Bilal, successivamente arrestato. In seguito all’episodio e all’uccisione di una cara amica, ha deciso di andarsene da Tensta: ha così passato anni a parlare dei luoghi in cui era cresciuta, anche nelle pagine di un libro che in Italia non è ancora uscito ma che in Svezia sta già facendo molto discutere, perché testimonia l’impatto che la lotta tra bande sta avendo sulle donne, mogli, sorelle, madri e amiche degli affiliati, ma anche semplici cittadine, abitanti di luoghi in cui la serenità non trova posto.

«Ho scritto questo libro perché noi ragazze siamo state molto oppresse per molto tempo. Non abbiamo avuto voce in capitolo e non siamo state in grado di proteggerci - spiega l’autrice - Quei ragazzi sono arrabbiati l’uno con l’altro, mentre noi ragazze diventiamo vittime di qualcosa che non abbiamo creato».

Le bande sono nella maggioranza dei casi formate da immigrati di prima o seconda generazione e per questo il primo ministro Ulf Kristersson ha parlato di integrazione fallita: è salito al potere 1 anno, per guidare la Svezia, con un Governo di minoranza di centrodestra sostenuto dai democratici svedesi populisti e anti immigrazione, promettendo di contrastare la criminalità organizzata e smantellare le bande, senza tuttavia per ora riuscirci.

Nel 2022 nel Paese si sono verificate 391 sparatorie, 62 delle quali mortali, mentre l’anno precedente 45, e buona parte delle cause di questo fenomeno in crescita sarebbe proprio da attribuire al fallimento della gestione politica e sociale del flusso migratorio.

«È chiaro che non hanno voluto farci entrare», commenta Faysa Idle, ricordando come la situazione a Stoccolma e nel resto del Paese fosse piuttosto tranquilla fino al 2015, quando le bande maschili hanno iniziato a poco a poco a formarsi e a spararsi per strada, come nulla fosse.

Una guerra tra ultimi nella quale le donne non sono coinvolte direttamente ma si trovano comunque a vivere nello stress e nella paura costante, preoccupandosi per un fratello, un figlio o banalmente per sé stesse. Lì, dove a comandare sono le gang, la strada per tornare a casa non è quasi mai sicura e anche inserirsi regolarmente nella società e trovare un lavoro è complesso perché le azioni dei familiari influiscono anche sul modo in cui il mondo le percepisce, affiliate anch’esse alle bande o quantomeno complici.

Come ammesso da lei stessa, Idle è stata salvata dalle sue parole, alle quali si è aggrappata come si fa all’unica ancora di salvezza che si intravede in mare aperto, e che ora usa come arma per difendersi e cercare di fare altrettanto con le sue sorelle, che ancora ogni giorno lottano per sopravvivere nei sobborghi dove i maschi fanno la guerra.

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