Diritti

Australia, referendum aborigeni in Parlamento: il 56% voterebbe “No”

Secondo gli ultimi sondaggi, i contrari all’introduzione in Costituzione della Voice to Parliament per i cittadini indigeni sono arrivati al 56% (e non sono più solo uomini bianchi e conservatori)
Credit: Zhu Hongye/Xinhua via ZUMA Press
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
3 ottobre 2023 Aggiornato alle 12:00

All’inizio della campagna referendaria, gli elettori a favore del no al referendum per inserire nella Costituzione australiana la Voice to Parliament dei popoli nativi erano abbastanza riconoscibili: uomini, di età superiore ai 50 anni, ampiamente conservatori, più propensi a vivere nell’Australia regionale e senza istruzione superiore.

Oggi, a meno di 2 settimane dal voto, l’ultimo Newspoll (il sondaggio ritenuto più affidabile) ha registrato che il “Sì” è sceso al minimo storico del 36%. Il 3 settembre era al 38%. Da giugno il “No” è aumentato dal 47% al 56%, per quasi tutti i dati demografici compresi gli elettori più giovani; le persone laureate sono state le uniche che hanno registrato un aumento del sostegno. Anche secondo il sondaggio dell’Australian Financial Review (Afr)/Freshwater, il sostegno al referendum è sceso al 33% (meno 15 punti rispetto a maggio) e il “No” avrebbe raggiunto il 50%.

Ci sono buone probabilità, quindi, che il 14 ottobre la votazione, che prevede un unico quesito (un “Sì” o un “No”) per “modificare la Costituzione e riconoscere le popolazioni native d’Australia istituendo una Voce Aborigena e delle Isole dello Stretto di Torres, venga bocciato.

Per il “No” non ci sono solo i conservatori e chi pensa che The Voice sarebbe un elemento “divisivo”, ma anche chi ritiene la soluzione un atto di “tokenism”, simbolico, e “toothless”, senza forza, spiega Reuters; poi, c’è chi crede che i cittadini delle Prime Nazioni non desiderino ciò.

«Sono parole su un pezzo di carta. Non è un’azione», ha spiegato un elettore per il “No” al Saturday Paper, che ha intervistato decine di persone nel sud-est del Queensland e ha parlato con ricercatori e sondaggisti “per tracciare un ritratto delle persone che vedono poco o nessun valore nell’attuale proposta”. E che, stando ai sondaggi, sono la maggioranza.

Un identikit che fino a qualche mese fa era definito e limitato alle frange più conservatrici di una società in cui aborigeni e isolani dello Stato di Torres costituiscono il 3,2%. Secondo focus group condotti lo scorso anno, quasi un terzo di tutti i partecipanti credeva che le persone delle Prime Nazioni fossero state trattate equamente. “Non solo adesso, ma dopo l’invasione”, spiega il Saturday Paper. A loro si aggiungeva chi non negava l’impatto della colonizzazione, ma ritengono che oggi “il danno sia stato controbilanciato”.

Un’opinione che, ricorda Rick Morton (reporter del giornale australiano) è smentita dai fatti: “gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres muoiono molto prima di tutti gli australiani, vengono incarcerati in modo sproporzionato e sperimentano una disuguaglianza mozzafiato unica per loro e per le circostanze in cui sono stati spinti”.

I partecipanti a un focus group non ancora pubblicato hanno sostenuto che The Voice “eleverebbe una razza al di sopra delle altre”. Non sorprende che gli elettori più preoccupati siano i bianchi. Il timore che il provvedimento privilegi i cittadini indigeni australiani, infatti, “è meno pronunciato tra i migranti provenienti dalla Cina o dal Vietnam, o tra le persone provenienti dall’Afghanistan o dalle isole del Pacifico”.

«È particolarmente sgradito agli uomini bianchi, che già sentono di non avere voce in capitolo - afferma una persona (il cui nome non viene citato dal Saturday paper) che ha familiarità con la ricerca - C’è questo lavoro separato che mostra che esiste la stessa percentuale, un gruppo, in gran parte uomini, in gran parte bianchi, vecchi e giovani, che dice: “Oh, non puoi più dire quello che pensi”. E quindi percepiscono “Dov’è la mia voce?”».

Ma cosa è successo e come mai si è registrato un boom per il “No”? “Il trucco della campagna ‘No’ è stato quello di confondere ulteriormente le acque”, spiega il Saturday Paper, che riporta le voci di chi non è un uomo-bianco-conservatore, eppure ha comunque deciso di rifiutare la modifica costituzionale.

Sebbene la stragrande maggioranza dei First Peoples sostenga The Voice, 2 degli attivisti più importanti schierati contro sono indigeni australiani: Nyunggai Warren Mundine e Jacinta Nampijinpa Price. “Un ‘No’ progressista è stato avanzato dall’ex membro dei Verdi e ora senatrice indipendente Lidia Thorpe che, insieme ad altri membri del Blak Sovereign Movement, sostiene che nessuna struttura coloniale può risolvere il problema della colonizzazione”, scrive il giornale australiano.

«Una volta che è nella Costituzione, è lì per sempre. Sono cresciuto nel Territorio [del Nord], in una casa con persone di Yuendumu, Warrabri [ora chiamato Ali Curung] e Amoonguna. Posso dirti che non lo vogliono. Vogliono azioni che migliorino la loro vita, e non solo ciò che l’uomo bianco pensa sia un bene per loro» ha spiegato un elettore per il no. Un’altra persona la pensa nello stesso modo: «Non c’è niente che odio di più dei ragazzi bianchi che fanno del bene».

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