Diritti

Australia: il 14 ottobre si vota per dare voce agli aborigeni

Il referendum chiederà agli australiani se inserire o meno nella Costituzione del Paese la “Voice to Parliament”, per consentire ai popoli nativi di consigliare il Parlamento sulle politiche che li riguardano
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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31 agosto 2023 Aggiornato alle 13:00

Il 14 ottobre 2023 gli australiani saranno chiamati a votare “Sì” o “No” ad un unico quesito: una proposta di legge volta a “modificare la Costituzione per riconoscere le popolazioni native d’Australia istituendo una Voce Aborigena e delle Isole dello Stretto di Torres. Approvate questa proposta di modifica?”.

La data è stata annunciata mercoledì 30 agosto dal primo ministro Anthony Albanese, che l’ha descritta come un’occasione unica per unire la nazione: «Il 14 ottobre è il nostro momento… è la nostra occasione», ha detto il premier di fronte a una folla esultante ad Adelaide, sulla costa dell’Australia meridionale.

Il punto chiave della questione, Voice to Parliament, è un comitato indigeno che, se passerà il sì, consiglierà il Parlamento federale su questioni che riguardano gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres.

Si tratta di un passo decisivo nella lotta per i diritti degli indigeni nel Paese, che al 30 giugno 2021 costituivano il 3,2% della popolazione australiana: circa 984.000 aborigeni e isolani dello Stretto di Torres su 26 milioni totali.

Nonostante vivano in Australia da oltre 65.000 anni, prima dell’arrivo degli inglesi nel 1788, non sono menzionati nella Costituzione australiana. Per questo «per gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres questa è stata una maratona. Per tutti noi, ora è uno sprint», ha detto Albanese.

In Australia, gli indigeni hanno un’aspettativa di vita inferiore di circa 8 anni rispetto agli australiani non indigeni e registrano tassi sproporzionati di suicidio, violenza domestica e detenzione. Dal 2017 al 2021, il 24% dei decessi tra gli indigeni australiani di età compresa tra 0 e 24 anni è stato dovuto al suicidio, rispetto al 17% tra i non indigeni. Secondo un rapporto pubblicato nel 2021 dall’Australian Institute of Health and Welfare gli indigeni australiani rappresentano quasi il 30% dei ricoveri ospedalieri dovuti alla violenza domestica dal 2010 al 2019.

A livello globale, nelle relazioni con i suoi popoli indigeni, l’Australia è in ritardo rispetto ad altre nazioni come il Canada, la Nuova Zelanda, i Paesi dell’Ue e gli Stati Uniti. Il Canada, per esempio, ha riconosciuto i loro diritti con il Constitution Act del 1982. In Nuova Zelanda è il Trattato di Waitangi del 1840 a proteggere la cultura Maori.

Favorevoli e contrari

Governo, grandi aziende, gruppi religiosi e gruppi assistenziali sostengono il “Sì”.

Pat Anderson, una donna aborigena che sta co-conducendo la campagna per il cambiamento, ha dichiarato in una nota che «da qui al giorno del referendum, chiediamo a tutti di ricordare che noi, come popoli delle Prime Nazioni, sappiamo cosa funziona meglio per le nostre comunità e crediamo che la Voice sarà finalmente il passo per migliorare la vita delle nostre persone».

Secondo Anderson la maggioranza degli aborigeni sostiene l’iniziativa perché sa che migliorerà la situazione. I favorevoli ritengono che aiuterà a ricucire i difficili legami con la comunità aborigena e a unire la nazione, e l’organo consultivo aiuterà a dare priorità alla salute, all’istruzione, all’occupazione e agli alloggi degli indigeni.

Per gli oppositori, invece, la mossa dividerebbe gli australiani lungo linee razziali e conferirebbe un potere eccessivo al corpo indigeno.

La leader del partito liberale di opposizione per gli affari indigeni, Jacinta Nampijinpa Price, l’ha definita una «proposta d’élite» che dividerebbe il Paese. Altri credono che sarà qualcosa di simbolico ma di poco concreto. La maggior parte dei membri del Partito Liberale dell’opposizione conservatrice farà una campagna per votare “No” al referendum.

Perché un referendum?

Qualsiasi modifica alla costituzione australiana richiede un quesito referendario nazionale. Per avere successo, il “Sì” deve superare la “doppia maggioranza”, ovvero: avere il sostegno di più del 50% degli elettori a livello nazionale e la maggioranza degli elettori in almeno 4 dei 6 Stati australiani.

Questo referendum è il primo in Australia dal 1999: l’ultima volta gli australiani avevano votato contro la modifica della Costituzione per rendere l’Australia una repubblica. In passato ci sono state 44 proposte di modifica costituzionale in 19 referendum, e solo 9 di questi sono passati. L’ultimo risale al 1977.

La Commissione elettorale australiana ha invitato gli elettori a registrarsi o aggiornare i propri dati sulle liste elettorali, se necessario, per poter votare. Le domande di voto per corrispondenza saranno disponibili nei prossimi giorni, mentre le modifiche alle liste elettorali verranno chiuse sette giorni dopo.

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