Diritti

Australia: i diritti degli aborigeni sono a rischio?

L’Aboriginal Cultural Heritage Act, che tutela il patrimonio tradizionale delle comunità aborigene, è stato ritirato. Intanto, il Paese si prepara al referendum per stabilire se i popoli nativi avranno un organo consultivo
Credit: AAP: Ben Rushton
Tempo di lettura 4 min lettura
11 agosto 2023 Aggiornato alle 14:30

Quando 3 anni fa la società di estrazione mineraria Rio Tinto ha distrutto le rocce dello Juukan nell’Australia occidentale per espandere la propria raccolta di ferro, a nulla erano servite le proteste dei popoli aborigeni, che rivendicavano quel luogo come sacro.

A poco più di un mese dall’adozione del nuovo Aboriginal Cultural Heritage Act, che riconosce alle tribù locali la gestione del patrimonio territoriale di cui sono considerati proprietari tradizionali, il Governatore ha ritirato questo riconoscimento.

Le popolazioni Puutu Kunti Kurrama e Pinikura si ritrovano così nuovamente al centro di una diatriba che coinvolge il governo federale e gli agricoltori della zona, contrari alla nuova normativa entrata in vigore a luglio. Quest’ultima sarà sostituita con l’Aboriginal Cultural Heritage Act del 1972, la stessa legge che ha consentito la distruzione di uno dei siti archeologici più antichi dell’intera Australia.

La gola di Juukan custodiva infatti al suo interno prove dell’occupazione umana risalenti a oltre 46.000 anni fa, tra cui manufatti, ossa di animali e trecce di capelli di circa 4.000 anni.

Il governatore dell’Australia occidentale Roger Cook ha tuttavia deciso di annullare le leggi sulla protezione del patrimonio culturale aborigeno a fronte delle proteste dei proprietari terrieri, secondo cui la normativa comportava costi eccessivi a discapito della coltivazione agricola, che nelle zone vicine alle rocce di Juukan è limitata.

Gli aborigeni hanno contestato la decisione, mentre a livello nazionale sembra diminuire il sostegno verso la proposta di istituire un organo di rappresentanza indigeno in Parlamento, oggetto di un referendum che verrà votato dagli Australiani entro fine anno.

Se la modifica della Costituzione venisse approvata, all’interno del Parlamento il comitato indigeno avrebbe il ruolo di consigliare i deputati su questioni che riguardano gli aborigeni e le persone delle isole dello Stretto di Torres. I sostenitori di questa misura ritengono che votare “sì” aiuterebbe a ricucire i legami difficili con la comunità aborigena e a “unire la nazione”, ma anche che il riconoscimento della cultura indigena potrebbe portare progressi per la salute, l’istruzione e l’occupazione delle popolazioni aborigene.

L’Australia non ha finora stabilito alcuna forma di riconoscimento nei confronti degli indigeni che la abitano. Questi rappresentano circa il 3,2% della popolazione e si collocano al di sotto della media nazionale nella maggior parte degli indicatori socio-economici. Tuttavia, alcuni oppositori sostengono che tale riconoscimento conferirebbe loro un potere eccessivo, mentre altri l’hanno descritta come un’azione simbolica e priva di significato.

Gli ultimi sondaggi sull’orientamento di voto hanno registrato un’inversione di tendenza rispetto a quelli pubblicati nel mese di luglio, quando la maggioranza degli intervistati approvava la modifica costituzionale. Di recente, un sondaggio realizzato dal Guardian, ha rilevato che il 47% al referendum voterebbe contro e il 43% in modo favorevole, mentre il restante 10% è ancora incerto.

Il Primo Ministro Anthony Albanese ha però detto di non essere scoraggiato dai risultati dei sondaggi. «Credo che l’Australia sia pronta», ha dichiarato in un’intervista radiofonica rilasciata l’8 agosto, in occasione della Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni: «Siamo l’unica ex colonia al mondo che non ha riconosciuto i suoi popoli nativi. E ciò di cui si parla è una proposta molto semplice: riconoscere i popoli indigeni nella nostra Costituzione».

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