Diritti

Brasile: la Corte Suprema si schiera con i popoli indigeni

I giudici hanno respinto il Marco Temporal, promosso dall’agroindustria, che voleva impedire alle comunità di rivendicare terre che non occupavano fisicamente nel 1988, quando fu promulgata la Costituzione
Un uomo indigeno con il volto dipinto per le danze tipiche del suo popolo durante i Dialoghi dell'Amazzonia.
Un uomo indigeno con il volto dipinto per le danze tipiche del suo popolo durante i Dialoghi dell'Amazzonia. Credit: EPA/Antonio Lacerda
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
25 settembre 2023 Aggiornato alle 15:00

Una “vittoria storica per i popoli indigeni del Brasile e una conferma dei diritti indigeni garantiti dalla Costituzione Federale”. Così gli attivisti hanno definito la sentenza della scorsa settimana della Corte Suprema brasiliana, che ha respinto definitivamente la tesi del Marco Temporal. Secondo il gruppo Survival International si tratta di una grande sconfitta per il settore agroalimentare, la “bancada ruralista” e i loro alleati nella loro guerra aperta contro i diritti dei popoli indigeni.

Il “Limite Temporale”, utilizzato per la prima volta nel 2009 in un caso relativo alla riserva Raposa Serra do Sol in Amazzonia, prevede che i gruppi indigeni abbiano diritti solo ed esclusivamente sulla terra che hanno occupato o su cui hanno presentato rivendicazioni legali prima del 5 ottobre 1988, il giorno in cui è stata promulgata la costituzione post-dittatura del Brasile. Tutti gli altri, secondo questa politica, avrebbero perso il diritto di vedere quelle terre demarcate (ovvero mappate e protette ufficialmente).

Eppure, molti indigeni sono nomadi o sono stati allontanati con la forza da minatori o agricoltori: solitamente, le controversie tendevano a essere risolte a favore dei proprietari terrieri. Per anni, infatti, l’agroindustria ha criticato il processo di riconoscimento dei territori indigeni del Brasile, contestandolo in tribunale, sollecitando i legislatori a ridurre l’area ammissibile alle rivendicazioni e promuovendo, appunto, il Marco Temporal.

Il caso è giunto fino al Supremo Tribunal Federal dopo che, nel 2009, il Governo dello stato di Santa Catarina, attraverso il suo Istituto Ambientale, ha sfrattato gli Xokleng, un gruppo di circa 2.300 persone che vive nel sud del Brasile, sostenendo che occupassero illegalmente 2 aree protette. Gli Xokleng hanno presentato ricorso contro la decisione, scontrandosi con il Marco Temporal, con cui lo Stato di Santa Catarina ha giustificato lo sfratto. Il verdetto ha posto fine ad anni di dispute legali e ha dato agli Xokleng una vittoria fondamentale contro il Governo dello stato locale.

Se la Corte non avesse respinto questa politica, il riconoscimento dei diritti indigeni sarebbe tornato indietro di decenni, spiegano gli attivisti di Survival: centinaia di migliaia di persone avrebbero potuto essere espropriate delle loro terre, e i popoli incontattati avrebbero rischiato lo sterminio. Ben 9 giudici hanno votato contro la proposta promossa con forza dalla potente lobby dell’agrobusiness del Paese e 2 a favore (entrambi nominati alla Corte Suprema dall’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro), rigettando il concetto di un “limite temporale” sulle rivendicazioni dei popoli indigeni sulla terra ancestrale, e sostenendo che l’elemento essenziale deve essere il modo in cui i popoli indigeni occupano e traggono il loro sostentamento dalla terra.

Il giudice Edson Fachin ha dichiarato che «Come si può vedere dallo stesso testo costituzionale, i diritti territoriali indigeni sono riconosciuti dalla Costituzione, ma preesistono alla promulgazione della Costituzione stessa». Ora bisognerà attendere il testo definitivo della sentenza per valutare quali tesi e implicazioni potrebbero emergere dai voti di tutti i giudici.

Woie Kriri Patte, del popolo indigeno Xokleng, aveva definito questa sfida legale «una pistola puntata alle nostre tempie», che, se approvata, avrebbe sparato e portato allo sterminio dei popoli indigeni e dei loro territori. «Il Marco Temporal viene da quelle stesse persone che commettono genocidi», aveva aggiunto Patte prima della sentenza. Nel corso degli anni, mentre la Corte Suprema si preparava a esprimere il proprio verdetto, non sono mancate le massicce proteste anche contro il progetto di legge PL490, approvato il 30 maggio 2023 dalla Camera dei Deputati brasiliana, dominata dai legislatori conservatori, che “regola l’art. 231 della Costituzione Federale, per prevedere il riconoscimento, la delimitazione, l’uso e la gestione delle terre indigene”. Il testo contiene una serie di politiche anti-indigene (tra cui lo stesso Marco Temporal) e trasferirebbe l’autorità di creare territori indigeni dal ramo esecutivo a quello legislativo, ovvero il Congresso.

Fiona Watson, Direttrice del dipartimento Advocacy di Survival, ha dichiarato che «il Marco Temporal era uno stratagemma pensato per legalizzare il furto di milioni di ettari di terra indigena. Se fosse stato approvato, decine di popoli ne sarebbero usciti devastati – come migliaia di Guarani (la tribù più numerosa del Brasile, ndr) e i Kawahiva incontattati (un piccolo gruppo che abita la foresta amazzonica del Paese, ndr)». La proposta «era parte di un vero e proprio assalto ai popoli indigeni del Brasile e alla foresta amazzonica, promosso con forza dall’ex presidente Bolsonaro e dai suoi alleati. Per questo è così importante che sia stato rigettato, non solo per i popoli indigeni ma anche per la lotta mondiale ai cambiamenti climatici».

Tuttavia, spiega il Guardian in un lungo reportage, la decisione della Corte Suprema difficilmente eliminerà le tensioni legate ai conflitti fondiari in Brasile: i leader Xokleng incontrati dai giornalisti temono ancora per la propria incolumità e i propri territori. Basi pensare che il conflitto per la terra di Xokleng dura da più di un secolo.

Tutto ebbe inizio quando, nel 1914, l’allora Indian Protection Service (divenuto poi Funai, ovvero National Indigenous People Foundation) stabilì che il popolo avesse diritto a 37.000 ettari, ma le autorità di Santa Catarina non rispettarono l’accordo e una parte sostanziale del territorio fu confiscata senza il consenso degli indigeni. «Il limite di tempo - ha detto al Guardian Vomble Camelem, capo dei 9 villaggi indigeni rimasti nel territorio - non dovrebbe essere applicato a noi, ma alle popolazioni non indigene che hanno invaso il Brasile».

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