Diritti

Non è mai l’età giusta per chi fa sentire la propria voce

A Beatrice Pepe, attivista di Ultima Generazione, non si perdona “l’essere giovane”. Così come a tante altre donne nel mondo del lavoro: “troppo piccole”, “troppo grandi”. Per questo sminuite e minate nella loro credibilità
Beatrice Pepe via Instagram
Beatrice Pepe via Instagram
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 7 min lettura
22 settembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Beatrice Pepe è un’attivista di Ultima Generazione che è stata invitata, lo scorso 11 settembre, alla trasmissione televisiva “Quarta Repubblica”, in onda su Rete Quattro. In quanto attivista del più importante movimento ambientalista italiano avrebbe dovuto parlare di temi particolarmente urgenti: le morti umane legate alle ondate di calore, i fondi pubblici che ogni anno lo Stato regala alle aziende del fossile e il Fondo riparazione da 20 miliardi di euro che Ultima Generazione chiede al Governo di istituire per riparare i danni che la popolazione e le aziende hanno subito e subiranno a causa degli eventi meteorologici estremi (alluvioni, grandinate, incendi, siccità e così via) dovuti allo stravolgimento climatico provocato dall’uso dei combustibili fossili.

Ma a Pepe non si perdona niente: è giovane, è competente, non ha paura di usare la propria voce per quello in cui crede. È un corpo estraneo all’interno di uno studio televisivo gerontocratico. Quello che succede è presto riassunto: Pepe non ricorda a memoria le fonti dei dati (tutti ufficiali e rapidamente verificabili) che stava citando. Di qui, la gogna mediatica, sia durante la trasmissione sia successivamente, in una serie di articoli e trasmissioni per preparare le quali c’era tutto il tempo di fare le dovute verifiche sulle fonti. I dati a cui si riferiva l’attivista - e che sono stati ignorati in trasmissione - sono risultati alla fine corretti.

Il risultato non tarda ad arrivare e, nei giorni successivi escono numerosi pezzi, podcast, interventi radio volti a sminuire, insultare, sessualizzare e minare la credibilità di Pepe. Interessante, come sempre, la scelta delle parole che vengono usate nel processo: partiamo da un titolo come Chi ca**o è Beatrice Pepe a Ultima gnocca. Ideali, carni sode e la cosa più bella vista in tv. Parliamo di uomini che dai loro microfoni si profondono in descrizioni come “affascinante ignoranza”, “attivista che si fotografa nuda ma con i capezzoli coperti perché sennò la bannano da Instagram” e “Questa tizia, peraltro nemmeno troppo male, soprattutto quando mostra le parti intime…”.

Arriviamo poi al baratro dell’hate speech social, in cui l’attivista sprofonda per giorni, con dinamiche violente, sessiste, sessualizzanti e lesive che, purtroppo, chi si espone su temi particolarmente caldi conosce bene.

Mi interessa dipanare il doppio standard che le donne, giovani o meno, devono affrontare ogni giorno nello svolgimento del proprio lavoro. Le conversazioni intergenerazionali ancora sono un ostacolo, non per le conversazioni in sé, ma per gli elefanti nella stanza che si portano al guinzaglio: ageismo, sessismo e paternalismo che, come risultante, portano alle micro aggressioni quotidiane come quelle fin qui descritte. Avrei anche da dire sul concetto stesso di micro aggressioni, perché forse le descriviamo come meno importanti solo perché il punto di vista non è mai quello dell’aggredita.

Se sei una donna la tua età non andrà mai bene: sarai troppo giovane per parlare di questioni “da grandi”, non avrai abbastanza esperienza se invitata in un salotto televisivo - anche se chi hai di fronte non si è mai occupato dei temi di cui ti occupi tu - e se qualcuno vorrà esautorarti, non dovrà fare altro che concentrarsi sul tuo aspetto fisico. Sul tuo corpo, la tua faccia, i tuoi vestiti, il makeup, o come gestisci la libertà attorno a questi elementi.

A un certo punto sarai comunque troppo vecchia: per essere invitata in tv, a esempio, perché l’occhio vuole la sua parte naturalmente e se non ti sai confondere adeguatamente con gli elementi d’arredo consueti ecco che sarai percepita come poco rilevante. Gli uomini diventano pozzi di saggezza assoluti, possono imbolsirsi, avere i capelli grigi, le rughe, essere sciatti a loro piacimento; al contrario, le donne diventano antiquate, poco curate, arpie. La loro voce e i loro intenti appaiono stridenti o scontati.

Queste dinamiche fanno parte di un concetto di più esteso, ovvero l’ageismo. È interessante notare come sotto il cappello di azioni legate al termine si intendano per lo più pregiudizi, stereotipi e comportamenti discriminatori nei confronti delle persone più anziane, generati dall’errata percezione secondo cui le prestazioni peggiorino e le capacità diminuiscano con l’invecchiamento. Il reverse ageism è invece il contraltare nei confronti delle persone più giovani ed è alimentato dalla fusione dei concetti di età e maturità e dalla percezione falsata che la competenza risieda nell’età, piuttosto che nella maturità e nelle skill acquisite in un certo campo.

Quando questi preconcetti si intersecano con altre variabili come il genere (o l’etnia, l’orientamento di genere o sessuale, lo status economico) diventano ancora più dannosi perché all’aumentare delle intersezioni aumentano anche le discriminazioni.

Non è un caso quindi che su Beatrice Pepe le reazioni siano state quelle che abbiamo letto. E non è un caso perché le discriminazioni basate sul genere sono sistemiche, ovvero parte di abitudini, procedure e cultura che contribuiscono a generare situazioni e risultati diseguali per alcuni gruppi di persone, relegandole ai margini delle decisioni politiche, economiche e sociali.

La voce delle donne è quindi sempre problematica e viene strumentalizzata per poter continuare a nascondere le tracce di ciò che non si vuole far vedere. Non fa comodo probabilmente ai produttori di combustibili fossili che venga sottolineata la loro responsabilità sul riscaldamento globale, meglio focalizzarsi sul grado di attrattiva sessuale dell’attivista che denuncia la questione. Ai tanti, troppi uomini di una certa età nelle cui mani si concentra il potere (economico, politico o mediatico non importa) spaventa che ci sia una generazione o un genere che sa di cosa parla e sa come farlo, meglio continuare a chiamare tutte “ragazze” o fare commenti sui loro capelli, che siano grigi, colorati, troppo lunghi o troppo corti.

Meglio supporre - e avallare la cultura dello stupro - che le donne si trovino in alcuni spazi per meriti estetici o sessuali, nella stessa cultura consumistica contemporanea che fa dell’estetica e della sessualità un capitale spendibile che avvantaggia predatoriamente gli uomini e dove gli standard sono definiti da attributi giovanili e vengono continuamente rafforzati attraverso i media.

Ci vogliono carine, composte e silenziose. Anche quando siamo chiamate a portare le nostre idee. Il punto è che per essere accettate devono rimanere all’interno di certi confini, pena tutte le dinamiche depotenzianti che da lì a poco verranno messe in atto. Chiediamoci sempre: di un uomo sottintenderebbero mai che si trova dove sta perché è abbastanza carino o sessualmente disponibile? Ma soprattutto: perché la colpa di esser sessualizzate ricade sulle donne e non su chi fa di quella sessualizzazione un modo per abusare del potere che si ritrova a stringere tra le mani?

Nessuna età è mai quella giusta per una donna che voglia portare le istanze in cui crede a certi tavoli, perché abbiamo costruito un ventaglio raffinatissimo e poliedrico di scuse per sottovalutare le opinioni che non vogliamo sentire o quelle che riteniamo scomode. Abbiamo un catalogo pressoché infinito di modi per demansionare, esautorare, sminuire e svilire le donne, sul lavoro, nelle cerchie sociali, persino se veniamo invitate in televisione. E si assomigliano tutte se guardiamo abbastanza da vicino. Non facciamo l’errore di crederci, perché ogni cosa della nostra persona può essere stigmatizzata. Continuiamo a chiederci da chi. Ma soprattutto a chi fa comodo.

Leggi anche
Crisi climatica
di Ilaria Marciano 3 min lettura
Parità di genere
di Chiara Manetti 4 min lettura