Diritti

L’estetica cinica del potere (e il doppio standard)

La moda è sempre stata politica: c’è differenza tra i commenti che vengono riservati alle donne che decidono di cambiare look rispetto agli uomini che vestono abiti firmati. Elly Schlein è l’ennesima prova
Elly Schlein in un ritratto di Enrico Brunetti
Elly Schlein in un ritratto di Enrico Brunetti Credit: Vogue.it
Ella Marciello
Ella Marciello direttrice comunicazione
Tempo di lettura 5 min lettura
28 aprile 2023 Aggiornato alle 15:00

Quanto mi piacerebbe guardare in faccia uno a uno i detrattori di Elly Schlein che in queste ultime ore si stanno affannando a derubricare le sue scelte di stile come frivole e insignificanti e dir loro: “Siete gli stessi che qualche mese fa pronunciavate parole di grande cordoglio per la morte di Vivienne Westwood?” Perché ho controllato: molti, sì.

Il mezzo continua a essere il messaggio anche se svuotiamo i messaggi come questo di senso e li facciamo assurgere a slogan, con la stessa potenza e probabilmente la stessa effimera efficacia.

La moda ha sempre funzionato da specchio dei tempi ed è, per questo, intrinsecamente politica; e la moda utilizzata come statement politico è vecchia quanto la moda stessa: leader e manifestanti femminili fin dall’antichità vestivano con abiti maschili e nel XVIII e XIX secolo si sfoggiavano fusciacche, sanculotti e coccarde. Il XX secolo ha visto i colori delle suffragette e il movimento per i diritti civili passare dalla rispettabilità deliberata di Sunday Best alle giacche di pelle, occhiali da sole e berretti delle Pantere Nere. Il punk ha adottato slogan e il post-punk li ha resi esplicitamente politici. Westwood ha ispirato e vestito più di una generazione e chiunque conosce gli smiley e il loro significato di lotta e protesta, che campeggiavano sulle t-shirt dei raver e altrove.

Il mezzo non smetterà mai di essere il messaggio, come ha detto senza proferire parola l’ormai famoso vestito di Alexandria Ocasio-Cortez al Met Gala 2021: un delizioso abito lungo da ballo delle debuttanti su cui si poteva leggere “Tax the Rich”. Il confine tra il performativismo e provocazione è labile, ma certe prese di posizione hanno vita più lunga delle critiche che vengono loro mosse.

Qual è il punto, quindi, riguardo Schlein e la scelta di avere una personal stylist? Dopo che le è stato detto quanto fosse sciatta, la decisione di conformarsi, di avere uno stile riconoscibile e consono al suo ruolo di personaggio pubblico ha fatto andar giù di testa non poche persone.

Perché non c’è nulla che faccia uscire pazza la gente come il modo in cui le donne decidono di vestirsi, a quanto pare. E se le critiche mosse contro l’abbigliamento arrivano di certo anche agli uomini, la differenza è quanto le stesse critiche incidano poi sull’autorevolezza e sul portato delle parole messe in circolo dalle persone in relazione al loro genere.

Abbiamo già visto cambi radicali di look nelle donne che hanno fatto e fanno politica proprio perché l’abito continua a fare il monaco e (anche se non dovrebbe) a dirci quanto ci possiamo fidare delle donne.

La stessa Giorgia Meloni ha optato per colori più sobri e ha diminuito l’altezza del tacco dal momento in cui è stata eletta Presidente del Consiglio. La cancelliera Merkel poteva contare su mille sfumature, ma solo nei toni del pastello: posati, che non allarmano, per rendere delicate e digeribili scelte politiche che più di una volta non sono state né delicate né digeribili.

Non ci si fida delle donne e dei loro corpi, tanto meno della scelta dei loro abiti. E allora le donne devono risultare corrette nell’abitare corpi e menti che non piacciono, non sono mai piaciuti e non finiranno oggi di allarmare la gente.

Le donne in politica devono diventare uomini, confondersi, mitigare quell’aura di disruption che potenzialmente possono portare al tavolo. Devono diventare controllate (nei toni, nei modi, nell’outfit) e spergiurare di non esser diverse, lanciando grida silenti di rassicurazione proprio agli uomini che spesso da loro sono comandate. Se ce lo stessimo chiedendo sì, anche questo è un preciso messaggio politico ed è un messaggio che dice di non preoccuparsi, che va tutto bene, nessuno intaccherà il sacro ordine patriarcale delle cose.

Austerità, controllo, eleganza sono l’altro nome della paura che abbiamo di infrangere lo status quo.

C’è una estetica del potere che rimanda a concetti più alti e che si può infrangere di poco e solo quando il potere già ce l’hai ed è consolidato. Si può fare un passo fuori dal cerchio se il cerchio è segnato con la vernice, non con il gesso. E si può fare come atto di protesta (e perciò come atto politico) allontanandosi dal portato banale e superficiale che la moda ha sempre rappresentato: che commenti riserviamo alle donne che amano vestiti, make up e gioielli? Sono gli stessi che dedichiamo agli uomini che amano abiti di sartoria, scarpe su misura, orologi di lusso? Le famose scarpe di D’Alema come si collocano in questo contesto?

La moda e la bellezza sono interessi banali, femminili, di poco conto. E, se da un lato, più aumenta l’hype su certe figure politiche più il loro aspetto sarà esaminato, dall’altro la copertura mediatica che si fa delle persone a seconda del loro genere insiste di più o di un meno sul loro aspetto.

Non è una novità che le donne in politica affrontino un trattamento mediatico di parte, sessista e discriminatorio: non solo la loro copertura mediatica è sbilanciata rispetto alla controparte maschile, ma le si racconta attraverso termini che enfatizzano ruoli tradizionali, concentrandosi oltre misura su come appaiono e perpetuando stereotipi che le vogliono più deboli, più indecise e decisamente più emotive di chi donna non è.

Non perdoniamo alle donne di esser sciatte, curate oltremodo, troppo giovani o troppo vecchie; non perdoniamo loro di concentrarsi sul loro aspetto anche quando seguono le regole, o al contrario, non vogliono seguirle.

Non sono sicurissima sia un problema legato all’abito che scelgono.

Leggi anche
Elly Schlein nella sede del suo comitato, dopo la comunicazione dei risultati parziali delle primarie del Partito Democratico
Politica italiana
di Elisabetta Ambrosi 4 min lettura