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Discriminazioni: se aver avuto il cancro ti ruba le opportunità

Laura Marziali, attivista ed ex paziente oncologica, racconta a La Svolta i rifiuti ricevuti dopo la guarigione, «dall’assicurazione sanitaria fino al finanziamento di una macchina: mi sono sentita umiliata»
Laura Marziali
Laura Marziali
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25 settembre 2023 Aggiornato alle 17:00

«L’esito della candidatura è negativo, ci dispiace, ma in questo momento preferiamo concentrarci su un’altra risorsa». E un’altra, in questo specifico contesto, non significa più competente, né più preparata. La frase, infatti, continua così: «Sa, nella sua condizione…». È a quel punto che il candidato o la candidata capisce qual è la sua carenza: aver avuto un tumore.

Non capita soltanto durante i colloqui di lavoro. Accade in banca di fronte alla richiesta di un mutuo; in concessionaria per l’acquisto di una macchina nuova; persino quando si prova a salvare una vita, adottando un bambino. Situazioni che ciclicamente si ripetono per chi ha dovuto affrontare il cancro. E così, dopo la diagnosi, gli interventi, le terapie e la guarigione si è costretti ancora a convivere con la malattia. Sono questi i principali motivi che hanno spinto la Camera ad approvare all’unanimità, lo scorso agosto, il testo della legge (di cui oggi il Paese ha più bisogno che mai) relativa all’oblio oncologico, che permetterebbe agli ex pazienti di “esercitare i propri diritti in condizioni di uguaglianza rispetto alla popolazione”.

«Si tratterebbe di un grande passo verso l’inversione di un paradigma sociale che vede il cancro come un requisito discriminatorio», racconta a La Svolta Laura Marziali, 34 anni, attrice teatrale, attivista ed ex paziente oncologica che oggi quotidianamente si batte affinché le penalizzazioni nei confronti di chi è in follow-up (il periodo di tempo che decorre dal termine dei trattamenti alla valutazione del loro successo) possano avere fine.

«Ci sono passata anch’io e questo mi ha spinto a voler far qualcosa di concreto - continua Marziali - Avevo terminato le cure e stavo preparando uno spettacolo teatrale. Volevo tornare a lavorare, volevo tornare alla mia vita. Le parole della regista mi risuonano in mente ancora oggi “Sto pensando di sostituirti, ho paura che tu non possa reggere e non farebbe bene né a te, né a noi”. Non capivo. Poi però ho preso coscienza: si riferiva al fatto che avevo avuto il cancro. Mi sono sentita umiliata, in difetto, una sensazione difficile da descrivere a parole. Da lì è stato un susseguirsi di episodi: dall’assicurazione sanitaria impossibile da ottenere se non con prezzi altissimi, fino al finanziamento di una macchina che ancora non sono riuscita a comprare».

Sono passati 6 anni e Laura Marziali continua a lottare per ciò che dovrebbe essere naturale: la quotidianità. E lo fa esprimendo se stessa e ciò in cui crede: ha messo in piedi uno spettacolo di sensibilizzazione, C’è Tempo, ora in tour nelle principali città italiane, un evento che è riuscita a trasformare in un’associazione di volontariato; collabora con la fondazione AIOM - associazione italiana di oncologia medica; è intervenuta in Parlamento e il 30 settembre sarà ospite al TedX di Ancona.

«Tutto comincia dalla diagnosi di cancro, nel 2017. E lo chiamo così di proposito perché non bisogna avere paura di nominarlo. Finché continueremo a identificarlo come “brutto male” niente cambierà. È una malattia con una definizione ben precisa e un iter di cure strutturato. Non si tratta di una cosa astratta – continua a raccontare a La Svolta – Fatto sta che da quel momento iniziano gli interventi, la chemioterapia, la radioterapia e tutto ciò che mi ha permesso di essere qui oggi, in salute. Nonostante avessi già affrontato un caso in famiglia, ho dovuto combattere con aspetti che mai avrei immaginato, e non parlo in ambito sanitario, ma soprattutto burocratico e sociale. In quel periodo scrivevo molti diari, mettevo nero su bianco le emozioni che provavo, le sensazioni che mi tenevo dentro. È dopo la guarigione, infatti, che ho dovuto fare i conti con situazioni che non avevo preso in considerazione: le discriminazioni».

«Ho cercato di capire e approfondire meglio, sono entrata in contatto con AIOM che aveva appena aperto una raccolta firme proprio per la legge sul diritto all’oblio oncologico. In quel momento mi sono resa conto che ciò che stavo passando io, purtroppo, era una cosa comune». I diari si sono trasformati nel suo tour e la grinta le ha permesso di continuare a raccogliere testimonianze per dare voce a tutte quelle persone che continuano a vivere nella paura di dire di essere state malate.

È così che ha conosciuto una coppia col sogno di adottare un bambino e infranto dal giudice a causa di un tumore superato dal padre. Una signora col desiderio di ristrutturare casa dopo le cure, ma a cui è stato negato il prestito in banca per iniziare i lavori. Persone che non hanno ottenuto mutui, finanziamenti, la possibilità di attivare un’assicurazione sanitaria. Una ragazza scartata da un concorso pubblico. Chi, tornato al lavoro, si è sentito dire «prendi troppi giorni di permesso», che venivano richiesti per i controlli. Chi è stato licenziato “ufficialmente” per altri motivi e chi, ancora, sta cercando un nuovo lavoro, ma non riesce a superare la “fatidica colpa” di essersi ammalato.

«Inizialmente ho cominciato ad ascoltare le loro storie per capire, poi le ho prese a cuore e oggi ci battiamo insieme perché tutto questo finisca – conclude Marziali – Credo che sia legato al senso di impotenza che si cela dietro questa malattia. Io non voglio sminuire il cancro, assolutamente. È terribile e spaventoso. La diagnosi ti cambia per sempre, fa paura, e ci sono ancora molte persone che purtroppo non riescono a superarlo. Quello che dico è che il progresso scientifico ha fatto passi in avanti e non è giusto continuare a chiamarlo “male oscuro”. Il cancro ha un nome e un volto. Averlo avuto non significa essere malati per sempre. Averlo avuto non deve essere motivo di vergogna, tanto meno di discriminazione. Questo ha portato a un silenzio sociale che deve essere interrotto. Per questo credo che il Diritto all’Oblio dovrà essere inteso come tutela alla libertà di vivere e di parlare come meglio si crede di un evento indimenticabile».

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