Storie

Attentati 11/9: il ricordo di chi era lì

La giornalista Letizia Airos racconta a La Svolta il suo 11 settembre (tra New York e il New Jersey) e la storia della Dust Lady Marcy Borders. Riflettendo anche su come sono cambiati gli Usa in più di 20 anni
 Letizia Airos
Letizia Airos
Tempo di lettura 9 min lettura
11 settembre 2023 Aggiornato alle 07:00

11 settembre 2023: oggi, l’attentato al World Trade Center continua a essere percepito dalla società Occidentale come uno degli eventi che più ha cambiato (e segnato) la storia contemporanea.

Proprio di questo, di come è cambiata l’America da quel giorno e di come oggi viene ricordato l’11/09, La Svolta ne ha parlato con Letizia Airos, giornalista, documentarista, direttrice e fondatrice del network multimediale i-Italy di New York; autrice di numerosi servizi e reportage video negli Stati Uniti, Airos ha realizzato inchieste riguardo temi cruciali legati all’emigrazione italiana, soprattutto per le realtà giovanili.

Sei stata testimone di quel terribile attentato. Dove ti trovavi l’11 settembre e cosa ricordi delle ore immediatamente successive?

Ero a New York, abitavo a qualche isolato dalle Torri Gemelle. Per pochi minuti non sono stata coinvolta anche io direttamente nell’attentato. Infatti, come mi capitava spesso in quel periodo, verso le 9 di mattina attraversavo il centro commerciale situato sotto le torri per prendere il Path, un treno che collega New York al vicino New Jersey. Ho assistito sgomenta al crollo delle 2 torri al di là del fiume tra i 2 Stati, come nel peggiore degli incubi. Non si capiva molto della dinamica da dove mi trovavo, ma una certezza c’è stata subito: non era un incidente. Mio marito era ancora al decimo piano del palazzo dove abitavamo ed ho vissuto minuti di terrore per lui: non si capiva che impatto potesse avere il crollo sugli altri palazzi dell’area.

Per almeno 3 ore non sono riuscita a raggiungerlo telefonicamente: dal New Jersey era impossibile chiamare la zona dell’attentato. Ho parlato con lui grazie a un ponte telefonico creato da un amico che abitava a Manhattan, fuori dell’area interessata; per 2 giorni non sono potuta andare a Manhattan dal New Jersey. Mio marito è stato sfollato da dove abitavamo e siamo potuti tornare a casa nostra solo dopo 2 mesi. Le ore successive all’attentato, dunque, sono per me piene di ricordi e soprattutto di assenze, amici e conoscenti scomparsi: la ricerca affannosa tra bigliettini e cartelli con fotografie appesi ovunque, le preghiere, i racconti disperati, le speranze appese a piccoli dettagli. Sono pensieri che rimangono ancora avvolti in quella nuvola bianca di polvere e morte che si era poggiata all’improvviso sul luogo della mia quotidianità.

Ho poi nitido e scolpito, con tutti i 5 sensi, il ricordo del mio rientro in quella zona e poi a casa, in un’atmosfera spettrale. Ricordo l’odore acre di disinfettante e di cadavere nell’aria, la paura di prendere la metropolitana, la presenza di militari ovunque, il rumore delle ambulanze, il sospetto delle persone in metropolitana quando si vedeva un borsone un po’ più grande in mano a un mediorientale. Era naturale, umano. Anch’io per almeno 2 anni non ho più indossato i tacchi alti per avere delle scarpe utili a fuggire.

Parliamo dell’America di oggi. Tu la racconti nel tuo magazine tutti i giorni. A 2 anni di distanza dal ritiro dall’Afghanistan degli Stati Uniti, pensi che questa scelta di politica estera abbia segnato il declino, irreversibile, “dell’Impero americano”?

Il ritiro dall’Afghanistan ha sollevato interrogativi sull’influenza degli Stati Uniti a livello globale. Tuttavia, l’idea di un “declino irreversibile dell’Impero americano” richiede una valutazione più ampia. Gli Stati Uniti affrontano contemporaneamente sfide complesse, come la crescita economica, i rapporti internazionali e la tecnologia. Quindi, il ritiro dall’Afghanistan è un evento certo rilevante, ma per comprendere il futuro globale degli Stati Uniti, è essenziale considerare una prospettiva più ampia, da più punti di vista.

Personalmente non credo nel “declino irreversibile dell’Impero Americano”; immagino piuttosto un’altra America. È un Paese pieno di difetti, ma con un grande pregio, quello di guardare sempre al futuro. È qualcosa che il vecchio continente ancora non sa fare. L’America sa stupire, quando cade si rialza sempre. Nella politica estera gli Stati Uniti hanno collezionato diversi errori, ma sono riusciti a superarli a modo loro. Hanno affrontato enormi sfide in passato e hanno dimostrato sempre una notevole resilienza e capacità di adattamento. È importante, secondo me, evitare generalizzazioni e semplificazioni eccessive quando si tratta di questioni così complesse. Mentre il ritiro dall’Afghanistan può avere implicazioni sull’influenza degli Stati Uniti, parlare di “declino irreversibile dell’America” è eccessivo.

Qual è, oggi, la strategia degli Stati Uniti nell’ambito dello scacchiere asiatico? L’autonomia di Taiwan è in pericolo? Come viene percepita dall’opinione pubblica americana?

Da oltre mezzo secolo, gli Stati Uniti hanno riconosciuto ufficialmente il Governo cinese come “unica Cina”. Tuttavia, in virtù del Taiwan Relations Act, sono vincolati a fornire supporto militare all’isola, con lo scopo di garantirne stabilità e sicurezza. Nel tempo si è creato, bene o male, un equilibrio. L’opinione pubblica americana, come si può comprendere, è variegata: alcuni appoggiano l’autonomia di Taiwan per motivi democratici, mentre altri esprimono preoccupazioni riguardo a possibili tensioni con la Cina. Proprio in questi giorni, però, c’è stato uno sviluppo di rilievo che potrebbe scuotere questo equilibrio. Il 30 agosto l’amministrazione Biden ha annunciato un pacchetto di aiuti militari a Taiwan. Questa decisione rappresenta uno dei gesti più incisivi, e potenzialmente pericolosi, messi in atto come reazione alle crescenti manovre della Cina verso l’isola autonoma. È quindi estremamente difficile prevedere cosa accadrà.

Rispetto al conflitto russo-ucraino, l’America cosa si aspetta nei prossimi mesi? Ci sono possibilità per una soluzione diplomatica o si prospetta una lunga guerra di logoramento?

Nel contesto del conflitto russo-ucraino, gli Stati Uniti esigono che la Russia rispetti l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina, conformemente alle norme internazionali. D’altra parte, fin dal 2014 avevano condannato l’annessione della Crimea da parte della Russia e fornito supporto diplomatico e militare all’Ucraina. Quanto alle prospettive future, la situazione è sempre più complessa. Nella dinamica si sono aggiunti sempre di più gli interessi della Cina, oltre che ovviamente dell’Europa. Una soluzione diplomatica resta l’obiettivo preferito, ma fattori come le posizioni rigide, le tensioni storiche ed economiche complicano la ricerca di una soluzione. Va detto che tuttavia una lunga guerra di logoramento non è nell’interesse di nessuna delle parti coinvolte, anche se purtroppo tutto dipenderà dalla volontà di negoziare e dalle dinamiche in gioco.

È fondamentale non dimenticare che il quadro geopolitico è in continua evoluzione e le prospettive possono cambiare repentinamente. Parlando di opinione pubblica americana va detto che la guerra ucraina non è sentita come in Europa. Per loro è molto lontana anche se certo rimane un atteggiamento antirusso, che ha basi storiche legate all’Unione Sovietica e Stalin in particolare. I russi sono stati “il nemico” e ora lo sono di nuovo nei film come nella contemporaneità.

Elezioni 2024: Joe Biden e Donald Trump si candideranno. Chi sono i possibili outsider?

Purtroppo temo che si candideranno anche se sono troppo vecchi: la politica negli Usa non naviga in buone acque per entrambi gli schieramenti politici. Mancano voci nuove: a destra si parla di John De Santis, un italo-americano ancora più estremista di Trump, se possibile; a sinistra, caduta l’opportunità della vice presidente Kamala Harris, si parla addirittura di Michelle Obama, ma sono solo voci poco credibili.

Sono stati raggiunti obiettivi importanti per colmare il divario retributivo di genere negli Stati Uniti? Secondo uno studio del Pew Research Center, negli Stati Uniti il divario retributivo di genere non sarà colmato nel breve periodo.

Il divario retributivo di genere negli Stati Uniti è stato un argomento di lunga data e, sebbene siano stati compiuti progressi, è ancora ben lontano dall’essere colmato. Nonostante le leggi e le politiche per promuovere la parità salariale, le disparità tra le retribuzioni di uomini e donne persistono. L’amministrazione Biden e i democratici nel Congresso sembrano averne consapevolezza, hanno puntato soprattutto sugli aiuti alle famiglie. Aiutare le famiglie significa aiutare le donne, la parità di genere e, quindi, l’economia del Paese. Sono stati fatti però solo piccoli passi. La società americana è molto complessa, non si può parlare di opportunità lavorative per il genere femminile, contrapposte a quello maschile, senza fare considerazioni legate a etnie, condizione sociale e senza riportare differenze tra i diversi Stati dell’Unione. La pandemia ha poi peggiorato la situazione e per le donne il conto è ancora più salato.

Come vivranno i newyorkesi il loro 11 settembre?

L’11 settembre continua ad avere un profondo impatto emotivo sui newyorkesi. Ogni anno, l’anniversario viene segnato da cerimonie commemorative, momenti di silenzio e riflessione in tutta la città. Le persone si riuniscono per onorare le vittime e riflettere sulle implicazioni dell’attentato. Queste cerimonie aiutano a mantenere viva la memoria delle vittime e a ricordare l’unità e la solidarietà che emersero in seguito a quel giorno tragico. Anche se gli anni passano, il ricordo dell’11 settembre rimane un tassello significativo nella psicologia collettiva dei newyorkesi: è come se fosse entrato prepotentemente nel Dna, rinforzando anche il loro sistema immunitario. La reazione corale e piena di dignità dei cittadini di Ny, in quei giorni, è diventata elemento di orgoglio in una città che si sa unire soprattutto nei momenti più difficili. La ferita c’è anche se non è più aperta: è una medaglia sul petto che nessuno avrebbe voluto avere ma che ora appartiene a tutti, in un certo senso anche a me, che ho vissuto quei terribili giorni.

Voglio ricordare, attraverso le parole di sua figlia, una donna newyorkese la cui immagine ha girato il mondo. La sua foto nel corso del disastro divenne tra le più note: apparve sul Time Magazine tra le “25 most powerful images’” e ispirò una canzone, The ballad of Marcy Borders. «Mia madre ha combattuto una battaglia incredibile - ha detto Noelle Borders al New York Post - Non è solo “la donna di polvere”, ma è la mia eroina e vivrà per sempre attraverso di me». Marcy Borders era nota come “la donna di polvere” a causa di un’immagine che la ritraeva coperta di detriti e polvere, dopo essere fuggita da una delle torri del World Trade Center, durante gli attentati dell’11 settembre 2001. Era una semplice impiegata di banca di 28 anni al momento degli attacchi. La foto del suo viso e del suo corpo in abiti da ufficio coperti di polvere, dopo essere sfuggita dalla torre nord rappresenta l’angoscia e la disperazione che molte persone hanno vissuto quel giorno.

Marcy Borders ha lottato con problemi di salute mentale e dipendenza dopo l’attacco, ma ha cercato sempre di ricostruire la sua vita. Purtroppo, è scomparsa nel 2015, all’età di 42 anni. La morte è sopraggiunta quando finalmente era riuscita a recuperare serenità, stare con i suoi figli, lavorare. È deceduta per un cancro causato probabilmente da quanto aveva respirato in quella fuga, attraverso la polvere, che l’aveva resa tristemente nota. La sua storia rimane un simbolo dell’impatto personale e duraturo degli attacchi dell’11 settembre.

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