Ambiente

L’India vuole rendere la moda (e il mondo) più sostenibile

Tra i leader mondiali dell’industria tessile, il Paese sta rafforzando le proprie politiche per raggiungere risultati più performanti in termini di sostenibilità e lotta al greenwashing
An Indian laborer hangs dyed yarn for drying under the sun
An Indian laborer hangs dyed yarn for drying under the sun Credit: EPA/IDREES MOHAMMED
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27 agosto 2023 Aggiornato alle 13:00

Le misure verdi adottate da molte aziende sono attualmente oggetto di audaci strategie di branding, pubblicità e marketing per aumentare l’interesse e il coinvolgimento dei consumatori.

D’altro canto, dal fenomeno del Greenwashing (il così detto ecologismo di facciata) a quello del Green-hushing (ovvero il sottacere da parte di alcune imprese le iniziative sostenibili per evitare proprio di essere accusate di Greenwashing), i Paesi di varie parti del mondo stanno lavorando alla creazione di un quadro legislativo e normativo che tenga conto delle crescenti necessità ambientali come parte della strategia di comunicazione di un marchio.

L’International Sustainability Standards Board il 26 giugno 2023 ha pubblicato una regolamentazione globale per combattere il fenomeno del Greenwashing, con norme che prevedono, tra l’altro, l’obbligo di divulgazione delle emissioni. Una misura voluta per contrastare il fatto che il 42% delle 4.000 aziende più importanti del mondo non fornisce i propri dati sulle emissioni di carbonio.

Questo nuovo assetto normativo globale, sostenuto anche dal G20, sembra un promettente passo verso la riduzione dei rischi legati al cambiamento climatico e verso la lotta alle dichiarazioni poco trasparenti delle imprese.

Mentre dunque l’Unione Europea procede con l’adozione di una legislazione che garantisca pratiche rispettose dell’ambiente, controlli e rimedi contro il greenwashing e, soprattutto, che incentivi gli investimenti finanziari in una produzione sostenibile, attraverso la creazione di una tassonomia che possa garantire gli standard ESG, l’India sta rafforzando le proprie politiche per raggiungere risultati similari.

La Securities and Exchange Board of India ha infatti imposto, a partire dall’aprile 2022, la presentazione del Business Responsibility Sustainability Report alle prime 1000 società quotate in borsa (per capitalizzazione di mercato). Il rapporto prevede la divulgazione di obiettivi, traguardi e performance relativi alla sostenibilità, nonché di informazioni relative all’ambiente come l’uso delle risorse, la gestione dei rifiuti, le emissioni di carbonio, l’impatto sulla biodiversità, ecc.

L’altro pilastro del cambiamento in atto nel Paese è rappresentato dalla recente iniziativa dell’Advertising Standards Council of India (Asci), in collaborazione con il Department of Consumer Affairs, di istituire una task force per affrontare il greenwashing in vari settori, tra i quali quello della moda. La task force esaminerà le normative mondiali in materia al fine di individuare standard che siano accettabili a livello internazionale e che, pertanto, possono essere adottati anche in India. Sulla base di queste osservazioni poi è probabile che nel Paese siano emanate delle linee guida sulla sostenibilità.

In attesa di una legge specifica, è importante però sottolineare che il greenwashing è già sanzionato in India, così come in molti Paesi europei, come pratica commerciale scorretta (come previsto in India dal Consumer Protection Act del 2019). Inoltre, il codice pubblicitario dell’Asci stabilisce le linee guida per le pubblicità trasmesse ai consumatori e scoraggia le aziende dall’intraprenderne di ingannevoli.

L’iniziativa ulteriore di istituire una task force si basa sulla valutazione delle questioni trattate da altre giurisdizioni, così da rafforzare la protezione dei consumatori e sostenere le aziende che non praticano il greenwashing, ma che, anzi, mettono a tacere le loro iniziative ecologiche per timore di essere accusate di questa pratica.

L’India si è affermata come leader mondiale nella produzione di diversi prodotti tessili come la seta, il cotone, la fibra multimodale e la juta, della quale detiene quasi il 70% della produzione globale.

Inoltre è la seconda più grande base di produzione integrata verticalmente dopo la Cina, il che le conferisce un significativo vantaggio competitivo, sostenuto da una forte base produttiva lungo tutta la catena del valore e da una vasta gamma di materie prime. La catena del valore comprende tessitura, filatura, confezione e lavorazione.

Come se non bastasse nell’attuale era della sostenibilità, in cui l’industria tessile manuale (che non ha impatto ambientale) sta guadagnando interesse, il 95% della produzione mondiale proviene dall’India e per questo si stima che il comparto indiano raggiungerà probabilmente una dimensione commerciale di 250 miliardi di dollari entro il 2025.

Grazie alla politica del Paese di liberalizzazione degli investimenti diretti esteri, che consente il 100% di investimenti diretti all’estero nel settore tessile attraverso la così detta procedura automatica (che non necessita di autorizzazioni governative), negli ultimi anni l’attenzione sull’India è aumentata ed essendo un Paese che contribuisce in modo significativo all’industria tessile globale, è chiaro che potrebbe fare la differenza nel comparto se le politiche più ecologiche venissero adottate e ben articolate.

Oltre al quadro normativo esistente, che combatte la pubblicità ingannevole e il greenwashing, una task force che elabori un codice esaustivo sulla sostenibilità è quindi probabilmente uno strumento in grado di far crescere gli standard e le aspettative internazionali sulle questioni ambientali.

In sintonia con le legislazioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, l’India potrebbe lavorare in modo armonioso, agevolando le imprese e spingendole verso la sostenibilità.

In questo contesto l’azione sta procedendo in due direzioni: una a livello governativo e l’altra attraverso iniziative di associazioni di imprenditori e autorità di certificazione sostenute dal governo.

La prima strategia da mettere in atto è quella di creare politiche volte a classificare le attività economiche e le tecnologie tra categorie sostenibili e non sostenibili: l’obiettivo è attrarre fondi da parte di investitori che agiscono a livello globale e che sempre più spesso scelgono di investire in base all’impatto di sostenibilità di un’azienda in una lettura ESG compliant.

Oltre alla genuina intenzione di rendere la produzione più sostenibile, l’India potrebbe infatti beneficiare di un quadro giuridico sulla sostenibilità articolato in modo da garantire il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. Questo sarebbe probabilmente utile per la sua partnership e per la crescita degli affari con l’Unione Europea, dato che la direttiva sulla Supply Chain, che obbliga a rilevare il rispetto delle norme ambientali e dei diritti umani su tutta la filiera produttiva, anche per le fasi di produzione extra Unione, sarà probabilmente implementata a breve in Europa.

Con una legislazione virtuosa è molto probabile che le aziende europee possano avere rapporti preferenziali con le industrie indiane come fornitori, facilitando l’applicazione della direttiva. Sebbene il piano possa sembrare ambizioso, questo è possibile e vantaggioso per tutto il mondo perché, come ha detto il Primo Ministro Narendra Modi «auando l’India cresce, il mondo cresce, quando l’India si riforma, il mondo cambia».

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