Diritti

Industria tessile: problemi per diritti e inquinamento

L’Europa produce gran parte dei propri capi in Asia. Qui i lavoratori sono sottopagati, esposti agli effetti dannosi dei prodotti chimici e vittime di incidenti e maltrattamenti
Credit: Jan Woitas/dpa-Zentralbild/dpa
Tempo di lettura 4 min lettura
12 luglio 2023 Aggiornato alle 15:00

In Europa il settore tessile si sta preparando ad affrontare gli effetti di una nuova regolamentazione che mira a ridurre gli sprechi e a rendere l’industria dell’abbigliamento più sostenibile, aumentando la responsabilità da parte delle aziende. Se i progressi su questi fronti, tuttavia, potrebbero essere lenti e si stima che il costo per le aziende sarà alto, i danni ambientali e sociali non si fermano.

Nel 2021 le aziende della moda europee hanno fatturato 147 miliardi di euro; la loro attività, però, ha causato gravi danni ambientali, compreso l’inquinamento chimico dovuto alle fabbriche di viscosa e montagne di rifiuti tessili.

Anche se il tempo di utilizzo medio di un capo di abbigliamento in Europa si è ridotto del 36%, la produzione di vestiti è cresciuta (tra 2000 e 2015 è raddoppiata). Ogni cittadino consuma ogni anno quasi 26 chili di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11. Quasi la metà dei vestiti usati finiscono in Africa in discariche a cielo aperto e il 41% in Asia, mentre due terzi degli scarti che restano in Europa vengono inceneriti anziché essere recuperati.

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, dall’inizio del ciclo produttivo fino alla distruzione dei capi, l’industria tessile provoca così 270 kg di emissioni di CO2 per persona. Questo significa che i prodotti tessili consumati nell’Unione europea hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate.

Accanto all’inquinamento dell’aria, si stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile a causa di vari processi come la tintura e la finitura, mentre il lavaggio di capi sintetici rilascia ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

A inizio anno, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di includere nel Green Deal nuove misure per la prevenzione degli sprechi, il riutilizzo dei prodotti e il riciclaggio dei rifiuti tessili in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale. Tra le proposte della Commissione europea c’è anche quella di far pagare l’industria tessile per la lavorazione di abbigliamento e calzature dismessi.

Ad ora, la direttiva sui rifiuti approvata dal Parlamento europeo nel 2018 stabilisce che i Paesi dell’Ue siano obbligati a provvedere alla raccolta differenziata dei prodotti tessili entro il 2025, ma i passi da compiere in direzione “circolarità” della filiera sono ancora molti. Intanto l’80% degli effetti negativi sull’ambiente si ripercuote in Asia, dove si concentra la gran parte della produzione tessile dell’industria europea.

A subire le conseguenze di un settore che produce sempre di più a discapito del costo di realizzazione sono anche i lavoratori. Sfruttati e sottopagati, chi lavora nelle fabbriche asiatiche è esposto agli effetti dannosi dei prodotti chimici impiegati per il trattamento di materiali e vittima di incidenti sul lavoro e maltrattamenti causati dalla mancanza di protezione sociale.

In Bangladesh, per esempio, almeno 1 fabbrica su 5 non assicura il salario minimo legale ai propri dipendenti; ma i diritti dei lavoratori che producono vestiti per i marchi europei sono sistematicamente violati anche in India, Pakistan e Sri Lanka.

Oltre a essere sottoposti a orari di lavoro estenuanti per un salario medio estremamente basso e alla mancanza di sicurezza, Human Rights Watch denuncia che i proprietari e i dirigenti delle fabbriche spesso licenziano le lavoratrici incinte o negano loro il congedo di maternità; compiono ritorsioni contro i lavoratori che aderiscono o formano sindacati e costringono le persone a fare straordinari massacranti. Non mancano inoltre i casi in cui i dirigenti o i lavoratori maschi che molestano sessualmente le lavoratrici restano impuniti.

Leggi anche
Fast fashion
di Chiara Manetti 3 min lettura
Dall'account Instagram @asrightashumane
abusi
di Valeria Pantani 3 min lettura