Diritti

Il pesticida che per noi no, per l’Africa sì

L’Unione europea applica il doppio standard: vieta sul proprio territorio l’uso di alcuni pesticidi ma permette alle agenzie di sviluppo degli Stati membri di finanziarne l’acquisto per l’utilizzo sul suolo africano
Credit: Laura Arias
Tempo di lettura 3 min lettura
10 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Nel lodevole intento di sostenere la crescita delle economie in via di sviluppo, sono molte le iniziative assunte dalle agenzie di cooperazione europee a favore di vari Paesi, fra i quali quelli africani.

Si tratta spesso di progetti riguardanti l’agricoltura a supporto delle comunità locali. Non tutte però fruttuose e alcune anche nefaste.

Il vizio all’origine spesso, come per la Green Revolution, voluta da due delle più potenti fondazioni americane e ben lungi dal raggiungere i risultati promessi, è di voler applicare l’approccio occidentale a realtà molto diverse.

In altri casi, come quello di cui voglio parlare, è l’applicazione del doppio standard: ovvero dell’uso di soluzioni diverse a situazioni identiche o molto simili, dove sembra sotteso un differente rispetto degli esseri umani e dell’ambiente, a seconda di dove essi si trovino.

È ciò che avviene per alcuni pesticidi vietati in Europa ma il cui acquisto pare essere stato finanziato da agenzie di sviluppo francesi e tedesche per l’utilizzo in Africa e altri Paesi che non li vietano.

Indagini svolte da gruppi di giornalisti indipendenti di Watch Africa e Lighthoue Reports riportano l’uso del pesticida Paraquat, bandito dall’Unione europea dal 2007, per le coltivazioni in Ghana dell’albero della gomma e denunciano casi simili anche in Uzbekistan e Paraguay, sempre finanziati da parte delle agenzie di sviluppo di stati europei.

A prescindere dalla particolare pericolosità di un singolo pesticida che ne conduce al bando, è importante ricordare che i pesticidi dovrebbero essere sempre usati con cura e solo dopo corsi d’istruzione.

La Pesticide Action Network International stima infatti che ogni anno ben 11.000 agricoltori nel mondo muoiano a causa loro ed è per questo che dovrebbero essere sempre maneggiati da persone che abbiano ricevuto una specifica preparazione e siano dotate di strumenti di protezione. Senza considerare poi che i prodotti della terra dovrebbero essere accuratamente trattati per rimuovere la presenza dei pesticidi prima della loro ingestione (triste fenomeno questo che riguarda ormai le tavole di tutti coloro che non possono permettersi il cibo biologico).

Ebbene dalle testimonianze raccolte non appare che questo tipo di formazione sia stata resa agli agricoltori che “beneficiano” di questi programmi d’intervento.

E proprio il caso di ricordare il vecchio adagio, adattandolo alla situazione di cui ti parlo, “quel che (non) ammazza, ingrassa”, dove esiste una scissione tra chi subisce gli effetti nocivi e chi lucra su di essi.

Un’altra di quelle circostanze in cui i buoni propositi, almeno quelli dichiarati, appaiono frustrati nei fatti: sebbene il doppio standard sia la negazione della filosofia morale e della giustizia terrena, al mondo c’è sempre qualcuno più uguale degli altri.

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