Diritti

Sul lavoro mancano tutele per i diritti sessuali e riproduttivi delle donne

Mentre il gender gap è ancora lontano dall’essere colmato, a livello globale pochissime aziende e organizzazioni hanno policy volte a garantire la salvaguardia della salute femminile
Credit: Rene Böhmer
Tempo di lettura 4 min lettura
29 luglio 2023 Aggiornato alle 20:00

I diritti sessuali e riproduttivi delle donne nel mondo non sono una priorità e questo contribuisce ad aumentare le discriminazioni di genere anche nel settore lavorativo.

Global Health 50/50, una realtà che opera per l’uguaglianza di genere in ambito sanitario ha rilevato che solo una delle 197 organizzazioni nel mondo specializzate in diritti sulla salute sessuale e riproduttiva offre delle policy aziendali di tutela in caso di mestruazioni, menopausa, trattamenti per la fertilità, aborto e congedo parentale.

Sebbene molti luoghi di lavoro abbiano adottato politiche che supportano le donne nella conciliazione tra vita familiare e professionale, mancano sforzi mirati a rendere anche la salute femminile una priorità.

Tra le organizzazioni esaminate ci sono enti non governativi, organismi di partenariato pubblico-privati, imprese private, agenzie Onu, società di consulenza e organizzazioni religiose di 37 Paesi che coinvolgono oltre 4,5 milioni di persone nel mondo.

Di queste, 29 prevedono la possibilità di usare dei permessi per malattia in caso di mestruazioni, menopausa, aborto e altre necessità legate alla salute riproduttiva, una riconosce un permesso specifico in caso di menopausa e soltanto un’altra possiede una policy dedicata sul congedo mestruale, tuttavia non retribuito.

Se 21 società, inoltre, hanno un piano dedicato per aiutare le proprie dipendenti in caso di violenza domestica, una riconosce anche interventi mirati a sostegno di chi ha affrontato un aborto, mentre 4 rendono disponibili al personale dei fondi nel caso in cui sia necessario viaggiare per accedere ai servizi abortivi.

Secondo Natalia Kanem, direttrice esecutiva del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, «la salute e i diritti sessuali e riproduttivi sul posto di lavoro svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere l’uguaglianza di genere, la leadership femminile e, di conseguenza, uno sviluppo sostenibile più equo, giusto e inclusivo».

Eppure quasi 2,4 miliardi di donne in età lavorativa vivono in Paesi che non garantiscono loro gli stessi diritti degli uomini. Tra questi, 93 Stati non hanno sottoscritto alcun impegno per garantire la parità di retribuzione e altri 30 non vietano ancora la discriminazione di genere nell’occupazione.

Quest’anno la Banca Mondiale ha riferito che nell’ultimo ventennio le riforme riguardanti la parità di trattamento delle donne nel mondo hanno smesso di crescere. Intanto, ogni anno, la percentuale di coloro che occupano posizioni di leadership all’interno delle aziende si alza di appena l’1,25%. Se il ritmo di crescita non aumenta, quindi, serviranno ancora 14 anni prima di arrivare alla parità tra uomini e donne CEO.

Implementare policy aziendali dedicate a tutelare la salute riproduttiva e sessuale potrebbe quindi aiutare a colmare questo divario? Nella storia, le riforme nei luoghi di lavoro sono servite a raggiungere obiettivi sociali più ampi in materia di salute e demografia. Dalla prima metà del ventesimo secolo fino agli anni ‘90, l’Unione Sovietica e diversi Paesi asiatici hanno adottato politiche inerenti al congedo mestruale ma è stata sollevata la preoccupazione che, anziché progredire verso l’uguaglianza di genere, queste politiche siano state piuttosto mirate e utilizzate solo per garantire i ruoli riproduttivi delle donne secondo un modello patriarcale.

Ora che l’attenzione verso il congedo mestruale nell’ottica dei diritti riproduttivi è tornata, alcuni ricercatori temono che certe policy possano perpetuare convinzioni e atteggiamenti sessisti, il divario salariale di genere e l’idea che le mestruazioni vadano medicalizzate, cioè curate, in quanto debilitanti.

D’altra parte, secondo il report, policy che aiutano i propri impiegati nell’accesso alla fertilità, indipendentemente dalla loro identità di genere e dall’orientamento sessuale, contribuiscono a eliminare barriere e discriminazioni. Allo stesso modo, i posti di lavoro che sostengono le impiegate che hanno abortito o che sono vittime di violenza contribuiscono a creare comunità più sicure e inclusive, anche dal punto di vista della salute.

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