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Quando la polizia spara, è la fiducia che ferisce

Il diciassettenne Nahel è stato ucciso il 27 giugno dalla polizia vicino a Parigi. Da allora in Francia è successo il finimondo, e non è la prima volta
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8 luglio 2023 Aggiornato alle 09:00

Parigi è la capitale della Francia. A Parigi ci sono la Torre Eiffel, il Louvre e i bateaux mouches lungo la Senna. Intorno a Parigi ci sono tante, tantissime città. Alcune sono ricche e altre molto meno. In alcune ci sono tante casettine col giardino e in altre dei palazzoni alti di cemento con poche cose intorno. Da un paio di settimane, a Parigi, nelle città che la circondano e in tutta la Francia, c’è una grande agitazione.

Sono successe tante cose in queste ultime due settimane. Tutto ha avuto inizio - ma è solo un finto inizio, ché gli inizi iniziano sempre prima d’iniziare - martedì 27 giugno, alla vigilia dell’Eid, una festa musulmana durante la quale viene ricordato il sacrificio di Abramo.

A Nanterre, una città alla periferia di Parigi, un ragazzo di 17 anni che si chiama Nahel viene fermato dalla polizia perché sta guidando in modo un po’ spericolato. Due poliziotti gli puntano la pistola contro ma, siccome Nahel non si ferma, uno dei due gli spara a bruciapelo e lo uccide.

Da allora, è successo il finimondo. Moltissimi coetanei di Nahel che, come lui, vivono nelle periferie meno fortunate di Parigi si sono arrabbiati tantissimo. Hanno cominciato a bruciare macchine, autobus e cassonetti. Nei giorni successivi, la loro rabbia è aumentata e ha contagiato tutto il Paese, anche città molto lontane da Parigi e senza quartieri coi palazzoni brutti. Tanti ragazzi giovani e giovanissimi hanno dato fuoco ai palazzi, ai comuni, alle biblioteche. Hanno depredato e distrutto i negozi.

Negli ultimi giorni sembra essere tornata la calma perché il governo ha mobilitato tutti i poliziotti disponibili e ha arrestato migliaia di persone ma si respira un’aria pesante e brutta. Il Paese è confuso e sconvolto e non sa bene da che parte stare. Tutti hanno un po’ ragione e un po’ torto e, come sempre, ogni tentativo di trovare i buoni e i cattivi è inutile, sbagliato e pericoloso.

Adesso la giustizia dovrà sbrogliare una matassa ingarbugliata di fatti e di accuse per cercare di trovare una soluzione e una punizione giusta a seconda di ogni accusa, senza fare di tutta l’erba un fascio. Dovrà giudicare il poliziotto che ha ucciso Nahel e le migliaia di ragazzi e adolescenti che hanno messo a ferro e fuoco i loro quartieri.

Nahel aveva 17 anni ed era, come si dice, una persona razzializzata. Vuol dire che, pur essendo francese come tutti gli altri, a causa del colore della sua pelle o del suo nome, gli venivano appioppate addosso alcune etichette sbagliate. Viveva in periferia, era di origine araba: tanto basta ad alcuni per pensare che sia un mezzo delinquente.

Tanti dei ragazzi che in questi giorni hanno dato fuoco alle cose e lanciato fuochi d’artificio contro la polizia sono razzializzati come Nahel e, come lui, pagano ogni giorno il prezzo dei pregiudizi e di una vita senza grandi possibilità. Sanno - ed è tristissimo - che al posto di Nahel ci potevano essere loro.

Il problema è che in Francia, da diversi anni, si è rotta la fiducia tra la polizia e la popolazione, soprattutto nei quartieri più svantaggiati. La gente non si fida più della polizia, anzi, ne ha paura. Nel 2005, 2 ragazzi che si chiamavano Zyed e Bouna, sono stati uccisi dalla polizia proprio come Nahel, mentre cercavano di scappare. Già allora esplosero delle rivolte molto dure che misero a ferro e fuoco le periferie di Parigi.

Due anni dopo, il governo francese ha deciso di dare alla polizia armi più pesanti, armi da guerra che si chiamano LBD. Da allora la gente ha cominciato ad avere paura perché è a questo che serve un’arma da guerra: a fare paura, non a generare fiducia.

In quel periodo sono aumentati i controlli d’identità, ma non in modo equo.

Infatti, in Francia, un maschio razzializzato si fa controllare 20 volte di più rispetto agli altri. Allora, col tempo, si è creata questa idea (non proprio campata per aria) di una polizia razzista che discrimina, spaventa e aggredisce i cittadini che dovrebbe proteggere. E siccome la polizia ha delle armi pesanti, chi protesta si arma per difendersi: lo vedi il circolo vizioso?

A peggiorare le cose, nel 2017 è stata approvata una legge che permette ai poliziotti di sparare più facilmente per difendersi. Non ti stupirà che da allora gli spari sono aumentati a dismisura e che nel 2021 sono morte 37 persone a causa di queste pistolettate. Ovviamente, ogni morto provoca un’onda di rivolte, il circolo vizioso della violenza ricomincia e la fiducia nella polizia si sgretola.

Questi giorni sono ancora confusi e dolorosi e tutto il Paese ha la sensazione di stare seduto su una polveriera, pronta a scoppiare di nuovo da un momento all’altro. Quello che però possiamo vedere è che la fiducia è un oggetto strano, che si costruisce col tempo ma si rompe in un attimo. E che, per riattaccarne i pezzi, servirebbe ascolto e pazienza, ma le armi chiaramente non sono una colla efficace.

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