Diritti

Fratelli d’Italia vuole eliminare il reato di tortura

Contro la legge in vigore dal 2017, arriva una proposta di abrogazione dal partito di Giorgia Meloni. Il motivo? Ostacolerebbe l’operato delle forze dell’ordine
Credit: Engin Akyurt
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
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27 marzo 2023 Aggiornato alle 19:00

Nel 1989 l’Italia ha ratificato la Convenzione contro la tortura, votata nel 1984 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, impegnandosi a inserire nei propri codici penali una norma specifica che inquadrasse e punisse questo reato.

A seguito di un cammino molto tortuoso e continui solleciti da parte dell’Europa, si è arrivati a farlo solo nel 2017. Ma oggi c’è chi vorrebbe ripensarci.

È di questi giorni, infatti, la proposta avanzata da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia di cancellare la legge che punisce questo reato. La prima firmataria Imma Vietri nello specifico chiede di abrogare gli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale e considerare la tortura solo come un’aggravante, governata dall’articolo 61.

L’articolo 613-bis punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, “con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza”. Serve inoltre che il fatto sia commesso da più persone. Il 613 ter invece si concentra sull’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura.

Secondo i firmatari della proposta di abrogazione però queste norme ostacolerebbero in alcuni casi l’operato del personale delle forze dell’ordine «che per l’esercizio delle proprie funzioni è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica».

Anche se la tortura in quanto tale può essere messa in atto in qualunque luogo, si guarda in particolare a ciò che avviene nelle carceri.

«Gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate», continuano gli esponenti di Fratelli d’Italia, non nuovi a richieste di questo tipo, visto che già nel 2018 la stessa Giorgia Meloni aveva avanzato una proposta analoga.

Proprio le carceri italiane però sono da tempo nel mirino dell’Unione europea che ci chiede di intervenire per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e che quindi sicuramente mal digerirà questa nuova possibile virata, anche perché nemmeno il reato di tortura come oggi è concepito nel nostro Paese piace molto a Strasburgo, così come all’Onu, essendo ricco di zone ombra passibili di interpretazione.

A confermarlo anche il Cpt, l’organo anti tortura del Consiglio d’Europa, che dopo una visita in quattro carceri italiane ha stilato un rapporto tutt’altro che benevolo. Ciò che è emerso, infatti, è che il sovraffollamento rappresenta un problema, con carceri che operano al 114% della loro capacità ufficiale, ma anche l’alto numeri di violenza e intimidazioni tra i detenuti nelle strutture visitate, segnalate ai funzionari del Cpt.

Episodi che prima, senza il reato di tortura, spesso finivano impuniti o nella migliore delle ipotesi necessitavano di anni di processi per vedere le vittime avere giustizia, come avvenuto per la vicenda Cucchi. Non è un caso, quindi, che una delle prime a esprimere ferma contrarietà all’abolizione sia stata Ilaria Cucchi, appellandosi al capo dello Stato Sergio Mattarella.

«Sostenere che la tortura in Italia non esista è una bugia. Far finta di niente e voltarsi dall’altra parte è già questa una violazione dei diritti umani e lo so perché l’ho provata sulla mia pelle», ha dichiarato facendo ovviamente riferimento alla morte del fratello Stefano, avvenuta nel 2009 e per il quale i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a dodici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, ma anche a tanti casi analoghi.

L’ultimo in ordine di tempo sarebbe avvenuto nel carcere di Biella, dove 23 agenti sono stati sospesi proprio con l’accusa di tortura nei confronti di 3 detenuti, ma è impossibile dimenticare anche la mattanza avvenuta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020, per la quale sono al momento a processo con varie accuse, tra le quali quella di tortura, 105 persone.

Secondo Antigone, l’associazione che da anni si occupa dei diritti dei detenuti, “voler abrogare la legge, cosa che finora non ha fatto alcun Paese al mondo, è un’offesa anche per quella grandissima parte delle persone che lavorano nelle forze dell’ordine e sono rispettose dei diritti”.

Il punto in buona parte è proprio questo: capire a che altezza il nostro Paese pone la barra dei diritti. Un fatto non sempre chiarissimo e che ha in parte condizionato tutta la vita della legge sul reato di tortura, da ben prima della sua nascita.

Ad accelerarne l’approvazione, infatti, è stata la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che nel 2015 ha condannato l’Italia per la condotta tenuta da molti agenti durante il G8 di Genova del 2001, con particolare riferimento all’irruzione nella scuola Diaz, dove secondo la corte le azioni della polizia ebbero finalità punitive e tutte le caratteristiche per venire classificate come tortura.

A distanza di più di 20 anni Genova è ancora lì a farci da monito, nella speranza che la storia non venga dimenticata.

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