Diritti

Paesi Bassi: la polizia sorveglia illegalmente i manifestanti

Amnesty International denuncia azioni intimidatorie e violazioni di diritti umani messe in atto dalle autorità nei confronti dei cittadini, anche quando non necessario. Come il controllo dei documenti di identità
Credit: Amnesty.org
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
7 giugno 2023 Aggiornato alle 13:00

Accertamenti illegali d’identità, monitoraggio delle attività sui social media, uso dei droni durante le proteste, infiltrazione nelle app dei gruppi e ispezioni nelle abitazioni senza preavviso”: quelle che sembrano azioni per combattere pericolosi criminali o terroristi sono alcune delle pratiche messe in atto dalla polizia dei Paesi Bassi ai danni dei manifestanti pacifici.

A denunciare la sorveglianza illegale è Amnesty International nel rapporto Poteri incontrollati: i controlli d’identità e la raccolta dei dati nei confronti dei manifestanti pacifici, pubblicato nell’ambito della campagna Proteggo la protesta che documentando gli attacchi ai manifestanti per sostenere chi viene preso di mira e i movimenti sociali che lottano per i diritti umani.

Secondo le ricerche della Ong, che ha intervistato 50 manifestanti, le forze di polizia utilizzano azioni intimidatorie e metodi di sorveglianza delle forze di polizia, “non rispettano le leggi nazionali né gli standard internazionali sui diritti umani”.

“Ad un certo punto, 7 o 9 agenti di polizia ci stavano circondando, mentre eravamo solo in 4. Ci è stato detto stavamo facendo qualcosa che non era consentito, quindi volevano vedere il nostro documento d’identità. (…) E perquisivano chi non ha voluto mostrare il proprio documento. È stato davvero sgradevole. Ho continuato a sentirmi impotente per giorni. Quando tutto è finito, l’ufficiale di polizia ha detto che in realtà avevamo il diritto di manifestare. Ma a quel punto era già successo, con così tante persone intorno. Invocano la loro posizione di potere. Ho dato molto rapidamente la mia carta d’identità perché avevo paura di essere perquisito. (…) Mi sento come se stessero tentando di impedirmi di manifestare”.

Il report, che si focalizza proprio sul controllo illegittimo dei documenti, si apre con le parole di Robert, manifestante a una protesta contro il razzismo nel novembre 2020. Come lui, tantissime persone hanno dovuto consegnare i documenti. Chi si è rifiutato di mostrarli, senza sapere perché, è stato arrestato. Come Clive, a cui un avvocato ha confermato che non era obbligato, ma è stato portato via in manette.

Identificare i e le manifestanti attraverso il controllo della carta d’identità, spiega Amnesty, non è solo una violazione della privacy, ma anche un deterrente che impedisce alle persone di manifestare liberamente: “Chiedendo regolarmente ai manifestanti pacifici di esibire le loro carte d’identità, le forze di polizia non solo stanno violando il diritto alla riservatezza ma stanno anche producendo un effetto raggelante sul diritto alla libertà di protesta pacifica”, ha dichiarato Dagmar Oudshoorn, direttore di Amnesty International Paesi Bassi.

Gli agenti di polizia olandesi hanno ampia discrezionalità nel richiedere il documento d’identità. Ogni persona di 14 anni o più ha il dovere di mostrare un documento a un ufficiale delle forze dell’ordine alla prima richiesta. Secondo la Legge relativa all’obbligo di identificazione del 2003, però, i controlli d’identità sono permessi solo quando “ragionevolmente necessario” per lo svolgimento del lavoro delle forze dell’ordine. “Le prassi attuali - continua Amnesty - sono evidentemente contrarie a quanto è permesso da quella normativa”.

Perché un controllo sia “ragionevolmente necessario”, continua infatti il report, deve esserci il ragionevole sospetto di un reato sufficientemente grave basato su indicatori individualizzati e oggettivamente verificabili, e devono essere sempre considerati i requisiti dei diritti umani di legalità, necessità e proporzionalità.

Quando la legge relativa all’identificazione obbligatoria è stata originariamente proposta, il Governo olandese ha assicurato ai critici che “ostacolare la partecipazione alle attività della società regolare” non rientrava in questa categoria. Eccetto per le situazioni sospette, i legislatori ritenevano che “sarebbe stato difficile immaginare” a quale scopo sarebbe servita la registrazione dei dati personali nello svolgimento dei compiti di polizia. Il Governo, continua il report, aveva dichiarato che il suo impegno a non registrare i controlli di identità sarebbe stato una salvaguardia contro la possibilità di un effetto dissuasivo. “Questo rapporto mostra che questi impegni presi dai legislatori vengono violati nella pratica dalla polizia”.

A essere illecita non sarebbe solo la raccolta dei dati (a volte effettuata sulla base di una profilazione etnica) ma anche il successivo trattamento: “una volta controllata, ciascuna carta d’identità è conservata in un database della polizia per almeno 5 anni, in violazione del diritto alla riservatezza”.

Le proteste, quindi, vengono monitorate attraverso controlli dei documenti illegali (il cui effetto è dissuadere dalle proteste stesse attraverso quello che Amnesty definisce un “mindset” di minaccia e potere discrezionale senza controllo), ma anche attraverso la registrazione nei database che espone i manifestanti pacifici al rischio di data mining e di tracciamento illegale, oltre a violare il loro diritto alla riservatezza.

Questi controlli diventano un deterrente: le persone non si sentono a loro agio a scendere in piazza e il rischio è che anche le manifestazioni future siano compromesse da questa criminalizzazione delle proteste. “Invece di monitorare segretamente i manifestanti pacifici, le forze di polizia dovrebbero facilitare lo svolgimento delle proteste. Chiediamo alle autorità di prendere iniziative per porre fine al monitoraggio illegale dei manifestanti pacifici. I controlli d’identità dovrebbero essere eseguiti solo di fronte al ragionevole sospetto di una grave azione criminale”, ha concluso Oudshoorn.

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