Diritti

Aborto: qual è la situazione europea?

Politico ha definito il quadro un “incubo crescente”. Infatti, oltre alle restrizioni in vigore nei singoli Stati, ci sono anche costi proibitivi e scarsità di medici disposti a praticare l’Ivg
Giugno 2023, Polonia: una donna durante una manifestazione al grido di "Non una in più!" (Ani Jednej Wiecej!) per protestare contro l'inasprimento della legge per l'aborto
Giugno 2023, Polonia: una donna durante una manifestazione al grido di "Non una in più!" (Ani Jednej Wiecej!) per protestare contro l'inasprimento della legge per l'aborto Credit: Attila Husejnow/SOPA Images via ZUMA Press Wire
Tempo di lettura 6 min lettura
7 luglio 2023 Aggiornato alle 11:00

Interrompere una gravidanza sembra stia diventando un incubo per le donne in Europa. Lo scrive Politico, che ha realizzato una serie di interviste con attivisti, medici e politici di diversi Paesi per comprendere tutte le difficoltà che incontrano le donne che vogliono accedere all’aborto anche nelle giurisdizioni in cui la pratica è legittima.

Gli ostacoli non sono soltanto di ordine legislativo: ci sono anche i costi proibitivi e la scarsità di medici a complicare una situazione d’insieme che definire cupa è quasi un eufemismo perché, spiega Politico, “il peggio deve ancora venire”.

In molti Paesi europei le restrizioni giuridiche sono un terreno insidioso per le donne che non vogliono portare a termine una gravidanza. In Austria la materia è regolata dal codice penale sin dal 1975: la donna che vuole abortire non è perseguibile soltanto nei primi 3 mesi di gravidanza grazie all’introduzione di una specifica causa di non punibilità. «Ma ciò non significa che l’aborto sia legale», ha chiarito Anna Maria Lampert di Changes for Women (Ong di Vienna che raccoglie fondi per garantire alle donne incinte l’accesso all’aborto sicuro).

In Germania, invece, la donna deve seguire un percorso di counseling obbligatorio di 3 giorni: un percorso di assistenza psicologica che ha spesso come unico effetto quello di caricare di ulteriore peso una decisione già difficile e che, secondo la dottoressa Cemil Yaman, direttrice dell’Institut Gynomed di Linz, spinge meno di 1 donna su 10 a riconsiderare la propria scelta. Le leggi sono ancora più severe in Ungheria, dove le donne sono costrette a sentire il battito cardiaco del feto o a osservare un qualsiasi segno delle funzioni vitali “in modo chiaramente riconoscibile” prima di poter abortire.

E in Polonia una sentenza della Corte costituzionale divenuta efficace dal 2021 ha eliminato dal novero ristrettissimo di casi in cui è consentito l’aborto quello per gravi malformazioni del feto, lasciando la possibilità di interrompere la gravidanza solo nei casi di stupro, incesto o di pericolo di vita o di salute per la madre. Molti medici polacchi tendono a negare l’accesso all’aborto anche quando sarebbe legittimo, per paura che un giudice possa poi contestare l’assenza di condizioni di pericolo per la donna. «Smettete di farci morire» è il grido di protesta delle manifestanti che il mese scorso hanno protestato per chiedere la legalizzazione dell’aborto dopo che una donna incinta di 33 anni è morta in ospedale senza essere neppure informata del fatto che avrebbe potuto abortire per salvarsi la vita.

Malta continua ad avere la normativa più rigida del continente europeo, nonostante l’approvazione di una recentissima riforma. Il 28 giugno il Parlamento ha votato per attenuare con un’unica eccezione l’originario divieto totale di abortire in qualsiasi circostanza: deve esserci un pericolo di morte per la donna (non basta che sia a rischio la sua salute) e si può procedere solo con l’approvazione di 3 medici riguardo la necessità di interrompere la gravidanza. Chi si sottopone a un aborto al di fuori di questa ipotesi rischia fino a 3 anni di carcere (4 per chi aiuta una donna ad abortire).

Questa legge anti-aborto per anni è stata applicata solo di rado, ma all’inizio del mese scorso è tornata a destare preoccupazione, quando una donna è stata condannata (con sospensione condizionale della pena) per aver effettuato un aborto farmacologico in casa.

Se si aggiungono i costi spesso esorbitanti per l’esecuzione della procedura, le possibilità effettive di abortire si riducono ulteriormente. Nelle strutture sanitarie pubbliche del nostro Paese il servizio è garantito (o almeno dovrebbe, salvo il problema dell’eccesso di medici obiettori di coscienza) e non prevede alcun costo, ma altrove le spese per abortire vengono coperte da un’assicurazione solo nei rari casi in cui vi siano ragioni mediche, con la conseguenza che le donne sono spesso costrette a rivolgersi a cliniche private e a farsi carico di tutte le spese.

In Austria il percorso costa dai 300 ai 1.000 euro, con l’aggiunta dell’Iva al 20%. In Ungheria gli ospedali pubblici chiedono 110 euro, mentre una clinica privata può addebitare fino a 930 euro. L’intervento può costare fino a 900 euro anche in Romania, con il paradosso che questa cifra è addirittura superiore allo stipendio mensile medio del Paese che si aggira intorno agli 860 euro.

Senza contare che la scarsa presenza di medici disposti a eseguire l’intervento rende di fatto impraticabile l’interruzione di gravidanza in molte zone d’Europa. Secondo le ricostruzioni di Politico, la regione meno popolata dell’Austria (il Burgenland) non ha nessuna clinica che ufficialmente offra questo servizio, mentre nel Tirolo per 750.000 abitanti c’è un solo medico abortista. Stessa situazione nelle aree rurali della Romania, dove nel raggio di 100 chilometri è a disposizione un unico medico per qualsiasi tipo di trattamento. Mentre in Slovacchia, dove è consentito soltanto l’aborto chirurgico, le donne che preferiscono il metodo farmacologico devono viaggiare fino in Austria per comprare una pillola abortiva.

In Italia, come detto, la prevalenza di medici obiettori di coscienza in alcune città rende molto problematico ricorrere all’Ivg e alcune donne sono costrette addirittura a spostarsi in altre Regioni. Da una recente inchiesta di Internazionale è emerso che a Cosenza, nell’Ospedale Annunziata, i ginecologi sono tutti obiettori di coscienza e l’interruzione di gravidanza è possibile solo 2 volte alla settimana quando è presente un apposito medico “a gettone”.

Il Molise è la Regione con il più alto tasso di medici obiettori (l’unico non obiettore è stato costretto a rimandare la pensione perché ai concorsi per sostituirlo non si presentava nemmeno un candidato), seguita da Puglia e Marche. Secondo il report Mai dati dell’Associazione Luca Coscioni, in Italia ci sarebbero 72 ospedali che hanno tra l’80 e il 100% di obiettori di coscienza nel personale sanitario; 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiettori tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e Oss; 18 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori e 46 strutture che hanno una percentuale di obiettori superiore all’80%.

Perché la situazione potrebbe peggiorare? Perché le maggiori restrizioni in Polonia e Ungheria e l’esempio statunitense del rovesciamento della storica sentenza Roe v. Wade hanno riacceso e reso più forti le campagne delle organizzazioni antiabortiste europee.

Nel report del 2021 dell’European Parliamentary Forum for Sexual and Reproductive Rights, sono stati individuati 120 gruppi di questo tipo (finanziati da fonti disparate tra cui donatori americani, Ong cristiane e oligarchi russi), con alcuni tentativi di infiltrazione nel sistema giudiziario che si ispirano a quanto avviene negli Stati Uniti. Un esempio lampante: il Governo polacco ha incluso il fondatore del gruppo anti-abortista Ordo Iuris, Aleksander Stępkowski, nella sua lista (fortunatamente respinta) di candidati per la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Per contrastare queste iniziative, alcuni europarlamentari chiedono che il diritto di abortire venga scritto una volta per tutte nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ma sembra improbabile che una proposta del genere possa essere presa in considerazione prima delle prossime elezioni europee del 2024.

Leggi anche
Aborto
di Giulia Blasi 4 min lettura
Una manifestazione davanti alla Corte Suprema Usa, lo scorso dicembre: in aula il caso del Mississippi Ban sull'aborto,
esteri
di Valeria Pantani 3 min lettura