Diritti

Lo scandalo infinito dell’obiezione all’IVG

L’ennesimo ginecologo che getta la spugna, l’ennesimo ospedale in cui non si effettuano più interruzioni di gravidanza: e il Ministero della Salute tace
Credit: Allyssa Olaivar/unsplash
Tempo di lettura 5 min lettura
20 luglio 2022 Aggiornato alle 06:30

Si è dimesso. L’ultimo ginecologo non obiettore di Cosenza si è dimesso. Francesco Carioti non ce la faceva più: come tutti i ginecologi non obiettori (circa il 30% su media nazionale, ma con oscillazioni notevoli di regione in regione) era ridotto a reggere per intero sulle sue spalle l’erogazione di un servizio di base per la salute riproduttiva delle donne e di tutte le persone che possono generare. Un servizio negato non solo dai colleghi ginecologhi di Carioti, ma anche dal resto del personale medico necessario per effettuare IVG: anestesisti, infermieri, ostetrici. Tutti obiettori. Carioti ha gettato la spugna. Non lo biasimiamo – la situazione era insostenibile e scandalosa – ma ora le donne cosentine devono andare a fare la fila all’ospedale di Castrovillari, 50 chilometri più in là. Immaginatevi cosa vuol dire questo per una donna che non ha un mezzo di trasporto proprio, o che è costretta a tenere la gravidanza (e relativa interruzione) nascosta alla famiglia.

Se da un lato l’aborto non è per forza una scelta dolorosa e lacerante, ed è vero invece che chi sceglie di interrompere una gravidanza lo fa perché quella è la scelta migliore nel momento, è anche vero che dell’aborto è difficile parlare in pubblico. È una cosa che la maggior parte delle persone tiene per sé e non racconta volentieri, tutt’al più lo fa in forma anonima. Questo silenzio, perfettamente giustificato dallo stigma che circonda l’aborto, rappresenta anche un grande vantaggio per chi potrebbe e dovrebbe affrontare la questione dell’obiezione di coscienza, e non lo fa perché la pax politica è più importante dei diritti delle donne e delle persone gestanti.

Sappiamo da anni che la situazione negli ospedali è vergognosa e che i livelli di obiezione sono fuori controllo. Quello che non sappiamo – ed è stato oggetto di indagine da parte di Chiara Lalli e Sonia Montegiove nel libro Mai dati (Fandango, 2022) – è chi e dove siano questi obiettori, in quali strutture siano impiegati, quante siano le strutture pubbliche in cui il servizio viene negato per mancanza di personale non obiettore. I dati sulla 194 sono volutamente oscurati: dal Ministero della Salute, dalle Regioni, dalle strutture stesse. Lalli e Montegiove hanno provato a ricostruirli, e nel farlo si sono trovate davanti a notevoli assurdità (del tipo: “Bollini rosa” di qualità assegnati in premio a strutture che non praticano IVG per totale assenza di sanitari disponibili a effettuare gli interventi) e a una generale reticenza, per non dire proprio ostilità.

La realtà la conosciamo. La situazione intorno all’IVG dovrebbe essere oggetto di un intervento immediato e robusto del Ministero e dei governatori, a prescindere dal colore politico: dato che siamo un Paese e non una federazione di Stati, è inconcepibile che ci siano regioni in cui l’accesso all’aborto viene ostacolato per motivi puramente ideologici, che hanno come risultato l’aumento degli aborti clandestini (anche questi, mai oggetto di indagini ufficiali ma solo di ricostruzioni giornalistiche) ed espongono chi vuole o deve interrompere una gravidanza a gravi rischi per la sua salute. Chi si accorge tardi di una gravidanza rischia di vedersi respingere da struttura dietro struttura, e in ogni nuovo ospedale o clinica rischia di trovarsi davanti il muro degli obiettori o dei volontari dei centri di propaganda antiabortista, che la riempiono di fandonie o cercano di manipolarla usando il senso di colpa per non farla abortire.

L’obiezione va limitata. La legge lo consente, è una questione di volontà politica: non è possibile – ed è scandaloso, continueremo a ripeterlo – che i sanitari obiettori facciano carriera sulla pelle dei colleghi e delle persone cui rifiutano l’assistenza. Essere obiettori deve comportare delle penalità rispetto alla possibilità di essere impiegati in strutture pubbliche. Serve un tetto, servono misure atte a contenere il dilagare di una scelta che a cinquant’anni dall’introduzione della legge 194 è difficile non vedere come frutto di semplice calcolo opportunistico. Chi si è laureato dopo il 1978 sa praticare un aborto e sapeva che sarebbe stato chiamato a farlo.

La situazione non può che peggiorare. L’avvento di un governo di estrema destra, come abbiamo visto in altri Paesi del mondo, colpisce prima di tutto il diritto di accesso all’aborto. È successo in Polonia, sta succedendo negli Stati Uniti come lascito della disastrosa presidenza Trump, e succederà anche da noi. E anche se i ministri e le ministre della Salute che abbiamo visto in questi anni si sono distinti soprattutto per l’ignavia con cui hanno deciso di astenersi dall’intervenire, questo non è una scusa per disertare le urne alle prossime elezioni. Se l’accesso all’aborto libero, gratuito e legale vi sta a cuore, scegliete partiti che se ne facciano carico in maniera inequivocabile. Chi può votare dovrebbe farlo, ora e sempre: soprattutto se ha un utero, soprattutto se vuole tutelare il diritto altrui di disporre del proprio.

Leggi anche
La protesta fuori dalla Corte Federale americana a Los Angeles (Usa) contro la possibile revisione della sentenza Rod v Wade.
aborto
di Jennifer Guerra 6 min lettura
Una manifestazione davanti alla Corte Suprema Usa, lo scorso dicembre: in aula il caso del Mississippi Ban sull'aborto,
esteri
di Valeria Pantani 3 min lettura