Diritti

Medici a gettone, addio?

Con l’approvazione del Decreto bollette è arrivata la stretta sugli operatori sanitari “a chiamata”, appartenenti a cooperative private che lavorano (spesso senza alcun controllo) negli ospedali pubblici
Credit: Clay Banks
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
30 marzo 2023 Aggiornato alle 13:00

Stretta sui medici a gettone”. Da alcune ore se ne parla insistentemente dopo il “Decreto Bollette” approvato dal Consiglio dei Ministri il 28 marzo. Oltre alle misure per contrastare il caro-energia, infatti, il testo contiene alcuni articoli che puntano a arginare il fenomeno delle esternalizzazioni negli ospedali, cercando di ridurre le spese che stanno gravando su un servizio pubblico di cui sono ormai ben note le fragilità e alzare la qualità dell’assistenza offerta ai pazienti.

Ma chi sono i “medici a gettone” e perché il Governo vuole intervenire per restringere tempi e campi di azione di questi dottori privati che lavorano nel pubblico?

Medici a gettone: chi sono e cosa fanno?

Si tratta di neolaureati, pensionati o liberi professionisti che lavorano a chiamata all’interno degli ospedali pubblici ma attraverso cooperative esterne; tra loro ci sono anche i medici stranieri che non sono ammessi ai concorsi pubblici (per cui è necessario il requisito della cittadinanza) e chi ha lasciato il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ma rientra dalla porta di servizio, con stipendi e condizioni lavorative migliori degli ex colleghi.

Solitamente lavorano nei festivi o nel week-end per tamponare i turni scoperti (ma non solo) con turni di 12 ore. La loro storia inizia da lontano ed è indissolubilmente legata ad anni di riforme del sistema sanitario che hanno progressivamente svuotato il servizio pubblico di risorse e, soprattutto, di specialisti. Per sopperire alla mancanza di personale che sta mettendo in crisi tutti i reparti, e in particolare il pronto soccorso, infatti, gli ospedali pubblici possono rivolgersi a terzi, vale a dire cooperative che forniscono personale medico.

Questi medici a chiamata vengono chiamati soprattutto nei reparti di medicina d’urgenza, ma sono spesso presenti anche in Pediatria, Ginecologia e Ostetricia.

Secondo un’indagine della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) in Veneto fa ricorso ai medici a gettone il 70% degli ospedali, il 60% in Liguria, il 50% in Piemonte. Ma anche se con percentuali diverse, la pratica è radicata in tutto il Paese: in Friuli Venezia Giulia e nelle Marche, a esempio, tutte le strutture sanitarie vi hanno fatto ricorso.

In base ai dati forniti dalle Regioni, in Lombardia i turni gestiti dalle cooperative sono oltre 45.000, mentre sono 42.061 in Veneto. In Piemonte, sempre secondo i calcoli di Simeu (i dati disponibili sono fermi al 2021), si parla di 14.400 turni esternalizzati.

Se l’esternalizzazione è condivisa su tutto il territorio, lo stesso non può dirsi dei requisiti di accesso: sono le cooperative, infatti, che devono garantire per i medici che inviano negli ospedali pubblici, ma mancano delle linee guida condivise a livello nazionale. In Emilia-Romagna, a esempio, è necessario che abbiano una specializzazione, ma questo non vale in altre regioni, dove l’unico requisito è l’iscrizione all’Albo. Con rischi per i pazienti, a cui la qualità delle cure è garantita solo dalla serietà dei singoli o delle singole cooperative.

L’indagine dei Nas e del Ministero della Salute, che hanno effettuato verifiche a campione su 1.525 medici delle cooperative, ha trovato “dottori arruolati come ostetrici senza nessuna formazione per fare i parti cesarei, altri in Ps [pronto soccorso, ndr] senza avere competenze in Medicina d’Urgenza, oppure già dipendenti di altri ospedali che facevano di nascosto i doppi turni per la cooperativa, altri ancora sopra i 70 anni e dunque fuori per legge dal servizio sanitario”. Le posizioni irregolari rilevate sono state 165, le persone segnalate 205, 43 i casi di esercizio abusivo della professione medica, mentre 8 titolari di cooperative sono state deferiti per frode e inadempimento nelle pubbliche forniture.

Per non parlare di neolaureati senza specializzazione o esperienza che si trovano a prendere decisioni o a effettuare diagnosi. A peggiorare le cose non c’è solo la mancanza di competenze (come quelle dei medici incaricati di effettuare parti cesarei senza alcuna esperienza), ma anche quella dei controlli (a esempio sulla durata dei turni) e la scarsa conoscenza delle strutture in cui si trovano a operare.

Medici a gettone: cosa cambia?

L’obiettivo del Governo, quindi, è diminuire i costi e alzare la qualità del servizio, rendendo allo stesso tempo meno attrattivo per i medici il percorso da “gettonista” piuttosto che il lavoro nel Ssn. Ma come dovrebbero cambiare le cose per i “medici a gettone” (e per le cooperative che li gestiscono) con l’approvazione del Decreto?

Gli appalti esterni potranno essere della durata di massimo un anno “solo in caso di necessità e urgenza” (richiesti in una sola occasione e senza alcuna possibilità di prorogare il servizio) saranno limitati alle aree critiche, i pronto soccorso e a medici specializzati.

Non solo: i servizi potranno essere appaltati esternamente solo nell’effettiva impossibilità di reclutare personale già in servizio o idonei in graduatoria e dopo aver valutato la possibilità di inserire personale medico-infermieristico con una procedura autorizzata. Anche i prezzi per l’acquisto del servizio saranno regolamentati (con apposito decreto del Ministero della Salute, da emanarsi entro 90 giorni e dopo il parere dell’Anac) per garantire “equità retributiva” a parità di prestazione lavorative con i medici del Ssn.

Ad oggi, infatti, lavorare da esterno per una cooperativa privata è molto più redditizio per i medici e molto più oneroso per le casse dello Stato.

Secondo i calcoli di Dataroom del Corriere della Sera a cura di Milena Gabanelli, infatti, “un medico ospedaliero assunto da più di 15 anni guadagna 52 euro lordi all’ora, per 6 ore e 20 minuti al giorno da contratto (che però vengono sempre superate) per 267 giorni l’anno. Il calcolo tiene conto di un giorno di riposo settimanale, 36 di ferie e 10 di festività (qui il contratto). In totale il salario annuo lordo è poco più di 85.000 euro. Gli stessi soldi un medico a gettone li guadagna facendo 84 turni da 12 ore, poiché la paga oraria minima in Ps e in Anestesia è di 87 euro lordi. Certo, a suo carico il gettonista ha ferie e malattia, ma c’è chi arriva a cumulare anche 20 turni al mese con uno stipendio che cresce esponenzialmente”.

Ad aumentare i vantaggi c’è la flat tax, spiega la giornalista Gloria Riva: “Un medico gettonista che guadagna 85.000 euro con 20 turni di lavoro da 12 ore ciascuno, paga 12.750 euro l’anno di tasse. Mentre il suo collega dipendente, 85.000 euro li guadagna in un anno e versa allo Stato 36.550 euro”.

Giovanni Migliore, presidente di Fiaso, Federazione delle Aziende Sanitarie Ospedaliere, ha dichiarato a L’Espresso che «La spesa lorda sostenuta dalle aziende sanitarie per il personale medico delle cooperative nel 2020 è stata di 6,3 milioni. Nel 2022 è salita a 23,3 milioni. Il costo orario per il personale strutturato è di 49,45 euro, mentre un gettonista costa alle casse pubbliche 99,26 euro l’ora».

Ultima stretta, quella sul personale del servizio pubblico che (proprio per le iniquità di trattamento salariale e organizzativo) decide di uscirne volontariamente per lavorare per un privato che lavora in appalto per il pubblico: a questi lavoratori sarà preclusa la possibilità di essere nuovamente assunti dal Ssn.

Ma la riduzione dei “medici a gettone” non è l’unica misura contenuta nel decreto per tamponare la mancanza di personale, in particolare nei pronto soccorso: oltre alla previsione dell’incremento delle tariffe orarie per gli straordinari in questo reparto, il testo punta a allargare i potenziali assunti e prevede lo stanziamento di 200 milioni di euro di incentivi. L’aumento degli stipendi già previsto, inoltre, è stato anticipato di 6 mesi.

Chi tra gennaio 2013 e giugno 2023 ha lavorato in pronto soccorso per almeno 3 anni (anche con contratti anche discontinui) fino al 31 dicembre 2025 potrà partecipare ai concorsi di Medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza anche senza specializzazione.

Anche gli specializzandi, inoltre, potranno prestare servizio nei reparti di Ps: oltre a sostituzioni dei medici di base e servizio di guardia medica, infatti, potranno lavorare nei pronto soccorso pubblici per un massimo di 8 ore settimanali, con una retribuzione lorda in più di 40€/ora. Questa attività diventerà poi un requisito dei concorsi.

Infine, fino al 31 dicembre del 2025 a chi ha una qualifica professionale conseguita in un altro Stato sarà consentito temporaneamente l’esercizio dell’attività sanitaria in deroga alle norme sul riconoscimento dei titoli esteri.

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