Diritti

I 50 anni di Roe v Wade

In occasione dell’anniversario della sentenza ribaltata dalla Corte Suprema nel giugno 2022, attivisti pro e anti aborto pensano alle strategie per il futuro: «la libertà riproduttiva è sempre stata più grande di Roe»
Credit: Gayatri Malhotra/unsplash
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
22 gennaio 2023 Aggiornato alle 07:00

Cinquant’anni fa, il 22 gennaio 1973, la Corte Suprema degli Stati Uniti legalizzò a livello federale l’aborto con la sentenza passata alla storia come Roe v. Wade, dal nome del processo che vide opporsi Norma McCorvey e Henry Wade, il procuratore distrettuale della contea di Dallas, in Texas. La donna, una ventiduenne nota con lo pseudonimo di “Jane Roe”, era incinta di cinque mesi del suo terzo figlio e voleva abortire. Le sue avvocate contestarono la norma statale vigente che prevedeva il divieto della pratica se non per salvare la vita di una donna. La sentenza, raggiunta da una Corte Suprema a maggioranza democratica, fu pronunciata dal giudice Harry A. Blackmun, e stabilì il diritto costituzionale all’aborto. Ogni anno dal 1973, gli attivisti per i diritti all’aborto si sono riuniti il ​​22 gennaio per celebrare il Roe v. Wade Day. Ma ora, mezzo secolo dopo la decisione, sarà un giorno diverso: sarà il primo anniversario di Roe da quando la sentenza è stata annullata.

Per la prima volta, anche la March for Life degli anti-abortisti che si svolge ogni anno a Washington dal 1974 ha cambiato percorso: non è terminata, come al solito, davanti alla Corte Suprema, ma tra la Corte e il Campidoglio degli Stati Uniti. A simboleggiare che il sistema giudiziario ha ancora un’importanza fondamentale, ma anche il Congresso. La Marcia per la Vita, nata l’anno dopo la sentenza Roe v. Wade con l’obiettivo di ribaltarla, ha raggiunto il suo obiettivo e torna con un nuovo tema: “Prossimi passi: marciare in un’America post-Roe”. I leader del movimento hanno dichiarato di voler mettere in guardia il Congresso, che si compone di Senato e Camera dei Rappresentanti, da qualsiasi tentativo di ridurre le molteplici leggi anti-aborto imposte lo scorso anno in una dozzina di Stati diversi.

Dal 24 giugno 2022, quando la Corte Suprema a maggioranza conservatrice ha cancellato il diritto di accesso all’aborto, almeno 13 Stati hanno vietato la pratica senza eccezioni, né per stupro o per incesto, né per tutelare la salute della donna incinta, e altrettanti l’hanno drasticamente limitata. In molti il divieto statale è stato bloccato da giudici e le azioni legali sono tuttora in corso. Gli elettori di Kansas e Kentucky si sono espressi per respingere gli emendamenti costituzionali che avrebbero bannato il diritto all’aborto, mentre in Michigan hanno approvato una norma che sancisce il diritto all’aborto nella Costituzione dello Stato.

La presidente della March for Life Jeanne Mancini ha scritto in una nota che «quest’anno sarà un cupo promemoria dei milioni di vite perse a causa dell’aborto negli ultimi 50 anni, ma anche una celebrazione di quanta strada abbiamo fatto e dove noi come movimento dobbiamo concentrare i nostri sforzi mentre entriamo in questa nuova era in la nostra ricerca per proteggere la vita “. Molti leader anti-abortisti sperano di raggiungere, un giorno, una potenziale restrizione federale dell’aborto in futuro, fissando uno “standard minimo federale” a 13 settimane di gravidanza, oltre le quali l’aborto non dovrebbe essere consentito in nessuno Stato. Anche se una norma simile passasse alla Camera controllata dai Repubblicani, però, probabilmente fallirebbe al Senato, in mano ai Democratici.

La scorsa settimana la Camera ha approvato un disegno di legge che minaccerebbe sanzioni penali per quei medici che eseguono aborti: il disegno di legge richiederebbe che i bambini nati vivi dopo un tentativo di aborto ricevano la stessa protezione ai sensi della legge e del grado di cura di qualsiasi neonato. Con il “Born-Alive Abortion Survivors Protection Act”, gli operatori sanitari rischierebbero fino a cinque anni di carcere per non averli rianimati. Ma non c’è nessuna possibilità che la proposta passi al Senato.

Secondo un sondaggio condotto a luglio dall’Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research, il 53% degli adulti statunitensi ha dichiarato di disapprovare l’abrogazione di Roe da parte della Corte Suprema, mentre il 30% ha approvato. Gli attivisti anti-aborto contestano questi numeri e ora sono concentrati sulle battaglie legali che si stanno svolgendo in diversi Stati Usa, sono in disaccordo sugli aspetti a cui dare la priorità: puntare a diminuire le settimane entro cui è possibile abortire? Mantenere eccezioni per stupro, incesto e per salvare la vita della madre? Bannare le pillole abortive? «È più difficile definire l’obiettivo da raggiungere», ha detto al New York Times Mary Ziegler, professoressa di diritto all’Università della California e autrice di numerosi libri a sostegno del diritto all’aborto.

E mentre qualcuno si riunisce a sostegno dei diritti riproduttivi, gli attivisti favorevoli all’accesso all’aborto popolano le strade non per celebrare l’anniversario di una sentenza ormai superata, ma per esprimere rabbia, paura, incertezza e lutto. La Women’s March, la marcia nazionale a sostegno dell’accesso all’aborto è stata soprannominata Bigger Than Roe: si svolge il 22 gennaio 2023, un giorno che secondo gli attivisti segna un nuovo anno di possibilità per i diritti riproduttivi e un’opportunità per reinventare l’accesso all’aborto da zero in un mondo post-Roe. «La libertà riproduttiva è sempre stata più grande di Roe», ha dichiarato a Usa Today Rachel O’Leary Carmona, direttrice esecutiva della marcia. «Ora dobbiamo sognare in grande».

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