Diritti

Aborto: cosa succede negli Usa a un anno dal rovesciamento della Roe v. Wade

La decisione della Corte Suprema ha reso l’aborto non più un diritto federale. Portando molti Stati a negarne completamente l’accesso
Credit: EPA/ETIENNE LAURENT

Il 24 giugno 2022 la Corte Suprema degli Stati Uniti tramite la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization ha ribaltato la sentenza Roe v. Wade del 1973 che riconosceva il diritto di poter interrompere una gravidanza.

Da quella decisione l’aborto, che sul territorio americano non è regolato da una legge specifica, non è più stato riconosciuto come un diritto federale e ogni Stato ha potuto decidere per sé come comportarsi, con conseguenze spesso drammatiche per migliaia di persone.

A 12 mesi di distanza dal giro di vite, infatti, la situazione negli Stati Uniti è nettamente peggiorata e gli ostacoli sul percorso di chi non intende diventare madre quintuplicati. C’è chi per interrompere una gravidanza deve spostarsi di migliaia di chilometri, chi rischia di essere arrestata e chi, seppur minorenne e vittima di abusi, è costretta a tenere in grembo un bambino non voluto.

Impossibile conoscere le storie di ognuna ma quel che si sa dipinge un quadro ben poco edificante.

Dove si può ancora abortire e dove no

L’aborto negli Usa è al centro di accesi scontri politici tra Conservatori e Repubblicani già da ben prima del ribaltamento della Roe v. Wade e negli anni precedenti diversi Stati avevano già iniziato a introdurre misure volte a restringere o addirittura negare questo diritto. Per questo in molti non sono rimasti stupiti dalla decisione della Corte Suprema, che rimasta orfana di Ruth Ginsburg nel 2020, è attualmente composta da una maggioranza conservatrice. Era solo questione di tempo dunque perché anche a livello federale venisse messo nero su bianco ciò che molti governatori stavano già provando a fare localmente.

Il Missouri è stato il primo a vietare quasi tutti gli aborti dopo il 24 giugno 2022, punendo con il carcere fino a 15 anni le donne che vi ricorrono e chi le aiuta. Molti altri Stati però ne hanno seguito l’esempio.

Al momento sono 14 quelli che vietato completamente o quasi (le poche eccezioni riguardano il pericolo di vita della madre) l’aborto: Idaho, Nord Dakota, Sud Dakota, Oklahoma, Texas, Louisiana, Arkansas, Mississipi, Alabama, Tennessee, Kentucky, Virginia occidentale, Missouri e Wisconsis. La cartina nera del diritto negato è però in continuo aggiornamento e con ogni probabilità molti altri presto si aggiungeranno alla lista. Nel frattempo diversi, pur non vietando completamente l’Ivg, hanno approvato misure molto stringenti come il limite massimo per ricorrervi di 6 settimane di gestazione, un momento in cui molte donne ancora non sanno di essere incinte o l’hanno appena scoperto.

Altri, come lo Utah, consentono l’interruzione volontaria di gravidanza solo in caso di stupro, incesto e grave pericolo per la vita della donna.

Fortunatamente però ci sono anche buone notizie. Proprio a fronte di questo giro di vite, altri luoghi hanno aumentato gli sforzi per tutelare ed espandere l’accesso all’aborto. 20 Stati hanno infatti investito milioni in finanziamenti per l’assistenza e approvato nuove misure per sancire questo diritto e proteggere le pazienti e i medici dai procedimenti giudiziari.

Andamento degli aborti

#WeCount, un progetto di ricerca coordinato dalla Society of Family Planning, ha monitorato gli aborti in tempo reale nel tentativo di comprendere meglio l’impatto della decisione Corte Suprema.

Nei primi nove mesi dopo la sentenza, in tutti gli Stati Uniti ci sono stati 25.640 aborti in meno rispetto ad aprile 2022.

All’interno di questo andamento complessivo si registrano però due mesi in controtendenza, gennaio e marzo 2023, che invece hanno registrato un aumento, probabilmente dovuto al fatto che gli ospedali e gli Enti che aiutano le donne ad abortire con il passare dei mesi sono riusciti ad aumentare la loro assistenza, grazie anche a maggiori finanziamenti.

In aumento anche chi sceglie come soluzione l’acquisto delle pillole abortive online.

Secondo un rapporto dell’Advancing New Standards in Reproductive Health dell’Università di San Francisco, tra il 2021 e il 2022 sono nate oltre 60 cliniche virtuali, che hanno contribuito a circa il 9% di tutti gli aborti forniti dai medici nei nove mesi successivi al ribaltamento della Roe v. Wade, rispetto al 4% dei due mesi precedenti la decisione della Corte Suprema.

Questi numeri però sono sicuramente al ribasso perché riguardano solo l’uso di pillole abortive tramite il sistema sanitario degli Stati Uniti ma escludono tutti gli acquisti che sfuggono al controllo, fatti da persone che vivono in Stati in cui l’aborto è vietato e che quindi non potrebbero accedervi nemmeno tramite la telemedicina.

In questi casi si parla di aborti clandestini, dei quali non si conoscono i numeri ma che con ogni probabilità saranno aumentati, come succede sempre a fronte di un divieto, che non elimina l’azione sulla quale si concentra ma la sposta solo di piano, da quello legale a quello illegale.

Il ruolo delle organizzazioni e delle cliniche abortive

Con 14 Stati che vietano l’aborto l’unica soluzione per molte donne è quella di mettersi in viaggio, percorrere migliaia di chilometri e affidarsi a organizzazioni, spesso a pagamento, come Planned Parenthood o Brigid Alliance, che ha aiutato il 30% in più di clienti nei primi nove mesi dalla sentenza rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Alcune di queste realtà nel corso dei mesi si sono trasferite da Stati ostili a luoghi in cui possono continuare a offrire assistenza, ma il loro lavoro è spesso insufficiente a gestire la mole delle richieste.

Se infatti negli Stati che hanno vietato completamente l’aborto, nei mesi presi in considerazione dallo studio ci sono stati circa 93.575 aborti legali in meno, in quelli in cui invece è consentito sono aumentati di circa 69.285.

Secondo il Guttmacher Institute però almeno 66 cliniche abortive in 15 Stati non sono riuscite a resistere e hanno smesso di fornire assistenza per l’aborto. 26 hanno chiuso completamente.

Molti di questi luoghi, spesso ubicati in zone difficili dove l’accesso ai servizi sanitari è complesso o la popolazione particolarmente in difficoltà, oltre ad accompagnare nell’interruzione di gravidanza offrivano supporto di altro tipo, soprattutto sessuale, ginecologica e a livello di contraccezione. La loro chiusura quindi impatterà sempre più sulle comunità locali, private di servizi indispensabili.

L’aumento della violenza contro le cliniche abortive

Come detto il vento reazionario negli Usa soffiava già da tempo e questo ha portato all’insorgenza di un clima più che ostile verso le cliniche che aiutano le donne ad abortire, dove gli episodi di violenza sono nettamente aumentati dal 2021 al 2022, e ancor di più nel 2023, soprattutto negli Stati dove questo diritto è ancora difeso e garantito.

Quest’anno, a esempio, in Illinois, un uomo ha incendiato una clinica di Planned Parenthood perché una ex fidanzata aveva abortito contro la sua volontà e un altro ha preso di mira sempre un centro Planned Parenthood nel Michigan, annunciando l’azione sui social network dove paragonava l’aborto a un genocidio.

Un clima di violenza destinato purtroppo a non sopirsi, ma ad aumentare di pari passo con l’aumento degli Stati che decideranno di applicare il ribaltamento della Roe v. Wade o di impedire in altro modo alle donne di decidere per sé. Molti Governatori sembrano pronti a farlo, nonostante l’impegno verbale del presidente Joe Biden che si è sempre detto contrario alla decisione della Corte, ma che non ha alcun potere reale per contrastarla.

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