Ambiente

L’orrore dei Monkey haters e la responsabilità di chi guarda

Un’inchiesta della BBC ha svelato un filone di video di torture sulle scimmie fruibile su YouTube che fa sorgere domande su cosa le piattaforme consentono di condividere e cosa noi per primi consideriamo accettabile
Credit: Rob Potter
Tempo di lettura 5 min lettura
25 giugno 2023 Aggiornato alle 06:30

Sono una di quelle persone che per dormire spesso ha bisogno di mettere qualcosa in sottofondo. Non va bene qualsiasi cosa, sia chiaro. Di solito preferisco i documentari sugli animali, in qualche modo mi rasserenano.

Anche Lucy Kapetanich ha questa abitudine, con la differenza che usa YouTube. Per dormire, cercava video di animali carini e li lasciava scorrere.

L’algoritmo di YouTube ha compreso le sue preferenze e ha iniziato ad affinarsi, a proporle contenuti sempre più coerenti con il suo gusto. Ma forse anche gli algoritmi hanno un limite oltre il quale non dovrebbero spingersi. Dopo innumerevoli video di dolci animali, scimmie carine e scimmie cuccioli, l’algoritmo ha piazzato sullo schermo di Lucy video di torture sulle scimmie.

Non è stata la sola a inciampare, quasi per caso, nel mondo dei Monkey Haters. Anche il fotografo Dave Gooptar e l’attivista per gli animali Nina Jackel si sono ritrovati con quelle immagini sotto gli occhi. Scimmie, piccole per lo più, torturate, colpite e seviziate per il piacere di una nutrita community di sadici sempre più accaniti. Ed è stata proprio Nina Jackel ad accorgersi che la loro attenzione stava sfociando in frustrazione.

Come ha dichiarato alla BBC, nell’inchiesta che mette a nudo questo sottomondo nella piattaforma di video sharing, ha notato che i commentatori non si limitavano a interagire con i video, ma avanzavano richieste molto specifiche sul tipo di tortura che volevano trovare nei video successivi, offrendosi di pagare i “creator”.

Tra i commenti che esaltano la violenza o denigrano i soggetti torturati, Nina Jackel ha trovato un’ulteriore tana di coniglio: un canale Telegram. Per scelta non riporterò il nome, ma vi basti sapere che se il materiale su YouTube è palesemente ascrivibile alla tortura, quello su Telegram è persino più spinto. Annegamenti, amputazioni e decapitazioni, per citare direttamente l’inchiesta.

Il gruppo fu chiuso dopo l’azione combinata di Nina Jackel, Lucy Kapetanich e Dave Gooptar ma si sa, morto un gruppo di Telegram, se ne fa un altro. E questa volta con ingresso ben controllato. Determinata e aiutata da una pentita iscritta diventata talpa interna, Nina è riuscita a entrarvi per scoprire che era abitato da una demografica spaventosamente ordinaria:

“[…]conteneva circa 400 persone. Il cast di personaggi era un misto di strani e - ancora più strani - apparentemente normali, tutti conosciuti l’uno dall’altro con i loro soprannomi. C’era il Re della Tortura, che aveva invitato Kapetanich a entrare; c’era “Sadistic”, benzinaia e nonna nell’Alabama rurale; c’era “Bones”, un ex aviatore della US Air Force del Texas con una vasta collezione di armi; e “Champei”, che ha causato caos e lotte intestine in ogni gruppo a cui si è unito. C’era “Trevor”, che non poteva contribuire durante le ore diurne perché “nessun telefono al lavoro, roba nucleare”.

E non erano solo americani, c’erano membri devoti in Europa e in Australia. Tra i collaboratori più crudeli del gruppo c’era “The Immolator”, una donna di 35 anni che amava gli uccelli e viveva con i suoi genitori nelle Midlands inglesi.[…]

Dietro i video, ovviamente, si celava un bel guadagno. Un ricavo reso possibile dalla rete di persone pronta a pagare per vedere una scimmia torturata e uccisa. Addirittura, c’era chi si era detto pronto a pagare 5.000 euro per la morte di una delle scimmie più famose dei gruppi, Mini.

Le autorità e i giornalisti della BBC hanno rintracciato i moderatori, statunitensi perlopiù, e i produttori dei video, Indonesiani. I primi si sono pentiti non appena hanno sentito puzza di bruciato, i secondi hanno detto di aver sfruttato una nicchia di mercato che consentiva loro di monetizzare molto e in fretta. Le scimmie, in tutto questo, sono solo il mezzo.

Oggetti e non soggetti, in una storia che raccapriccia, ma che, a ben pensarci, non sorprende. Anzi, risulta quasi banale. Un animale viene usato come intrattenimento e l’offerta varia in base alla richiesta dei clienti. I video di torture rendono meglio, hanno un miglior rapporto interazioni/guadagni di quelli in cui gli animali fanno cose divertenti. Figurarsi i video in cui gli animali hanno comportamenti specifici liberi, quelli rendono solo ai produttori dei documentari con cui mi addormento io.

In tutto questo, a capitalizzare ci pensa YouTube, pieno di regole a tutela della comunità di utenti, ma a quanto pare altrettanto pieno di contenuti estremamente violenti e istigatori. L’algoritmo che permette l’esistenza di questi sottoboschi digitali è stato però lo stesso che li ha traditi, mostrandoli a un’utenza che non solo non era interessata, ma addirittura indignata dal contenuto.

YouTube non è solo ma in buona compagnia. Anche Instagram ospita canali - con tanto di spunta blu- di cacciatori che espongono i loro “trofei”. Di nuovo, l’animale è oggetto su cui agire violenza e dal quale estrarre profitto, che sia esso sotto forma di una manciata di like o di un’utenza cacciatrice fidelizzata e sempre attiva sull’app.

L’imprenditoria digitale va dove la porta il guadagno, e quando intreccia i bisogni di chi abita nel Sud del Mondo con il denaro che il Nord del Mondo è intenzionato a investire, diventa più che dannosa, distruttiva.

I Monkey haters fanno paura, lasciano di sasso. Portano a chiedersi come sia possibile trarre piacere da video con immagini di quel tipo.

Mi chiedo, però, quale sarebbe stata la reazione nel caso in cui si fosse trattato di un maiale? Video di sevizie, mutilazioni o morte di un suino come sarebbero accolti?

La risposta si palesa da sola: con assoluta indifferenza. Perché la violenza delle mutilazioni, delle percosse e delle inseminazioni forzate passa sotto silenzio. Perfino lo smembramento in una poltiglia va bene, a patto che sia macinato di vacca in un tritacarne.

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